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Alcune recenti proposte antitrust in campo tecnologico mostrano che ci sono molti modi possibili per combattere il potere assoluto di aziende come Amazon, Facebook e Google.

di Angela Chen

Gli organi di controllo statunitensi stanno seriamente mettendo in dubbio lo strapotere di Amazon, Apple, Google e Facebook. Questa nuova spinta ad arginare la potenza dei colossi tecnologici si avvale di una soluzione accattivante: fare uno “spezzatino” delle aziende. Ma non sarà facile “farle a pezzi” , e la storia del trustbusting, vale a dire le misure antimonopolio, suggerisce la possibilità di molte altre soluzioni.

In primo luogo si può fare in modo che le grandi aziende tecnologiche condividano i dati con quelle più piccole. Spezzettare le grandi aziende le indebolirebbe, ma potrebbe peggiorare la situazione per gli utenti, sostiene Viktor Mayer-Schönberger, professore di Internet governance presso l’Oxford Internet Institute e coautore di Reinventing Capitalism in the age of Big Data.

La condivisione di dati tra servizi come Google Search e Google Maps è utile, e la loro separazione potrebbe rendere questi servizi meno affidabili. Il problema principale, afferma Mayer-Schönberger, non è che le grandi aziende siano grandi di per sé, ma che le aziende più piccole non riescano a tenere il passo dell’innovazione, avendo a disposizione una quantità limitata di dati. A suo parere, sarebbe necessario richiedere alle grandi aziende di condividere dati, in forma anonima, con concorrenti meno potenti.

In secondo luogo si può intervenire impedendo che le grandi piattaforme tecnologiche abbiano un comportamento discriminatorio. Il problema, dice Hal Singer del George Washington Institute of Public Policy, è che Google si distingue dai concorrenti come Yelp, offrendo un trattamento privilegiato ad alcune recensioni sulla sua piattaforma, anche quando non meriterebbero una particolare attenzione.

Singer propone di introdurre un principio di non discriminazione simile a quello adottato nella regolamentazione dei canali via cavo: “Massima libertà di azione nello spazio dei contenuti, ma divieto di utilizzare  la propria piattaforma per favorire le aziende ‘amiche'”.

Oggi, le reti indipendenti possono avanzare reclami a un arbitro neutrale responsabile di assicurarsi che tutti siano trattati in modo equo. Singer pensa che questa idea possa essere applicata anche ad aziende come Google e Amazon, anche se rimangono dubbi sulla capacità delle piccole imprese di portare in giudizio un colosso tecnnlogico.

Una terza possibilità consiste nell’ impedire alle aziende tecnologiche di tenere “prigionieri” i propri utenti. Se la maggior parte delle persone è  su Facebook, pochi sceglieranno di spostarsi su un nuovo social network, in parte perché i loro amici non ci saranno e in parte perché non potranno portarsi dietro quanto hanno pubblicato su Facebook. I sostenitori della “portabilità dei dati” affermano che essere in grado di spostare i dati da una piattaforma all’altra potrebbe favorire la concorrenza.

Una proposta ancora più suggestiva è “l’interoperabilità dei dati”, che permette a diversi servizi di collaborare,  consentendo, per esempio, agli utenti di Instagram di postare su Snapchat e viceversa. Quando AOL e Time Warner si unirono nel 2001, la Federal Communications Commission costrinse AIM Instant Messenger a diventare compatibile con altri sistemi di messaggistica per promuovere la concorrenza.

Todd McKinnon, CEO della società di gestione delle identità Okta, afferma che i governi o le organizzazioni non profit dovrebbero creare un “portafoglio delle identità digitali” che dia alle persone un maggiore controllo sulle loro informazioni personali.

Anche se la proliferazione dei social network non garantisce necessariamente che tutti rispettino la privacy degli utenti, McKinnon crede che dare ai consumatori una scelta più ampia offra alle aziende “più di una motivazione per operare in accordo con le preferenze dai consumatori”.

Esistono anche molte altre strategie possibili, ma le resistenze saranno sempre molto sostenute. La cosa importante, conclude Stoller dell’Open Markets Institute, è che gli organi di controllo mettano in campo una serie coordinata di interventi: “Non c’è un modo super intelligente per farlo. In fondo il meccanismo è semplice. Si stabiliscono alcune regole: se non funzionano, si adottano regole diverse. Infine se le grandi aziende continuano a infrangere la legge, si possono sempre aprire le porti delle prigioni”.

 
(rp)