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Dopo i due precedenti articoli, il prof. Massimo Negrotti, docente di metodologia nella Università di Urbino e studioso delle relazioni tra naturale e artificiale, si sofferma in questo terzo e ultimo articolo sulle nuove modalità di interpretazione e di fruizione delle esecuzioni musicali.

di Massimo Negrotti

Dopo i due precedenti articoli – dedicati alla transizione tra i suoni artificiali e i suoni prelevati dalla realtà, il primo, e al problema delle “librerie” di suoni, il secondo – il prof. Massimo Negrotti si sofferma in questo terzo e ultimo articolo sulle nuove modalità di interpretazione e di fruizione delle esecuzioni musicali.

Il riferimento, fatto nell’articolo precedente, a una persona di media cultura musicale come momento di verifica della qualità dei suoni sampled ci porta direttamente al cuore della questione circa gli effetti della musica composta ed eseguita con questa tecnologia.

Probabilmente pochi ascoltatori sanno che le musiche presenti nei jingles dei messaggi pubblicitari, nelle sigle e nei commenti sonori di varie trasmissioni radio-televisive e, ormai, persino nelle colonne sonore dei film, sono generate quasi esclusivamente da software che “eseguono” composizioni affidate a suoni sampled. Questa prassi, motivata dal basso costo di produzione rispetto all’affidamento dell’esecuzione a professori d’orchestra, conta anche sul fatto che la sovrapposizione di immagini e suoni nasconde, per così dire, l’origine non reale degli strumenti che generano le frasi musicali. L’ascoltatore medio, impegnato nel seguire il contenuto di un messaggio pubblicitario o lo svolgersi dell’azione in un film, accoglie la presenza di una sezione di un’orchestra d’archi sampled senza porsi problemi.

Nelle prime fasi storiche dei suoni sintetizzati la loro evidente artificialità suggeriva invece ai compositori e agli stessi produttori cinematografici, radio-televisivi o di videogiochi, di proporre al pubblico commenti sonori o interi soundtrack nei quali i suoni erano intenzionalmente offerti in tutta la loro diversità dai suoni orchestrali tradizionali. L’origine elettronica di questi suoni consentiva, fra l’altro, di creare paesaggi sonori inusitati e l’elaborazione di frequenze e risonanze di varia natura permetteva di sottolineare emotivamente questo o quel momento della rappresentazione filmica, specialmente, ma non solo, nell’ambito della fiction fantascientifica.

L’attuale disponibilità di suoni virtuali, grazie al loro crescente realismo, reintroduce invece, potenzialmente, nei soundtrack l’originaria ambizione dei compositori a comporre musica pensata a tutti gli effetti per un’orchestra reale. Diciamo “potenzialmente”, perché il compositore, nel momento in cui si affida a suoni sampled, sa perfettamente cosa potrà e cosa non potrà ottenere dalle varie sezioni orchestrali e soprattutto dagli strumenti solisti. Questi ultimi, per la loro cruciale esposizione, tendono infatti a scomparire dalle composizioni o ad apparire solo per qualche attimo fugace, in termini quasi esclusivamente allusivi, senza alcun impegno protagonistico.

Presi nel loro insieme, i soundtrack contemporanei, pur in presenza di testi musicali talvolta eccellenti, finiscono dunque per porsi a un livello estetico mediocre, di pura sottolineatura emotiva. La prova sta nel fatto che, per ora e a parte taluni casi a carattere più o meno goliardico, non si conoscono serie esperienze di concerti, soprattutto se di musica “tonale”, dove il pubblico assista a esecuzioni generate da strumenti sampled. Se ciò accadesse, e forse accadrà, si profilerebbe, ipoteticamente, una situazione decisamente interessante. Da un lato, il pubblico più musicalmente sprovveduto, del resto immerso già da tempo in musiche eseguite da strumenti e orchestre sampled, non vi troverebbe alcunché di straordinario. Dall’altro lato, il pubblico mediamene colto, che avesse cioè qualche dimestichezza con i concerti dal vivo, riconoscerebbe quasi immediatamente la natura virtuale dell’esecuzione, magari accettandone la qualità compositiva e auspicandone il trasferimento esecutivo a una orchestra reale.

