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«Il prossimo dicembre ricorrerà il trentennale della morte di Marshall McLuhan (Edmonton 1911 – Toronto 1980), mentre nel luglio 2011 ricorderemo i cento anni dalla sua nascita.

Questo gioco ravvicinato di date apre un periodo propizio per mettere in calendario un evento internazionale che possa servire a fare il punto sulla reale influenza che questo affascinante e sicuramente originale studioso canadese continua a esercitare sullo sviluppo del pensiero contemporaneo applicato ai media e sul cambiamento socioculturale. Proveremo con l’occasione a ospitare a Roma il figlio Eric, attento filologo, interprete e continuatore degli scritti del padre, che ha portato a compimento l’ultima opera di McLuhan Le leggi dei media. Credo potrà dirci molte cose che non sappiamo ancora».

Non si sbilancia sui dettagli, ma si intuisce che Gianpiero Gamaleri, ordinario di Sociologia dei processi comunicativi presso l’Università di Roma Tre, ha in mente un’iniziativa importante per celebrare la figura e l’opera di un pensatore cui ha dedicato un continuo e apprezzato lavoro di ricerca e di divulgazione.

«Ho conosciuto McLuhan di persona, a Venezia, nell’ormai lontano 1975. Sono rimasto immediatamente folgorato dalla profondità, ma soprattutto dalle intuizioni di un uomo brillante, che non ebbe vita facile. Spesso si dimentica che è stato “perseguitato” dai colleghi universitari, troppo irreggimentati dentro rigidi steccati formali, costituiti dai propri ambiti disciplinari. I suoi celebri slogan sono arrivati come autentiche scosse, che hanno avuto la capacità di mettere in crisi i luoghi comuni, aprendo la riflessione verso scenari innovativi in una chiave interdisciplinare, capaci di coinvolgere tanto i giovani di allora, che quelli di oggi».

Partiamo da questo sentimento di ostilità marcata. Quali erano le ragioni?

Le culture allora dominanti presentavano una forte impronta ideologica e quindi contenutistica, focalizzata su visioni utopistiche. Vi era un’intransigente prevalenza del messaggio sul mezzo e sostenere il contrario significava farsi sbeffeggiare. Oggi anche gli eredi di quelle culture sono consapevoli dell’importanza della Rete come ambito di espressione e anche di condizionamento dei contenuti. Basta pensare, come cartina di tornasole, al tema della pubblicità. Era vista con sospetto se non con ostilità da alcuni ambienti intellettuali tradizionalisti, che erano restii ad accettare la logica del mercato come molla dell’evoluzione sociale.

Il denaro è stato uno dei temi che McLuhan ha trattato anticipando il futuro, pur non essendo un «neocapitalista». Egli concepiva la moneta come mezzo di sviluppo non solo dell’economia, ma anche della creatività umana e della società.

C’era poi sempre il gioco paradossale del suo linguaggio, che dava luogo a indimenticabili battute umoristiche ricche di verità, come quando diceva che «la moneta è la credit cart dei poveri». Credo che abbia ragione più che mai. I poveri non possono andare in alberghi a cinque stelle perché non hanno la carta di credito da depositare.

Sono le metafore di McLuhan, quelle che hanno raggiunto straordinaria popolarità, a esprimere ciò che rimane vivo del suo insegnamento?

L’immagine più nota, cui i tutti massmediologi hanno attinto a piene mani, è sicuramente «Il mezzo è il messaggio», perchè capace di collocarsi in netto contrasto rispetto a quei tanti pensatori che tendono a ridurre tutto al contenuto, quando sappiamo bene che è la Rete che crea di per se stessa delle opportunità di comunicazione. L’infrastruttura digitale ha cambiato i processi della significazione.

