Magnetometri atomici

I minuscoli sensori di campo magnetico di John Kitching potrebbero spingere l’imaging topografico dove non si è mai avventurato.

di Katherine Bourzac

Chi

John Kitching, US National Institute of Standards and Technology

Caratteristiche

I magnetometri atomici miniaturizzati delle dimensioni di un chicco di riso consumano poca energia e sono sensibili anche a campi magnetici molto deboli.

Sviluppi

I magnetometri, minuscoli e poco costosi, potrebbero aprire la strada a macchine portatili per l’MRI, a strumenti per la rivelazione di congegni esplosivi sepolti e a nuovi modi per valutare la portata di depositi minerari difficilmente accessibili.

Contesto

Il processo di miniaturizzazione di questi sensori, ideato da Kitching, potrebbe estenderne il loro uso nel decennio futuro.

I campi magnetici sono ovunque, dal corpo umano al metallo nei campi di mine sotterrate. Persino le molecole come le proteine generano i loro particolari campi magnetici. L’imaging a risonanza magnetica (MRI), che fornisce dettagliate immagini dell’organismo, e la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR), che è usata per studiare proteine e altri composti come il petrolio, si affidano all’informazione magnetica. Ma i sensori oggi utilizzati per rivelare questi deboli, ma significativi campi magnetici presentano una serie di svantaggi. Alcuni sono portatili ed economici, ma non molto sensibili; altri sono particolarmente sensibili, ma fissi, costosi e ad alto consumo di energia.

Ora John Kitching, un fisico del National Institute of Standards and Technology, a Boulder, in Colorado, sta producendo minuscoli sensori magnetici a basso consumo sensibili quasi come i sensori più grandi e costosi. Più o meno della grandezza di un grosso chicco di riso, i sensori sono chiamati magnetometri atomici. Kitching ritiene che in futuro saranno incorporati in ogni tipo di apparecchiatura, dalle macchine MRI portatili ai rivelatori più rapidi ed economici per le bombe inesplose.

I minuscoli sensori hanno tre componenti chiave, disposte verticalmente su un chip di silicio. Un laser standard a infrarossi e un sensore di luce infrarossa stringono in mezzo un cubo di vetro e silicio pieno di atomi di cesio vaporizzato. In assenza di un campo magnetico, la luce laser passa direttamente attraverso gli atomi di cesio. In presenza anche di modesti campi magnetici, invece, l’allineamento degli atomi si modifica, consentendo loro di assorbire una quantità di luce proporzionale alla potenza del campo. Questo cambiamento viene registrato dai sensori fotoelettrici. “E’ una configurazione semplice con una sensibilità estremamente buona”, sostiene Kitching.

I magnetometri atomici esistono da circa 50 anni; la maggior parte possiedono grandi e sensibili celle di vapore, delle dimensioni di una lattina di coca cola, create usando tecniche per la soffiatura del vetro. La più sensibile riesce a rivelare campi nell’ordine di una femtotesla, vale a dire una parte infinitesimale della potenza del campo magnetico terrestre. L’innovazione di Kitching è stata di restringere la cella di vapore a un volume di pochi millimetri cubici, diminuendo l’uso di energia e mantenendo lo stesso livello di performance.

In collaborazione con altri cinque fisici, Kitching crea le celle di vapore usando tecniche di microlavorazione. All’inizio usano una combinazione di litografia e incisione chimica per fare buchi quadrati larghi tre millimetri in una fetta di silicio. Poi fissano il silicio a una sottile lastra di vetro e stabiliscono un legame usando alte temperature e un voltaggio, trasformando il buco quadrato in una scatola priva della parte superiore e con il fondo di vetro.

All’interno di una camera a vuoto, prendono una piccola siringa di vetro per riempire la scatola con atomi di cesio vaporizzato; chiudono quindi la scatola con un’altra sottile lamina di vetro ad alte temperature (l’operazione si deve svolgere nel vuoto perché il cesio reagisce vigorosamente con l’acqua e l’ossigeno). Infine, i fisici montano la cella di vapore su un chip, insieme con il laser a infrarossi e il sensore fotoelettrico, e fanno passare una corrente attraverso delle pellicole conduttive nella parte superiore e in quella inferiore della cella per produrre calore, che mantiene vaporizzati gli atomi di cesio.

A oggi, Kitching assembla solo pochi magnetometri alla volta nel laboratorio, ma la sua intenzione è di produrne in serie. Molte copie di ogni componente sono ricavate contemporaneamente da un’unica fetta di silicio. Diverse fette, ognuna delle quali contiene più copie di componente diversi, vengono disposte una in cima all’altra. Infine la pila si può suddividere in vari magnetometri.

Con costi così contenuti, i sensori a bassa potenza possono essere inseriti in una serie di portatili per l’imaging, alimentati a batterie. Queste schiere di apparecchi potrebbero facilmente definire nei dettagli la forza e l’estensione dei campi magnetici; più sensori in una serie, maggiore sarà l’informazione sulla posizione e la forma dell’oggetto. I militari, per esempio, potrebbero usare questi portatili per trovare più rapidamente ed economicamente le bombe inesplose e congegni esplosivi improvvisati.

I minuscoli sensori potrebbero anche rivoluzionare tecniche come l’MRI e la NMR. Entrambe le tecnologie si affidano a potenti magneti, ingombranti e costosi, che richiedono dispendiosi sistemi di raffreddamento. Poiché i sensori di Kitching sono in grado di rivelare campi magnetici molto deboli, le macchine per l’MRI e la NMR che li incorporano potranno riprendere immagini di qualità usando magneti molto più deboli e quindi più piccoli ed economici.

L’MRI dovrebbe pertanto avere una maggiore diffusione e per la prima volta i medici la potrebbero impiegare per esaminare i pazienti con pacemaker o altri impianti metallici che non possono essere esposti a magneti potenti. I sistemi portatili potranno trovare posto sulle ambulanze o sui campi di battaglia. La NMR potrà uscire dal chiuso dei laboratori e aiutare le aziende petrolifere e minerarie a valutare con maggiore attendibilità il potenziale dei depositi sotterranei.

Kitching e i suoi colleghi hanno di recente mostrato che i sensori riescono a misurare i segnali NMR prodotti dall’acqua. Rimane ancora da fare molto lavoro, sostiene Kitching, prima che gli apparecchi possano riconoscere i deboli segnali provenienti da diverse strutture chimiche, distinguendo per esempio tra più tracce contaminanti in un campione d’acqua. In ogni caso, le macchine portatili per l’MRI forniranno il loro contributo positivo. Con i magnetometri miniaturizzati di Kitching, la sfida non sarà più raccogliere l’informazione magnetica, ma interpretarla.

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