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Alcuni influencer inseriscono sui social le storie di persone che vivono questa difficile condizione senza preoccuparsi del consenso consapevole di chi viene ripreso nelle immagini. Come fare per restituire diritti e dignità a queste persone?

di Abby Ohlheiser 19-02-22

Una diagnosi di demenza può cambiare rapidamente il modo in cui gli altri vedono una persona. Lo stigma può avere conseguenze di lunga durata. Internet potrebbe aiutare a condividere le difficoltà della convivenza con la demenza con chi sta vivendo una situazione simile, ma spesso non è così. L’hashtag #Dementia su TikTok ha 2 miliardi di visualizzazioni. Anche se molti dei video più popolari sono coinvolgenti o educativi, è facile trovarne di virali in cui i fornitori di assistenza – un’espressione che molti sostenitori preferiscono alla parole badante più comunemente usata – deridono i pazienti con demenza.

Non c’è un accordo sulle regole etiche della pubblicazione di questi contenuti riguardanti persone che potrebbero non essere più in grado di acconsentire a essere filmate. Nel frattempo, questi contenuti virali perpetuano gli stereotipi o travisano l’intera natura della condizione specifica. “Da tempo ne stiamo parlando”, afferma Kate Swaffer, cofondatrice di Dementia Alliance International, un’organizzazione no profit i cui membri condividono questa condizione. A Swaffer è stata diagnosticata una demenza semantica che si è presentata quando aveva solo 49 anni.

Il fenomeno è più generale e riguarda pratiche diffuse su Internet come lo sharenting, vale a dire la diffusione da parte dei genitori di contenuti sui figli, i vlogger familiari e gli influencer genitoriali. Ma le differenze sono evidenti. I bambini, all’inizio protagonisti involontari dei feed sui social media dei loro genitori, crescono e possono manifestare il loro pensiero su quanto pubblicato, ma gli adulti con demenza non sono in questa condizione.

Legalmente, un assistente domiciliare o un familiare munito di procura può acconsentire per conto di una persona che non è in grado di farlo. Questo standard, però, non è sufficiente a proteggere i diritti e la dignità di coloro che vivono con una demenza in stadio avanzato. L’idea di Swaffer è la seguente: nessuno dovrebbe condividere sui social contenuti su qualcuno in fase avanzata di demenza, se quella persona non ha esplicitamente acconsentito prima di perdere la capacità cognitiva di farlo.

La parte buona dei social

Molti dei video sulla demenza più popolari su TikTok riprendono situazioni particolari. In uno, un padre sussurra “ti amo” a sua figlia: 32 milioni di visualizzazioni. In un altro, una figlia ride mentre suo padre, che non si ricorda del grado di parentela con lei, canta a memoria White Woman’s Instagram, la canzone del comico Bo Burnham.

La prima volta che Jacquelyn Revere è entrata in un gruppo di supporto per assistenti di familiari con demenza, si sentiva a disagio. Revere, allora una ventenne che si era appena trasferita da New York City per tornare a casa in California per prendersi cura di sua madre e sua nonna, era la persona più giovane nella stanza.ù

Alla fine, Revere ha iniziato a pubblicare come @momofmymom  alcuni video dei suoi rapporti con la madre, Lynn, che all’epoca poteva tenere una conversazione e acconsentire a essere filmata. Sembrava una gestione condivisa del canale. Ora ha più di mezzo milione di follower su TikTok, inclusi molti colleghi millennial che assistono a loro volta qualche familiare.

In un video, lei e sua madre trascorrono una giornata insieme, frequentando una lezione di ginnastica all’aperto e incontrando alcuni amici nel parco. In un altro, Revere siede in macchina da sola, raccontando a voce alta le difficoltà di fronte al progressivo aggravamento delle condizioni della madre. Con il tempo, i video di Revere privilegiano gli aspetti educativi: cosa fa di fronte all’abitudine della madre di nascondere pezzi di carta in ogni parte della casa, come mantenere un dialogo, come reagire di fronte ai continui cambiamenti

Video come quelli di Revere possono aiutare chi fornisce assistenza a capire come affrontare le sfide significative dell’aiutare una persona cara con demenza, o semplicemente farla sentire meno sola, afferma Teepa Snow, una educatrice e terapista che insegna ad assistenti domiciliari e a operatori sanitari come affrontare le situazioni che si presentano con chi soffre di demenza. Il problema è che per ogni creatore di contenuti come Revere, ce ne sono molti che usano i social media per deridere la persona di cui si prendono cura.

La parte negativa

A volte i membri della famiglia e persino gli operatori sanitari condividono un video sui social media per documentare un momento difficile. Probabilmente, chi pubblica “si sente mal giudicato per il trattamento riservato a una persona affetta da demenza o ritiene di trovarsi di fronte ad atteggiamenti aggressivi”, afferma Snow. Ma un video racconta un punto di vista, non l’intera storia

Alcuni dei primi video virali che Snow ricorda di aver visto sono stati creati per sostenere che la persona ripresa non era in grado di vivere in modo indipendente. Un account TikTok associato a un’organizzazione canadese di operatori di assistenza a lungo termine ha ritirato dalla piattaforma il suo video, in cui venivano derisi pazienti affetti da demenza, dopo le accese reazioni negative.

