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A 41 anni dal lancio, la sonda della NASA si è lasciata alle spalle i confini estremi del sistema solare.

di Neel V. Patel

La sonda Voyager 2 della NASA ha lasciato il sistema solare un anno fa, entrando così ufficialmente nello spazio interstellare. È il secondo oggetto creato dall’uomo nella storia ad aver conseguito questo traguardo. Voyager 1, uscita dall’emisfero settentrionale del sistema solare nel 2012, venne lanciata 16 giorni dopo la gemella Voyager 2. Il viaggio della Voyager 2 è stato più lungo, progettato per effettuare un passaggio accanto ad Urano e Nettuno. Ad oggi, è l’unico veicolo spaziale ad aver visitato questi pianeti da vicino. La sonda si è quindi diretta verso l’emisfero meridionale dell’eliosfera (la regione più esterna del sistema solare, a volte chiamata “la bolla”), in viaggio verso lo spazio interstellare. 

Il 5 novembre 2018, la Voyager 2 ha ufficialmente lasciato il sistema solare oltrepassando l’eliopausa, il confine estremo dell’eliosfera, raggiungendo così lo spazio interstellare. La sonda si trovava allora a 119 unità astronomiche dal sole (una UA vale 149,6 milioni di chilometri, più o meno la distanza tra il sole e la Terra). 

La sonda spaziale ha analizzato la composizione dei venti solari, composizione e comportamento delle particelle di plasma, l’interazione tra raggi cosmici, la struttura e la direzione dei campi magnetici e altre caratteristiche dei confini del sistema solare. In una serie di articoli pubblicati da Nature Astronomy, gli studiosi hanno descritto in dettaglio i risultati delle analisi dei dati raccolti dal Voyager 2 nel suo viaggio attraverso il sistema solare. Ecco le cinque scoperte principali. 

1. La bolla perde da entrambi i lati
Secondo i dati raccolti dal Voyager 2, la bolla è “molto permeabile”, dichiara Stamatios Krimigis della Johns Hopkins University, autore principale di uno dei nuovi articoli. Tracce del materiale della bolla solare sono state scoperte nello spazio interstellare. 

Anche la Voyager 1 aveva registrato tracce di perdite nella bolla. In quel caso però, era il materiale interstellare a filtrare all’interno della bolla, al contrario di quanto registrato dal Voyager 2, spiega Edward Stone di Caltech, autore principale di un altro documento. I nuovi risultati confermano che la permeabilità dell’eliopausa, registrata in due zone molto diverse dell’eliosfera, non è una caratteristica rara nella bolla, sebbene non ci siano ancora spiegazioni sulle sue cause. 

2. Il confine della bolla è più uniforme di quanto pensassimo
Prima delle missioni Voyager, gli scienziati credevano che la bolla solare si dissolvesse gradualmente nello spazio interstellare man mano che ci si allontanava dal sole. Il Voyager 2 ha invece rilevato “un confine molto ben definito”, spiega Donald Gurnett dell’Università dell’Iowa, autore principale di questo studio. Lo strumento ad onda al plasma della Voyager 2 ha ha rilevato livelli di densità del plasma a quelli registrati dalla Voyager 1. Dato il contrasto tra le alte temperature del plasma solare (circa 1 milione °C) e le temperature incredibilmente fredde del plasma interstellare (non superiori ai 10.000 °C), la densità del plasma al confine varia del 20-50 %. “Osserviamo una caratteristica dei fluidi, che spesso definiscono confini molto netti”, spiega Gurnett. 

Krimigis è rimasto particolarmente sorpreso dal fatto che entrambi i Voyager abbiano attraversato l’eliopausa alle stesse distanze relative (121 UA e 119 UA, rispettivamente). Secondo i calcoli degli astronomi, gli alti livelli di attività solare registrati nel 2012 in occasione del passaggio del Voyager 1 avrebbero dovuto spingere oltre il confine della bolla, mentre un periodo di bassa attività solare avrebbe dovuto contrarre eliopausa per la traversata del Voyager 2 dell’anno scorso. Non ci sono ancora spiegazioni per il fatto che entrambi i veicoli spaziali abbiano lasciato il sistema solare praticamente alla stessa distanza dal sole, in due posizioni molto diverse. 

