L’eredità del padre della disruptive innovation

Quello che ho imparato da Clayton Christensen, l’autore di “Il dilemma dell’innovatore”.

di Christian Sandström

Ho incontrato Clayton Christensen solo una volta. Era il 2012 e migliaia di studiosi di economia si stavano radunando nel centro di Boston per l’Academy of Management, la più grande conferenza del settore dell’anno. Persone provenienti da tutto il mondo hanno presentato documenti e partecipato a forum di esperti di management e professori universitari per scambiarsi ricerche e idee. I keynote venivano consegnati in gigantesche aule piene di centinaia di dottorandi, aspiranti postdoc e professori di ruolo.

Due anni prima, avevo discusso la mia tesi di dottorato sulla teoria della “innovazione distruttrice” di Christensen e desideravo presentare alcune delle mie argomentazioni a chiunque volesse ascoltare. La sessione si teneva in una piccola sala per seminari. In genere, con centinaia di incontri contemporanei sono presenti solo i coautori e alcuni conoscenti del cocktail party tenuto la sera precedente.

Pochi minuti prima dell’inizio della sessione, Christensen entrò nella stanza. Ero sbalordito. Perché qualcuno del suo status avrebbe dovuto preoccuparsi di venire a discutere il nostro documento in questo pagliaio di ricerche accademiche? Dopo aver ascoltato attentamente, Christensen formulò un paio di osservazioni, di stampo riflessivo e autocritico, e riconobbe la validità di alcuni dei nostri argomenti.

È evidente che quest’uomo non era alla ricerca di prestigio e non voleva sponsorizzare alcun progetto. Si rivelò umile, riflessivo e curioso in un modo che mi ha colpito nel profondo.

Una teoria controintuitiva

Quando ho saputo che Clayton Christensen era morto a 67 anni, per complicazioni causate dalla leucemia che stava combattendo da tempo, ho pensato alla mia esperienza a Boston nel 2012. Dopo tutto, se si vuole parlare della sua eredità culturale, quella prima e unica impressione mi sembra un buon punto di partenza.

La tesi di dottorato di Christensen, discussa alla Harvard Business School nel 1992, ha riguardato l’industria dei dischi rigidi dai primi anni 1970 fino agli anni 1990. Il futuro docente dell’Harvard Business School ha indagato su ogni cambiamento tecnologico durante questa era e ha cercato di mettere in relazione queste trasformazioni con i mutamenti nella leadership industriale. I dati raccontano una storia interessante, anche se inizialmente confusa.

Le precedenti ricerche avevano cercato di rispondere alla domanda sul perché le organizzazioni trovassero grandi difficoltà a mantenere il successo per lunghi periodi, ma si soffermavano principalmente sulle capacità aziendali  interne. Se un’azienda si affidava alle sue capacità nel settore, era in grado di difendersi da nuovi concorrenti più piccoli, a meno che non questi ultimi non avessero trovato un approccio completamente nuovo.

I dati di Christensen suggerivano una realtà del tutto diversa. Non era l’emergere di una tecnologia radicalmente nuova che aveva aiutato David a superare in astuzia Golia, quanto la nascita di una nuova generazione di unità disco più piccole che aveva creato problemi insormontabili per i giocatori affermati. 

Negli anni successivi Christensen sviluppò e perfezionò il suo pensiero su ciò che stava accadendo. Invocando alcune situazioni non favorevoli degli anni 1960 e 1970, ha sottolineato come soddisfare la domanda a breve e medio termine dei clienti che permettevano un profitto maggiore sembrasse la priorità aziendale. Le esigenze di questi clienti hanno reso irrazionale investire in altre iniziative, e quindi, ha affermato, queste aziende sono diventate vulnerabili.

Egli sosteneva che le aziende erano state ingannate dal loro modo di agire, vale a dire l’ascolto dei loro clienti o la progettazione di prodotti di prossima generazione per gli utenti esistenti, che in una prima fase le avevano portate al successo. Le imprese si erano affermate aderendo alle esigenze degli attori chiave dell’ambiente, ma con il passare del tempo l’ambiente aveva iniziato a imporre un controllo indiretto sulle imprese, mettendole infine in gravi difficoltà. La teoria era meravigliosamente controintuitiva.