Rimarrebbe però una terza categoria, quella degli strumentisti professionali e quella dei compositori. È ovvio che non solo un grande pianista, ma anche un normale pianista professionale troverebbero sconcertante la disponibilità di soli 21 livelli di intensità del suono, così come un direttore d’orchestra non si troverebbe a suo agio avendo a che fare con sezioni che possano permettere solo limitate prestazioni dinamiche ed espressive. Il fatto è che l’interpretazione musicale, di composizioni altrui, è innanzitutto una sorta di progettazione mentale, un atto di pensiero che, poi, viene trasferito allo strumento o all’orchestra e lo sforzo esecutivo o direttivo consisterà proprio nel tentativo di ottenere dallo strumento o dall’orchestra esattamente ciò che l’esecutore o il direttore hanno elaborato mentalmente. Se tutto ciò è all’origine di varie difficoltà nella relazione con lo strumento da parte di un solista o con le sezioni orchestrali reali da parte di un direttore, non dovrebbe sorprendere che esse si presentino ancora più vistosamente avendo a che fare con strumenti o sezioni sampled.

L’impiego di suoni sampled nella composizione pone però ulteriori problemi. Ci si può infatti chiedere se il pianoforte, che è stato lo strumento di elezione per quasi tutti i compositori classici, possa venire sostituito dalle librerie di suoni oggi disponibili. Se è sicuro che un compositore, per mezzo della tastiera del pianoforte, sa già largamente cosa si otterrà, sul piano acustico ed estetico, trasferendo le frasi che egli compone a strumenti o sezioni orchestrali reali, ci si può interrogare sulla possibile efficacia aggiuntiva del trasferimento immediato delle parti a strumenti o orchestre virtuali.

Non è facile fornire una risposta, sia perché non esistono studi al riguardo sia perché l’attuale diffusione dei suoni sampled sembra essere circoscritta, come abbiamo visto, ad ambienti professionali che non assumono la composizione finale come prototipo di una esecuzione reale, ma esattamente per quello che essa è nei suoi termini virtuali. Ciò facendo, il compositore potrebbe finire per adattare la composizione alle caratteristiche e alle limitazioni della tecnologia disponibile piuttosto che pretendere dall’orchestrazione e dall’esecuzione l’adattamento al proprio pensiero musicale.

Un punto resta tuttavia molto chiaro. L’attuale disponibilità di esecuzioni musicali classiche registrate digitalmente sui CD o disponibili in Internet rappresenta il culmine di quella riproducibilità che tanto ha fatto disperare critici come Walter Benjamin o Theodor Adorno, strenui difensori dell’“aura” che avvolge una esecuzione dal vivo nella sua irripetibile unicità. Questo atteggiamento è solo parzialmente accettabile poiché le esecuzioni dal vivo non sono sempre tali da entusiasmare mentre quelle incluse in un CD sono, di norma, curate molto bene sotto il profilo acustico oltre che musicale in senso tecnico e, alla fine, approvate dal solista o dal direttore d’orchestra.

Del resto, l’ascolto attento di un concerto dal vivo viene spesso condizionato proprio dalla “unicità” non sempre corretta dei musicisti e, non raramente, dal comportamento del pubblico o dalle proprietà acustiche non ideali della sala. Il carattere “pulito” – basti pensare all’intonazione – delle registrazioni su CD, al contrario, è sicuramente, sotto un certo profilo, qualcosa di irreperibile nella realtà, ma, proprio per questo, consente di meglio valutare una composizione, un po’ come avviene leggendo le parti o l’intera partitura prima ancora della loro esecuzione.

In questo quadro, la produzione di musica per mezzo di sample tende a convergere con le registrazioni classiche su CD, nel senso che ambedue fanno ricorso a una serie di tecniche digitali di programmazione del suono estremamente vasta e personalizzabile, che da luogo a prodotti musicali minuziosamente “interpretati”. La differenza consiste semmai nel carattere utopico della possibile riproduzione attraverso sample delle irraggiungibili sottigliezze degli strumenti reali.
Ciò però non implica affatto che, attraverso questa tecnologia, non sia possibile aspirare a comporre musiche degne di una propria, diversa peculiarità e autenticità, che andrebbero studiate da vicino come ogni altro tipo di possibile sviluppo dell’arte musicale.