La crisi in Ucraina e l’avvicinarsi dell’inverno alimentano la preoccupazione nelle capitali dell’ex Blocco di Varsavia, aggravata dalla recente intesa sul gasdotto Nord Stream 2.
di Nicolò Sartori (Fonte Abo/Oil)
I Paesi dell’Europa centro-orientale sono in fermento. Il protrarsi della crisi in Ucraina e l’avvicinarsi della stagione invernale, infatti, alimentano la preoccupazione nelle capitali dell’ex Blocco di Varsavia.
Basta dare una rapida occhiata ai livelli di riempimento dei siti di stoccaggio di gas per capire che la situazione, nei prossimi mesi, sarà tutt’altro che rosea: Ungheria e Bulgaria sono sotto al 50% della capacità totale, la Slovacchia al 60%, ma soprattutto l’Ucraina – fattore chiave per la sicurezza degli approvvigionamenti europei – ancora inchiodata al 41%.
Non sembra bastare, al momento, il clima disteso dell’ultimo tavolo sul gas tra UE, Ucraina e Russia, e l’avvicinarsi di un accordo sul transito del gas per l’Europa sulla base di “principi chiave” identificati di concerto da Gazprom e Naftogaz. E nemmeno le dichiarazioni dell’amministratore delegato del gigante russo Gazprom, Aleksej Miller, che non ha escluso la possibilità di estendere il contratto di transito attraverso l’Ucraina oltre il 2019.
Questi sviluppi positivi, infatti, passano in secondo piano rispetto alla preoccupazione per la recente intesa sul gasdotto Nord Stream 2. La condotta, infatti, permetterà a Mosca di aggirare – e in un certo senso isolare – l’Ucraina e parte dell’Europa centro-orientale dai suoi mercati di riferimento, primo fra tutti quello tedesco.
Una situazione che impone a paesi come la Polonia e i baltici di rafforzare le soluzioni regionali e nazionali per far fronte alle minacce (presunte o reali) alla loro sicurezza energetica.
L’Ucraina e il nodo Nord Stream 2
L’accordo sull’espansione del gasdotto Nord Stream ha scatenato numerosi risentimenti in Europa centro-orientale. La Polonia, leader sub-regionale e da sempre maggiore antagonista delle politiche energetiche (e non solo) di Mosca, ha immediatamente condannato l’iniziativa. Lo stesso Presidente della Repubblica Andrzej Duda, che ha sottolineato l’impatto negativo del gasdotto sugli interessi strategici polacchi, ha anche evidenziato come scelte egoistiche di alcuni stati membri – si legga la Germania – non soltanto mettano a repentaglio la sicurezza di altri paesi europei, ma che allo stesso tempo minaccino l’unità e la coesione dell’UE stessa.
I governi della Slovacchia, della Repubblica Ceca, e dei paesi baltici, si sono aggiunti al coro di protesta verso il supporto tedesco all’iniziativa, e verso la percepita inazione dell’Unione a riguardo. In effetti, il benestare di Berlino all’espansione di Nord Stream – giustificato da ovvi interessi nazionali tedeschi – può essere interpretato come un chiaro assist a Mosca: alla luce delle sanzioni, del crollo del prezzo del greggio, e delle difficoltà sul fronte asiatico, la Russia ha infatti bisogno di rinsaldare i legami energetici con l’Europa (in particolare quella occidentale), i cui consumi di gas rappresentano un elemento chiave per la tenuta economica e finanziaria di Mosca.
Questo, tuonano da est, avviene a discapito dell’Ucraina e dei paesi centro-orientali, che risulterebbero completamente tagliati fuori dalle rotte di approvvigionamento, e quindi indeboliti politicamente ed economicamente di fronte alla Russia. Tuttavia, finché il nuovo gasdotto non sarà realizzato, la Russia ha la necessità di raggiungere un accordo sulle forniture all’Ucraina e sul transito attraverso il suo territorio, che rimane fondamentale per garantire a Mosca la credibilità di fronte ai grandi clienti europei.
La distensione avviata con Kiev, dettata da necessità di natura tattica, evidenzia ancora una volta – dal punto di vista dei paesi dell’Europea centro-orientale – la subalternità della regione agli interessi comuni di Mosca e dei sui partner a occidente.
Focus su LNG e interconnessioni
L’espansione di Nord Stream rende ancor più urgente una riflessione strategica da parte dei paesi dell’Europa centro-orientale sullo sviluppo di capacità LNG e di stoccaggio nella regione. In realtà, i paesi dell’area si sono già mossi – seppur tra difficoltà finanziarie e tensioni politiche – per assicurarsi alternative alle forniture di gas dalla Russia attraverso il gas liquefatto.