Queste riflessioni sono state inserite in un quadro coerente nel suo famoso libro del 1997 Il dilemma dell’innovatore. Le idee di Christensen si diffondono come un incendio sia nel mondo accademico sia nell’industria. Negli anni 2000 Christensen raggiunge la celebrità in campo accademico. Eccellente comunicatore e autore di successo, i suoi libri sulla “disgregazione” hanno avuto un impatto enorme.

L’acclamato CEO di Intel Andy Grove sostenne che Il dilemma dell’innovatore era il libro più importante che avesse letto in quel decennio e Christensen veniva celebrato regolarmente come il più grande esperto di management. Ma man mano che il suo pensiero si diffondeva, le sue idee originali diventavano più diluite.

Intorno al 2010, l’”innovazione dirompente” aveva assunto lo stesso significato della parola “radicale” negli anni 1990. In occasione di conferenze ed eventi aziendali, tra le startup e sui media tecnologici, il concetto di “rottura” è diventata onnipresente, a scapito del significato e dell’identità originali.

In diverse occasioni, Christensen ha cercato di ripristinare le idee iniziali alla base del concetto di disruption, ma paradossalmente, le sue idee si sono trovate di fronte a una forma di dilemma dell’innovatore. Il loro significato era al di fuori del controllo della mente che le aveva partorite.

La sua teoria è stata diluita

Man mano che il concetto di “rottura” è diventato più noto, si è concretizzata un’altra minaccia: la troppa potenza. La teoria della disgregazione di Christensen non è mai stata l’unica a spiegare quando e perché i concorrenti sostituiscono gli operatori storici nel mondo degli affari. Ma mentre il suo lavoro veniva annacquato, molti studiosi, consulenti e corporazioni hanno iniziato a concentrarsi solo su questo aspetto, ignorando l’intero edificio della conoscenza di cui faceva parte la sua teoria.

Di certo, l ‘”effetto Christensen” contava quando una azienda spingeva un’altra ai margini della ribalta, ma c’erano in ballo anche molti altri fattori. Si potrebbero raggiungere dei risultati interessanti applicando le teorie del testo di Christensen al mondo commerciale, ma le conclusioni sarebbero limitate se non prestassero la dovuta attenzione al resto della realtà.

Le capacità di un’azienda, le routine organizzative, l’esperienza manageriale e gli effetti di rete sono solo alcuni dei fattori in gioco, tuttavia, di volta in volta, gli esperti hanno cercato di fare previsioni basate esclusivamente su questi aspetti delle teorie di Christensen. Riconosco di essere colpevole di molti di questi errori.

Per quelli di noi che hanno portato avanti queste riflessioni, la reazione naturale e sfortunata è stata quella di incolpare il lavoro di Christensen per la nostra valutazione imprecisa o per il fallimento delle nostre previsioni. Ma il problema non è stato tanto la teoria della disruptive innovation quanto la nostra volontà collettiva di attribuire più potere esplicativo a una singola teoria di quanto sia possibile.

Il lavoro di Christensen riguardava le dinamiche industriali e il cambiamento tecnologico. Non è mai stata una teoria vera e propria. Trattandola come tale, si è destinati inevitabilmente all’insuccesso. Solo con il contributo di altri concetti e teorie si può articolare un pensiero vincente.

Le chiavi per il successo

Clayton Christensen non è stato il primo brillante studioso o professore carismatico a scrivere e parlare di tecnologia e innovazione, e non sarà l’ultimo. Allora perché ha avuto un successo così notevole? Qual era il “vantaggio competitivo” che lo separava dagli altri?

Ha ispirato una generazione di studiosi, incluso me, a pensare seriamente a come le aziende sono influenzate dalla tecnologia; ha aiutato innumerevoli aziende e fornito preziose conoscenze a centinaia di migliaia di studenti che hanno letto i suoi libri.

Quell’incontro alla conferenza mi suggerisce una risposta. I suoi successi sono stati resi possibili dalla stessa personalità che ha proiettato la sua luce in quella minuscola sala per seminari semivuota a Boston. Puoi parlare di cosa significa il fallimento solo se sei umile e attento agli altri. Si possono sviluppare concetti davvero straordinari solo si è autocritici, curiosi e aperti alle novità.

Christian Sandström è professore associato di gestione dell’innovazione presso la Chalmers University of Technology e il Ratio Institute in Svezia.

Immagine: Clayton Christensen Tony Luong

(rp)

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