3. La composizione stessa dell’eliopausa può variare in base alla posizione
Le sorprese nascoste tra i dati registrati dalla Voyager 2 non finiscono lì. La sorpresa più importante si nasconde tra le misurazioni del campo magnetico interne ed esterne alla bolla. Gli astronomi si aspettavano una direzione del campo magnetico molto diversa tra interno ed esterno, ma quando la Voyager 2 ha attraversato questa sottile pellicola, “sostanzialmente, non è stata registrata alcuna variazione” nella direzione del campo, esattamente come registrato dalla Voyager 1, afferma Leonard Burlaga del Goddard Space Flight Center della NASA, autore principale di questo documento. Allo stesso tempo, le osservazioni sul campo magnetico condotte dal Voyager 2 sembrano indicare un’eliopausa più sottile e più semplice, caratterizzata da particelle meno cariche, rispetto a quanto registrato dalla Voyager 1 al suo passaggio del confine. Ancora una volta, l’insieme dei dati raccolti ci lascia con più domande che risposte. 

4. L’influenza del sole si estende oltre il sistema solare
Il sole emette costantemente getti di plasma chiamati espulsioni di massa coronale (CME), che aiutano a modellare il resto del sistema solare. Secondo i dati raccolti dalle sonde, gli effetti dell’attività solare si estendono oltre i confini dell’eliopausa. I nuovi dati raccolti dalla Voyager 2, come i dati della Voyager 1, mostrano come i CME si propagano oltre l’eliopausa, riducendo così la quantità di raggi cosmici oltre la bolla. “Si tratta di un effetto simile a quanto si potrebbe rilevare in altre aeree della galassia”, spiega Gurnett. Anche le supernove emettono onde d’urto nella galassia che agitano il mezzo interstellare, sebbene su di una scala molto più intensa dei CME. “La stessa formazione del sistema solare, secondo la maggior parte degli astronomi, sarebbe stata innescata dall’onda d’urto interstellare partita da una supernova”, spiega. 

Se pensiamo al potenziale dei raggi cosmici di promuovere mutazioni biologiche nelle forme di vita sulla Terra, questi risultati supportano l’idea che il sole possa influenzare l’evoluzione di esseri viventi su mondi extraterrestri, in questo sistema planetario e altrove. 

5. L’ultima pietra miliare del programma Voyager
“Ai tempi del lancio dei due Voyager, l’era spaziale aveva solo 20 anni”, dichiara Stone. “Allora era difficile immaginare una missione della durata di 40 anni.” 

Tuttavia, l’analisi dell’eliopausa era la meta ultima prevista per entrambi i veicoli spaziali. Ciascuna sonda è alimentata da generatori termoelettrici radioisotopici mantenuti dal plutonio-238, un materiale soggetto a decadimento naturale. “Nel giro di cinque anni circa, le due sonde potrebbero non avere più l’energia necessaria a mantenere attivi i loro strumenti scientifici”, spiega Stone. 

Le due missioni continueranno a studiare le interazioni tra l’eliosfera del sole e il mezzo interstellare, fornendoci indizi su altri sistemi stellari. “Siamo convinti che ogni stella sia dotata di queste caratteristiche”, spiega Stone. “Quanto impariamo sulla nostra eliosfera ci permetterà di raccogliere maggiori informazioni sulle astrosfere di altre stelle.” 

La NASA continua a raccogliere i dati inviati da entrambe le sonde Voyager, e gli scienziati di diverse istituzioni degli Stati Uniti continuano a convertirli in utili approfondimenti scientifici. Non sono previsti nuovi programmi Voyager: l’unico veicolo spaziale attualmente indirizzato verso tali distanze, il New Horizons, finirà la carica a 90 UA dal sole. Il successo delle due missioni e le domande da esse sollevate non possono però che ispirare il progetto di nuovi studi che analizzino l’eliosfera e ciò che si trova oltre.

(lo)