In breve tempo la Lituania, dov’è operativo da quasi un anno il terminal LNG in Klaipeda, si è praticamente affrancata dalla dipendenza dalle esportazioni russe.
Dal 2016 la struttura sarà in grado di processare circa 4 Bcm annui, capacità che va oltre gli attuali consumi domestici lituani, permettendo al paese di proporsi come (seppur piccolo) hub del gas nell’area. Area, quella del mar Baltico, dov’è destinato a essere installato anche il terminal estone di Muuga: dopo alcune frizioni con la Finlandia, la struttura – con una capacità di 4 Bcm annui – dovrebbe a partire dal 2017 e in grado di rifornire entrambi i paesi.
In fase di realizzazione anche il terminal polacco di Świnoujście, che dopo una serie di ritardi dovrebbe iniziare le attività nei prossimi mesi, per diventare completamente operativo – con una capacità totale di 7,5 Bcm annui – nel 2018.
Il proliferare di queste iniziative nazionali, anche alla luce dell’incombente pubblicazione della “Strategia europea per l’LNG” da parte della Commissione, rende però necessario uno sforzo condiviso di pianificazione e razionalizzazione, che trasformi questa nuova e abbonante capacità di rigassificazione in un valore aggiunto per tutta l’Europea centro-orientale e per la stessa l’Unione europea.
L’esperienza spagnola, che ha portato alla creazione di una immensa capacità di ricezione di LNG senza tuttavia garantire la necessaria capacità fisica (nonché la volontà politica) per il trasporto e la commercializzazione, è sotto gli occhi di tutti e va assolutamente evitata.
Una lezione, quella spagnola, che sembra ben chiara ai governi dell’Europa orientale, che pongono il tema delle interconnessioni al centro delle loro strategie di sicurezza energetica.
La realizzazione dell’Interconnettore Polonia-Lituania e del Balticconnector tra Finlandia ed Estonia, accompagnate dal rafforzamento dei gasdotti tra la Lettonia e la Lituania – nonostante stalli, ripensamenti e battute d’arresto – rimane un punto chiave nell’agenda politica di questi paesi, nonché nella lista delle priorità di intervento (anche finanziario) dell’Unione europea.
Più critica, invece, potrebbe rivelarsi la situazione dei rifornimenti all’Europa sud-orientale. La situazione di stand-by del progetto Turkish Stream, caduto quasi definitivamente in disgrazia dopo l’accordo sul Nord Stream 2, rischia infatti di vanificare la fattibilità del gasdotto Eastring, lanciato con l’obiettivo interconnettere e rifornire Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia con volumi di gas provenienti da sud.
Lo sviluppo di risorse autoctone al centro delle priorità
In Europa centro-orientale, il ricorso a fonti autoctone continua a rappresentare uno dei cardini delle strategie per rafforzare la sicurezza energetica regionale.
La Polonia, alfiere di questa battaglia in ambito europeo, non fa segreto della sua volontà di continuare a usare le sue riserve di carbone per ridurre la propria vulnerabilità nei confronti di Mosca.
Questo approccio non può che portare Varsavia in rotta di collisione con gli indirizzi strategici dell’Unione europea, nettamente orientata – sotto la guida della Commissione – a diventare il leader globale nella lotta al cambiamento climatico.
Lo scontro con Bruxelles si gioca anche sul tema dell’Energy Union che, secondo parte della classe politica polacca, non deve essere usata dalla Commissione per accelerare l’attuazione di ambiziose politiche climatiche comuni, ma che piuttosto va immaginata come strumento per assicurare agli stati membri effettivi meccanismi di solidarietà per fronteggiare la minaccia energetica russa.
Oltre al tema carbone, rimane sempre vivo l’interesse per lo viluppo dello shale gas. Nonostante la significativa battuta d’arresto sperimentata negli ultimi mesi – le major internazionali, entrate con grande entusiasmo in Europa centro-orientale, stanno praticamente uscendo tutte alla spicciolata – il dibattito politico in paesi come la Polonia continua ad alimentare speranze sul possibile sviluppo di risorse non convenzionali.
In questo contesto, le recenti (e ragionevoli) parole del Vice Presidente della Commissione Maroš Šefčovič , che ha ridimensionato il futuro dello shale gas nel continente europeo, segnano un ulteriore punto di disallineamento tra le priorità energetiche dell’Europa orientale, e la visione strategica di Bruxelles.
L’articolo è disponibile anche su abo.net
Cliccando sui link seguenti potrete accedere direttamente alla versione digitale in italiano e in inglese della rivista OIL
(sa)