«Il villaggio globale» è un’altra eccezionale intuizione che va interpretata come un’anticipazione forte che l’esplosione dei digital media ha reso concreta ed evidente. Ricorderei anche una battuta meno nota ma efficacissima, realizzatati con lo sbarco sulla Luna. McLuhan parlava di «Astronave Terra», suggerendo l’adozione di un punto di vista altro, che fa vedere il nostro pianeta come una grande astronave proiettata nello spazio, con a bordo sei miliardi di individui, di fronte alla quale, essendo in tanti, abbiamo solo una scelta: quella della solidarietà, della collaborazione, della condivisione. Attraverso uno slogan McLuhan anticipava un’anima ecologista che nessuno aveva riconosciuto in lui.

Secondo McLuhan, i media influiscono sulla stessa visione del mondo. Questa sorta di «ontologia» dei media quali conseguenza ha avuto sul piano teoretico e filosofico?

è tutta l’impostazione del pensiero mcluhaniano che va presa in esame, per capire la straordinaria forza che ha esercitato dal punto di vista teoretico e pratico.

Il primo aspetto riguarda la concezione dei media, considerati come protesi del nostro sistema nervoso centrale e della nostra fisicità. Il vestito è una protesi della pelle, così come la casa è una protesi della pelle e del vestito. Se ci spostiamo ai media che hanno un’incidenza sulla percezione, come la televisione, ci rendiamo conto che sono legati allo sviluppo dell’occhio e dell’orecchio, fino ad arrivare a una percezione più completa, che confluisce sempre di più in una dimensione tattile. Basta pensare a un suo titolo, sicuramente meno citato, Dall’occhio all’orecchio. Lo studioso canadese si era già allora accorto che nella televisione la componente tattile era presente, perché ci immette in un contesto nel quale ci sentiamo fisicamente presenti. Pensiamo al successo e alla diffusione dei talk show, che danno la sensazione di trovarsi gomito a gomito con gli altri partecipanti. Nel set televisivo, vista, udito e tatto sono contemporaneamente valorizzati. Al senso della distanza e della separazione si contrappongono i sensi della vicinanza e della partecipazione: l’udito e il tatto, appunto.

Una visione confermata e rafforzata dalle nuove «forme» della televisione.

Sicuramente. La TV tridimensionale, che ci permette di «toccare» oggetti e persone, gli studi e le sperimentazioni che si stanno facendo sull’impiego degli ologrammi, che proiettano una realtà virtuale tridimensionale, ci trasportano in un nuovo universo percettivo e multimediale. Aisthesis, da cui etimologicamente deriva il termine «estetica», in greco vuole dire sensazione. All’apprezzamento della categoria del bello si associa la percezione, lo stare in contatto con la realtà. Queste due dimensioni, sono termini forti dell’estetica di McLuhan, destinati a rimanere nel futuro.

Altro aspetto importante che costituisce la metodologia di riflessione e di ricerca dello studioso è costituito dall’interdisciplinarità. Il futuro, diceva fin dagli anni Sessanta, in pieno sviluppo industriale postbellico, non sarà tanto degli specialisti, che pure sono necessari, ma dei generalisti. In un’epoca dominata dalla globalizzazione c’è un enorme bisogno di soggetti che sappiano essere leader, che abbiano cioè la capacità di cogliere a tutto tondo le tendenze evolutive della realtà. Le specializzazioni impazzite rischiano infatti di diventare patologiche e ciò diventa particolarmente evidente quando, come tutti abbiamo sperimentato, non si riesce più a trovare un medico di famiglia capace di osservare il paziente nella sua interezza.

Lo sviluppo dell’Information Society ci restituisce alla oralità, ma al tempo stesso provoca una riscoperta della funzione della scrittura alfabetica. Qual è il suo parere in merito?

Ricordo quanto affermava un grande gesuita, Walter Jackson Ong (1912-2003), pressoché coetaneo di McLuhan e che ho personalmente conosciuto all’Università di St.Louis, nel Missouri. Faceva parte della élite intellettuale del pensiero cristiano. Scrisse quello che poi sarebbe stato il suo best seller: Oralità e scrittura, secondo un percorso parallelo a quello tracciato da McLuhan.