Swaffer è anche turbata dal modo in cui i video virali rappresentano l’infantilismo delle persone con demenza che ha notato nella vita reale. Ricorda di aver frequentato gruppi di supporto in cui lei stessa è stata trattata come se avesse scarse capacità cognitive, malgrado le sue tre lauree e il dottorato di ricerca appena iniziato dopo la diagnosi. Questo stereotipo è rafforzato da video estremamente popolari che mostrano pazienti affetti da demenza alle prese con bambole e giocattoli per bambini.

Gli stereotipi trasmessi viralmente hanno un impatto negativo palpabile su coloro che convivono con la demenza. A Christine Thelker, attivista e autrice canadese, è stata diagnosticata una demenza vascolare otto anni fa. Quasi immediatamente, le persone a lei vicine hanno iniziato a mettere in dubbio la sua capacità di lavorare, guidare un’auto e rimanere da sola. Thelker vive ancora in autonomia e sostiene di non aver perso tutte le sue capacità dall’oggi al domani, anche se un volontario viene una volta alla settimana per aiutarla.

Swaffer ha subito una discreta dose di ostilità online per aver tentato di sfidare queste narrazioni sulla demenza. “C’è stata una lunga discussione sull’uso del linguaggio, in particolare quando veniamo definite persone che soffrono di demenza. Per favore non chiamateci malati“,dice. Thelker ha avuto esperienze simili. “Queste definizioni non sono adeguate a chi si trova nelle prime fasi della demenza“, spiega. “Potrebbe essere riferito a persone che si trovano alla fine di questo percorso, non a chi potrebbe ancora avere una vita normale per 20 anni”.

Snow ritiene che questa superficialità sia legata alla mancanza di un buon supporto a chi assiste queste persone. “Non si considera la demenza come una condizione che mette in gioco due persone“, sostiene, “e la seconda è chi fornisce assistenza”. I membri della famiglia non sono formati per affrontare la demenza. Non tutti hanno le risorse finanziarie per vedere un terapeuta. 

E così alcuni di loro si rivolgeranno ai gruppi di Facebook, colmando una lacuna lasciata dai fornitori di servizi sanitari. “Si sentono sopraffatti, sconfitti e frustrati”, dice Snow. Ma questi gruppi possono rafforzare alcune delle peggiori narrazioni sulla demenza, poiché i membri sono esasperati e condividono le foto dei loro cari nei momenti peggiori.

Come migliorare la situazione

Sempre più persone hanno iniziato a fare piani per l’eredità digitale che lasceranno dopo la morte. Siti come Facebook e Instagram dispongono di strumenti che consentono agli utenti di specificare come conservare il proprio account e chi può accedervi. Ma poche persone pensano a cosa accadrebbe alla loro presenza online se perdessero la capacità di gestirla in autonomia mentre sono ancora in vita, e non molte parlano con i loro cari di come vorrebbero che gli altri li rappresentassero.

Non ci sono buone pratiche consolidate per rappresentare la demenza online. Swaffer si è unita a diversi gruppi di Facebook frequentati da chi assiste persone con demenza. Lei stessa ha prestato cure ad altri tre volte nella sua vita. “Il mio livello di sofferenza quando aiutavo le altre persone era molto più alto di quello legato alla mia demenza“, dice. “Guardare qualcuno che perde progressivamente le sue capacità e poi muore è un’esperienza incredibilmente dura”.

“Alcuni di noi sono ottimisti, altri pessimisti e altri ancora si trovano nel mezzo”, afferma Swaffer. Un pessimista potrebbe focalizzarsi sul discorso della sofferenza e sarebbe difficilmente criticabile perché si tratta di un’ esperienza personale”, dice, “ma credo che siano possibili altre interpretazioni”.

Revere ha imparato nel tempo ad essere più sfumata nel rapporto con sua madre, che non è più in grado di dare un consenso consapevole al contenuto del video che viene filmato. A volte, Revere si pente di alcune scelte fatte. Il suo video più virale, in cui mostra come togliere il collutorio a sua madre senza iniziare a litigare, è quello che ora si rammarica di aver postato. Ora, Revere aspetta 24 ore dopo aver filmato un nuovo video prima di pubblicare qualsiasi cosa su TikTok. Poi, lo rivede. Se gli sembra accettabile, lo pubblica.

Per trovare la giusta via di comportamento, la persona che fa le riprese deve considerare la persona affetta da demenza come un essere umano con pensieri meritevoli di rispetto. Thelker, da parte sua, non è molto preoccupata di controllare la sua presenza online mentre la sua demenza avanza, anche se spera che i suoi cari rifletteranno a lungo prima di pubblicare video su di lei.

(rp)