Le tigri affamate di energia

Nei prossimi 25 anni, le importazioni petrolifere del sudest asiatico potrebbero raddoppiare, raggiungendo il livello attuale della Cina, anche se la regione potrebbe investire fino a 400 miliardi di dollari in tecnologie rinnovabili entro il 2030.

di James Crabtree (Fonte Abo/Oil)

Le cosiddette “tigri” del Sud-est asiatico erano considerate in passato le economie emergenti più dinamiche del mondo. Ma le cose sono cambiate.

Oggi sono molti i motivi di preoccupazione: dalla Malesia, infangata dagli scandali sulla corruzione, all’ultimo golpe militare in Tailandia nel 2014, senza dimenticare le grandi economie a rapida crescita, come Cina e India, che eclissano l’intera regione da nord e da ovest.

Eppure, i dieci paesi che formano l’Associazione delle Nazioni del Sudest asiatico (ASEAN) continueranno a svolgere un ruolo fondamentale per lo sviluppo dei mercati energetici globali nei prossimi decenni, come emerge chiaramente da un interessante rapporto dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Una domanda di energia in crescita

A saltare subito all’occhio è il massiccio incremento del consumo energetico nella regione. Entro il 2040, la domanda totale dei Paesi ASEAN crescerà dell’80%, a circa 1.100 milioni di tonnellate di petrolio equivalente, per una popolazione di 760 milioni di persone. Si tratta di un aumento complessivamente inferiore rispetto a quello dell’India o della Cina, ma di portata comunque considerevole e, se calcolato su base procapite, persino superiore a quello di entrambe le nazioni vicine.

Le prime previsioni dell’AIE mostrano come, nello stesso periodo, l’India toccherà approssimativamente i 1.500 milioni di tonnellate di petrolio equivalente, per il doppio della popolazione. Questo rapido incremento aprirà nuove opportunità per gli esportatori di energia. Entro il 2040, le importazioni petrolifere della regione potrebbero facilmente raddoppiare, raggiungendo il livello attuale della Cina.

D’altro canto, questo scenario indebolirà la sicurezza energetica dell’ASEAN, che rimarrà dipendente dalle forniture estere per circa 4/5 del suo fabbisogno petrolifero – un livello grosso modo comparabile a quello dell’India.

Anche gli schemi di esportazione cambieranno. Negli ultimi decenni, Paesi come Vietnam e Tailandia hanno sviluppato le proprie (limitate) riserve di combustibili fossili, mentre la Malesia – il maggiore esportatore netto di petrolio dell’Asia e uno dei più grandi esportatori di gas naturale liquefatto al mondo – ha sofferto per il calo dei prezzi petroliferi globali registrato lo scorso anno.

Ad ogni modo, la crescita della produzione energetica sembra destinata a stabilizzarsi nei prossimi decenni, con eventuali incrementi finalizzati a soddisfare una maggiore domanda interna. Anche nel settore del carbone, dove Paesi come l’Indonesia si confermeranno importanti produttori globali, le forniture saranno per lo più di carattere nazionale. L’ASEAN perderà quindi importanza come esportatore, ma diventerà una fonte sempre più irrinunciabile di domanda per ogni forma di energia, dal petrolio del Medio Oriente al gas del Nord America.

Un sistema in cerca di governance

La regione darà comunque del filo da torcere al tavolo dei negoziati. Sebbene agiscano in blocco, i Paesi dell’ASEAN sono profondamente diversi e includono, da un lato, economie mondiali di spicco, come Singapore, e dall’altro nazioni più povere ma a rapida crescita, come l’Indonesia, che condivide alcune somiglianze con l’India. Non mancano nemmeno nazioni piccolissime, come la Cambogia e il Laos.

L’ASEAN non dispone delle strutture di governance regionali dell’Unione europea e pertanto molti analisti non la considerano un’associazione economica o politica coerente.
A cambiare lo scenario potrebbero essere due tendenze, la prima riscontrabile nelle infrastrutture energetiche. Nel corso del tempo, progetti come il gasdotto trans-ASEAN potrebbero sostituire i limitati collegamenti energetici tra singole nazioni, dando vita a un sistema di portata regionale e contribuendo a trasformare il Sud-est asiatico in un mercato integrato, più simile alla Cina o all’India. Questo cambiamento potrebbe a sua volta accrescere l’interesse degli esportatori per questo mercato, che sarebbe considerato più un blocco che un puzzle di svariate nazioni di medie dimensioni. La seconda tendenza è rappresentata dai cambiamenti climatici. Le nazioni del Sud-est asiatico sono vulnerabili all’aumento delle temperature, un fattore che innescherà molto probabilmente un rapido incremento degli investimenti in energie rinnovabili ed efficienza energetica, guidato dai Paesi più ricchi, come Singapore e Malesia.

Secondo il rapporto dell’AIE, la regione – forse anche stimolata dalla Conferenza di Parigi del mese prossimo – potrebbe investire fino a 400 miliardi di dollari USA in tecnologie rinnovabili entro il 2030. L’ASEAN si trasformerebbe così in una potenza dell’innovazione energetica, esterna alle nutrite fila dei Paesi OCSE e, in termini energetici, tornerebbe a essere una vera tigre.

L’articolo è disponibile anche su abo.net

Cliccando sui link seguenti potrete accedere direttamente alla versione digitale in italiano e in inglese della rivista OIL

(sa

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