PER UN’ERMENEUTICA DELLA sicurezza informatica

di Massimiliano Cannata

«Negli ultimi decenni siamo stati esposti all’olocausto nucleare. Oggi, l’universo interconnesso è permeabile rispetto a nuovi rischi, bio o cyber. In esso terrore ed errore sono sinonimi». Non si tratta di un brano tratto dall’Apocalisse, è invece la voce di Martin Rees, autorità internazionale nel campo della astrofisica e della cosmologia, che in un recente saggio – dal titolo francamente apocalittico: Our Final Century (Il nostro secolo finale) – esprime la paura generalizzata che le recenti azioni terroristiche e gli eclatanti attacchi informatici hanno determinato nell’opinione pubblica mondiale. è l’altra faccia del progresso, quella che, a dispetto di ogni tentativo di rimozione, riemerge scompaginando ogni certezza e che, per dirla con Sigmund Freud, sta portando: «l’individuo a barattare una parte della sua felicità per un po’ di sicurezza».

Il progetto americano che porterà alla realizzazione di un Centro Nazionale Virtuale Federale per le Traduzioni si innesta in questa prospettiva. L’indizio di un attacco terroristico può annidarsi in quel flusso gigantesco di messaggi che vengono giornalmente intercettati, spesso dietro il velo di una intenzionale ambiguità semantica. Umberto Eco, nel suo saggio Dire quasi la stessa cosa, ha delineato con efficacia l’orizzonte incrociato che avvicina linguistica, teoria della traduzione, informatica e sicurezza: «Le ragioni della crescita degli interessi traduttologici sono oggi molte e convergenti: da un lato i fenomeni della globalizzazione che mettono in contatto reciproco gruppi e individui di lingue diverse, poi lo svilupparsi degli interessi semiotici, per i quali il concetto di traduzione diventa centrale anche quando non viene esplicitato e, infine, l’espansione dell’informatica che spinge molti a tentare e ad affinare sempre più modelli di traduzione artificiale».

In questa ricerca di senso, in cui per arrivare alla verità bisogna ricomporre un puzzle fatto di un numero infinito di pezzi, si scopre con sgomento che il computer non è più sufficiente. L’inversione di tendenza rispetto al modello filosofico di stampo neopositivista, che aveva coltivato l’idea della «costruzione logica» di un linguaggio universale, computabile e perciò stesso completamente controllabile dall’intelligenza artificiale, non poteva essere più netta. Il «gesto critico della traduzione» mette in gioco una molteplicità di interpretazioni, che costituiscono il riflesso della irriducibile, problematica diversità delle lingue. La traduzione «non è infatti, un semplice processo binario. è piuttosto un capire, un atto di comprensione, che mette a confronto contesti e culture». Alle squadre di traduttori che operano al fianco di FBI e CIA spetterà un compito tanto arduo da mettere in crisi lo stesso «impero del silicio»: sviluppare una potenzialità ermeneutica, capace di individuare gli umani, o disumani, percorsi di senso della semiosfera digitale.

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