Medici intendono testare una terapia genetica preventiva per l’Alzheimer

Un innovativo trattamento contro la demenza inonderà il cervello dei pazienti con una versione a basso rischio di un gene determinante.

di Antonio Regalado

Chiamato anche il “gene della dimenticanza,” l’APOE esiste in tre versioni comuni, chiamate 2, 3 e 4. Il tipo 2 riduce i rischi di Alzheimer, il 3 si mantiene i rischi nella media, il 4 li incrementa drasticamente. In senza di cura e della possibilità di modificare i propri geni, i medici preferiscono solitamente non testare l’ APOE per evitare di provocare nei pazienti ansie senza soluzione.

Ciononostante, alcuni medici di New York City hanno deciso di testare un’innovativa terapia genetica che prevede la somministrazione di dosi massicce di APOE2 a pazienti portatori di APOE4. I test verranno condotti su pazienti già affetti dall’Alzheimer’s. Se la terapia si dimostrerà capace di rallentare il decorso del morbo, potrebbe risultare in una possibilità di prevenzione. I test clinici, verranno condotti sotto la direzione di Ronald Crystal al Weill Cornell Medicine di Manhattan.

L’obiettivo della maggior parte delle terapie genetiche è curare malattie come l’emofilia, sostituendo un singolo gene difettoso. Le nuove istruzioni genetiche sono solitamente somministrate alle cellule del paziente utilizzando un virus. Sono rare, però, le malattie provocate da una singola variante genetica e l’Alzheimer non sembra essere tra queste.

Kiran Musunuru, professore della University of Pennsylvania specializzato nella ricerca di trattamenti genetici contro le cardiopatie, definisce l’esperimento in programma a New York un nuovo genere di terapia genetica, volto alla riduzione dei rischi futuri per individui sani piuttosto che alla cura di pazienti già affetti dal morbo. Secondo Crystal, il progetto evita anche il dilemma sulle cause dell’Alzheimer, divenuto ormai una roulette multimiliardaria a perdere per società farmaceutiche e pazienti. “C’è chi crede che la causa del morbo sia da ricercare negli amiloidi,” spiega Crystal, mentre altri puntano sulle proteine tau. “La risposta è probabilmente molto complessa,” prosegue. “Abbiamo deciso di ignorare tutto ciò e partire da un punto di vista genetico.”

La squadra di Crystal si appoggia ad una scoperta di 25 anni fa, quando ricercatori della Duke University si presero il compito di identificare qualunque proteina connessa agli amiloidi. Scoprirono così che la più comune proteina tra i pazienti affetti dal morbo era l’Apolipoproteina-e, codificata dal gene APOE4, dalle funzioni ancora poco note, connesse al trasporto di colesterolo e grassi.

Il 65% dei pazienti affetti da Alzheimer sono portatori di almeno una copia di questo gene ad alto rischio. Per i portatori di due copie del gene, la demenza è quasi inevitabile se si vive sufficientemente a lungo. I ricercatori hanno però osservato che individui portatori sia del tipo 4 che del tipo 2, sono soggetti ad un rischio medio di incorrere nel morbo.

Questo effetto compensativo è quanto i medici del Weill Cornell sperano di riprodurre. Il centro sta arruolando individui portatori di due copie di APOE4 già affetti da perdite di memoria o con una diagnosi di Alzheimer certificata. I primi volontari riceveranno un’infusione di miliardi di virus portatori del tipo 2 direttamente nella colonna vertebrale. Dai test condotti su topi, i loro cervelli dovrebbero cominciare ad accumulare meno amiloidi.
Lo studio è di natura preliminare. Secondo Crystal, non si sa nemmeno se il nuovo gene sarà capace di funzionare a livelli percepibili. I ricercatori dovranno estrarre fluido spinale dai pazienti per verificare la comparsa di nuove proteine di tipo 2.

I cambiamenti cerebrali che portano a dimenticare i nomi delle persone o dove si siano appoggiate le chiavi di casa iniziano decenni prima. I pazienti che parteciperanno a questi primi test non potranno aspettarsi molto. Ciononostante, la Alzheimer’s Drug Discovery Foundation ha offerto a Crystal $3 milioni per condurre lo studio. Il nuovo studio potrebbe rappresentare un pietra miliare nel campo della ricerca sull’Alzheimer. Promette la possibilità di trattare preventivamente gli individui a maggior rischio e di rallentare il progresso del morbo quando fosse inevitabile.

Immagine: Bunyos, Getty, MIT Technology Review

(lo)

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