Per contrastare il cambiamento climatico conviene cambiare bersaglio

A parità di costo, risucchiando il metano nell’aria piuttosto che l’anidride carbonica otterremmo risultati migliori.

di James Temple

Quando si parla di cambiamento climatico, l’anidride carbonica figura sempre come il nemico pubblico numero uno. Eppure, il metano è un gas serra molto più potente. Il mondo non riesce a liberarsi di un quantitativo sufficiente di questo gas, e il suo effetto sul riscaldamento non dura tanto ma, molecola per molecola, nei primi due decenni di permanenza nell’atmosfera il metano cattura 84 volte il volume di calore rispetto all’anidride carbonica.

È proprio questo fattore a motivare la proposta presentata in un paper pubblicato questo mese su Nature Sustainability: sviluppando sistemi per catturare di qualche miliardo di tonnellata di metano dall’atmosfera, potremmo ridurre il riscaldamento nel breve termine con un effetto ben più efficace rispetto a quello che otterremmo dalla rimozione dell’anidride carbonica.

“La rimozione del metano ci farebbe guadagnare tempo mentre cerchiamo di affrontare il problema più grande delle emissioni di anidride carbonica”, spiega Rob Jackson, professore di scienza dei sistemi della terra a Stanford ed autore principale del paper.

Non è la prima volta che questa idea viene proposta, ma Jackson e i suoi coautori hanno osservato da vicino i benefici ambientali che comporterebbe e i metodi per realizzarla. Nello specifico, il gruppo ha suggerito di ricorrere agli zeoliti, una classe di minerali caratterizzata da pori estremamente piccoli che viene spesso impiegata nei processi industriali di catalisi.

La maggior parte dei modelli scientifici odierni indica che il mondo dovrà rimuovere grandi quantità di anidride carbonica per scongiurare l’innalzamento delle temperature oltre la soglia limite, vista l’enorme quantità di gas serra già emessi e i pochi sforzi attuati sinora per abbandonare i combustibili fossili. Una manciata di startup sta attivamente realizzando prototipi e impianti in grado di rimuovere anidride carbonica dall’atmosfera, fra cui Climeworks, Global Thermostat, e Carbon Engineering (vedi “Startups looking to suck CO2 from the air are suddenly luring big bucks”).

Laddove il ritorno a livelli preindustriali comporterebbe necessariamente la rimozione di centinaia di miliardi di tonnellate di anidride carbonica, basterebbe rimuovere appena 3,2 miliardi di tonnellate di metano per raggiungere una concentrazione accettabile di questo gas nell’atmosfera. Secondo l’analisi effettuata dai ricercatori, un intervento simile permetterebbe di invertire un sesto dell’effetto complessivo dei gas serra presenti nell’atmosfera sul riscaldamento globale.

Un aspetto fondamentale di questo intervento è che il metano verrebbe convertito in anidride carbonica e successivamente rilasciato riscaldando le molecole intrappolate. In altre parole, semplicemente convertendo un gas serra in un altro otterremmo ugualmente una riduzione sensibile del riscaldamento. Il metano catturato verrebbe così sequestrato e convertito in altri prodotti, seppur con un aumento di costi e di complessità del processo.

La rimozione del metano è un’operazione più complessa rispetto alla cattura dell’anidride carbonica, principalmente perché la sua concentrazione nell’atmosfera è più dispersa. Laddove la rimozione della CO2 comporta la selezione di una singola molecola fra le quasi 2.400 presenti nell’aria, per catturare il metano bisogna passare al setaccio una concentrazione di oltre 500.000 molecole. Eppure, in uno degli scenari descritti gli autori ritengono che l’impresa sia possibile grazie a gigantesche ventole elettriche pensate per risucchiare l’aria all’interno di camere di ricaduta dove gli zeoliti in polvere si legherebbero alle molecole di metano.

Anche se, a parità di tonnellata sequestrata, il processo per la cattura del metano costerebbe più di quello per la cattura della CO2, “i benefici economici e ambientali sarebbero maggiori per via della potenza del metano come gas serra”, spiegano gli autori.
La creazione di un processo simile su scala industriale richiederebbe quasi certamente il supporto del governo o tasse più pesanti sulle emissioni di carbonio.

Nonostante alcune incertezze significative, gli autori sostengono che i benefici potenziali giustificherebbero importanti sforzi nella ricerca di ulteriori soluzioni e possibilità.

Come per l’anidride carbonica, sarebbe assai più semplice ed economico prevenire le emissioni di metano piuttosto che pianificare la rimozione del gas dall’atmosfera.

“È come una goccia di inchiostro”, spiega Jackson. “È più facile fermarla prima che finisca in acqua che cercare di rimuoverla una volta diluitasi”.

Allevamenti e coltivazioni sono la principale fonte di metano antropogenico, per un ammontare pari a circa 200 milioni di tonnellate annue. Alcuni ricercatori hanno cercato di abbattere queste emissioni dalle risaie, dalle esalazioni dei bestiami e delle feci animali cambiando i processi di irrigazione e drenaggio, regolando la dieta degli animali e incorporando biodigestori (vedi “Seaweed could make cows burp less methane and cut their carbon hoofprint”), ma nessuno di questi progetti si è rivelato una soluzione efficace e definitiva al problema.

Nel frattempo, le società petrolchimiche rilasciano ogni anno intorno a 100 milioni di tonnellate di metano, e contrastano ogni tentativo di imporre normative più stringenti sulla loro attività. Jackson ritiene che, per quanto la rimozione del metano dall’atmosfera rappresenti un primo strumento efficace per contrastare il riscaldamento globale, i suoi effetti sarebbero percepibili anche nel lungo termine, intimandoci a ripulire le nostre emissioni nel limite di ciò che potremo o decideremo di eliminare.

(MO)

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