Dall’oralità dell’uomo primitivo alla scrittura dell’uomo gutenberghiano si compie un passaggio fondamentale per l’evoluzione dell’umanità verso la conoscenza e, in particolare, la scienza. Siamo recentemente tornati verso forme di oralità in cui sono presenti alcuni mezzi auditivi: penso al telefono cellulare e alle innumerevoli applicazioni connesse. L’oralità rispetto alla scrittura ha la capacità di favorire forme di comunione, di solidarietà. L’ambiente auditivo è infatti collegiale. Il rapporto indotto dalla scrittura è invece individuale.

Su questa concstatazione McLuhan ha costruito la sua interpretazione dei rapporti tra cattolicesimo e protestantesimo. Quest’ultimo, come è noto, si basa sull’esegesi della scrittura, strumento individuale per eccellenza, che media il rapporto con Dio. Il cattolicesimo, al contrario, si fonda sull’esperienza della comunità. La chiesa è un’esperienza orale, comunitaria, solidale.

Per restare alla domanda, va detto che il prepotente sviluppo dei media e delle tecnologie porta a un riequilibrio in cui sono presenti tutte queste componenti che esaltano anche i sensi della vicinanza e della partecipazione, in una dimensione integrata sorprendentemente coerente con quanto McLuhan aveva scritto in diverse opere.

Barbara Spinelli, nella intervista pubblicata da Technology Review, ha ricordato come nell’Ottocento fosse il romanzo a possedere il respiro lungo della storia, mentre il giornalismo era guardato con diffidenza. Ora bisogna tornare a «inoltrarsi con la scrittura nel buio». La macchina dell’informazione a quali regole deve attenersi nell’epoca dei personal media?

Quanto si sta verificando sul fronte dell’informazione, che può essere ricondotto alla impostazione di McLuhan, riguarda il rapporto sempre più diretto che il cittadino può avere con la notizia. Alvin Toffler ci ha insegnato il passaggio dal consumer al prosumer, per cui non siamo più soltanto consumatori, ma anche produttori di notizie. Molte informazioni, spesso decisive per la ricostruzione degli eventi, sono affidate alle immagini dei cellulari o alle telecamere di sicurezza.

Questo fenomeno scredita il ruolo del giornalista? Sicuramente no. Per dirla con McLuhan, si possono rilevare innumerevoli eventi attraverso l’immediatezza delle tecnologie, ma si deve anche avere una chiave interpretativa dello sviluppo di fatti e situazioni. La responsabilità degli operatori dell’informazione risulta aumentata, perché devono dimostrare che la selezione degli eventi e la loro interpretazione si presentano in coerenza con i fatti di cui il cittadino dispone in presa diretta.

L’attenzione agli strumenti è uno degli insegnamenti di McLuhan. L’IPad, arrivato da poco in Italia, permetterà di sposare la carta e il digitale. Cosa ne pensa? Mi sono illuso per un certo periodo di tempo che la salvezza del patrimonio culturale sarebbe stata rappresentata dal PC. In realtà, a causa della precarietà dello strumento, ho rischiato di perdere più volte tutto il mio archivio. L’Enciclopedia Italiana garantisce la conservazione del foglio stampato per circa 500 anni. In cinque anni ho dovuto cambiare diversi hard disk andati in avaria. I tecnici raccomandano sempre di duplicare, ma dovremmo passare la nostra vita al computer.

Questo insieme di cose mi fa capire che bisogna essere molto prudenti nell’affidare alle nuove tecnologie il patrimonio culturale. Anche se i miglioramenti sono stati enormi, la labilità del supporto informatico rischia di essere grave. Per non parlare dell’eccesso di dati: pensiamo alle migliaia di foto digitali che scattiamo e che hanno come conseguenza la perdita di gerarchia nei ricordi.

Penso in definitiva che ci troviamo in presenza di un insieme di cose che rende l’idea di «liquidità proposta da Bauman applicabile anche alla memoria. La memoria, nell’epoca dei digital media si presenta, infatti, straordinariamente liquida, proprio come la società.