Missione idrogeno

L’UE ha assegnato a questo vettore energetico un ruolo di primo piano nel proprio progetto strategico di transizione verso un’economia con impatto ambientale zero entro il 2050. Gli ostacoli non mancano, ma il mondo della ricerca è impegnato a superarli.

di Giuseppe Sammarco

Uno strumento a disposizione dell’uomo per decarbonizzare il mix energetico è l’utilizzo dei vettori energetici a emissioni nette di gas serra pari a zero o ridotte. I vettori sono fonti “secondarie” ottenute da un processo di trasformazione energetica. Per questo motivo, effettuare una valutazione corretta delle emissioni a loro associate significa misurare l’impatto nel ciclo di vita intero della fonte.

I gas serra emessi da conteggiare sono, dunque, sia quelli associati al processo di trasformazione energetica sia quelli associati all’utilizzo del vettore energetico stesso. Alcuni di questi vettori sono i biocombustibili prodotti a partire dalle biomasse e le fonti di energia prodotte a partire da alcune tipologie di rifiuti. Ma, proprio in questi ultimi mesi, un altro vettore energetico – l’idrogeno – è oggetto di una rinnovata attenzione da parte della comunità internazionale degli esperti e, in particolare, da parte dell’Unione europea che ha assegnato all’idrogeno un ruolo importante nel proprio progetto strategico di transizione verso un’economia con impatto ambientale zero entro il 2050 (il Green Deal).

L’idrogeno, infatti, si presenta in forma gassosa a pressione e temperatura ambiente e può generare energia o attraverso il semplice processo di combustione o quando è utilizzato in “macchine” speciali chiamate “fuel cells” (le celle a combustibile), grazie alle quali è possibile generare energia elettrica. In entrambi i casi, nella fase di utilizzo l’idrogeno produce energia senza emettere anidride carbonica o inquinanti, ma vapore acqueo. Per questo motivo in molti ritengono che costituisca una delle soluzioni ideali per decarbonizzare il sistema energetico.

Non tutti, però, sono consapevoli del fatto che l’idrogeno sia il prodotto di una trasformazione energetica e che questa caratteristica abbia alcune implicazioni proprio in termini di emissioni nette di anidride carbonica. Per poterle valutare dobbiamo esaminare le singole filiere di produzione nella loro interezza. Le tecnologie – già disponibili o allo studio – per produrre idrogeno sono molte, ma attualmente quelle più utilizzate sono lo steam reforming del gas naturale e l’elettrolisi dell’acqua.

Con lo steam reforming – il processo oggi più diffuso per la produzione di idrogeno a scopo industriale – si utilizza come fonte primaria di partenza il gas naturale, le cui molecole contengono carbonio e idrogeno. Attraverso una particolare tecnologia si combina il gas naturale con il vapore acqueo ad elevate temperature ottenendo idrogeno e anidride carbonica separati. L’idrogeno è utilizzato come vettore energetico e non genera gas serra, mentre la CO₂ generata nel processo produttivo o è emessa in aria oppure è catturata e stoccata (utilizzando tecnologie – la CCS – che esamineremo più in dettaglio in uno dei prossimi articoli).

Nel primo caso l’idrogeno è detto “grey hydrogen” e le emissioni di anidride carbonica associate sono quelle del processo produttivo, pari sostanzialmente a quelle della combustione del gas naturale. Nel secondo caso l’idrogeno è detto “blu hydrogen” (un vettore energetico che abbiamo già incontrato nello scorso articolo dedicato al gas naturale) e le emissioni di anidride carbonica associate sono molto basse o nulle, a seconda della percentuale di CO₂ proveniente dal processo di steam reforming che è catturata e stoccata.

L’idrogeno è prodotto anche dall’elettrolisi dell’acqua. In questo processo il passaggio di corrente elettrica nell’acqua (H₂O) causa la scomposizione della sua molecola in ossigeno e idrogeno allo stato gassoso. In questo caso non si genera anidride carbonica neppure nel processo produttivo dell’idrogeno. Ma se l’energia elettrica utilizzata è generata dalla combustione di fonti fossili, l’emissione di CO₂ si sposta solamente a monte e la filiera del processo che genera idrogeno non è a emissioni zero. Solo se l’anidride carbonica prodotta dalla generazione elettrica è catturata e stoccata o se l’energia elettrica utilizzata è prodotta da fonti rinnovabili come l’eolico o il solare, le emissioni complessive scendono a zero (in questo ultimo caso si parla di “green hydrogen”).

L’utilizzo dell’idrogeno, quindi, non assicura di per sé un bilancio emissivo di anidride carbonica pari a zero: dipende dalla filiera da cui proviene. A questo problema si associa quello del costo di produzione attualmente su un livello ancora elevato, in particolare se si utilizzano tecnologie a zero impatto emissivo. Infine, l’idrogeno è un gas dotato di caratteristiche chimiche e fisiche particolari, prima fra tutte una densità energetica particolarmente bassa (un m3 di idrogeno contiene un terzo dell’energia di un m3 di gas naturale) che implica l’utilizzo di elevate pressioni o il passaggio allo stato liquido (a -250°C) per il suo trasporto o stoccaggio.

Proprio a causa di queste caratteristiche peculiari la catena di trasporto, distribuzione e stoccaggio e l’utilizzo presso il consumatore finale richiedono particolari precauzioni e infrastrutture e impianti di combustione dedicati per garantirne la sicurezza. Ad esempio, l’idrogeno può essere trasportato utilizzando la rete di trasporto e distribuzione del gas naturale solo se è miscelato ad esso in basse percentuali basse (tra il 5% e il 20% del totale). Se si vuole trasportarlo e distribuirlo in forma pura (senza miscelarlo) è necessario predisporre una rete dedicata utilizzando tubazioni costruite con materiali appositi.

Gli ostacoli a una rapida diffusione dell’idrogeno non mancano, dunque, ma il mondo della ricerca e dell’industria dell’energia sono da tempo al lavoro per cercare di superarli. In Italia, sono numerosi i progetti Eni sull’idrogeno e sulla produzione di idrogeno blu o da altre filiere basso-emissive.

(lo)

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