Le sfide alle tecnologie per combattere l’ebola

Gli sforzi per contenere il virus ebola nell’Africa occidentale soffrono della mancanza di strumenti efficaci per curare e prevenire la malattia, anche se alcuni sono in fase di sviluppo.

di Alexandra Morris

Un carico virale: Una micografia del virus ebola.

Le tecnologie che potrebbero prevenire il diffondersi dell’ebola oltre l’Africa occidentale sono in fase di sviluppo, e se l’epidemia continuerà a peggiorare, il lavoro potrebbe diventare serrato; ma anche se oggi fosse disponibile un vaccino, la sua distribuzione sarebbe incredibilmente difficile.

L’epidemia di ebola ha già colpito più di 1.000 persone. Il virus causa febbre, mal di testa, mal di gola e altri sintomi, seguiti da vomito e diarrea; può causare emorragie interne ed esterne e portare facilmente alla morte.

Dalla sua scoperta, avvenuta nel 1970, l’ebola ha colpito porzioni relativamente piccole della popolazione africana. Per questo, spiegano gli esperti, le compagnie non hanno avuto un particolare interesse nello sviluppo di cure o vaccini. Una cura che ha mostrato risultati promettenti nella sperimentazione sugli animali, ma non è stata ancora testata sugli esseri umani, si chiama ZMapp, una combinazione di tre anticorpi monoclonali ottenuta dalle piante di tabacco e sperimentata dalla compagnia Mapp Biopharmaceuticals, con sede a San Diego. Questi anticorpi sono progettati per replicare gli anticorpi prodotti naturalmente dal corpo umano come parte di una risposta immunitaria che è generalmente disattivata dal virus ebola. Gli anticorpi monoclonali si fissano a una parte del virus ebola e innescano una risposta che neutralizza ogni particella virale che si trova nel corpo, impedendo ulteriori danni.

La Samaritan’s Purse, organizzazione responsabile del trattamento dei pazienti americani colpiti da Ebola, spiega che due pazienti americani hanno ricevuto questo siero sperimentale in Africa. MIT Technology Review non è stato in grado di raggiungere per un commento la Mapp Biopharmaceuticals o l’Emory Hospital, dove il paziente ha iniziato la cura. Sono in via di sviluppo diversi vaccini studiati per combattere il virus, compreso uno sviluppato dal National Institute for Allergy and Infectious Diseases’ Vaccine Research Center, che ha mostrato risultati promettenti nelle scimmie e la cui sperimentazione sugli esseri umani è stata anticipata a quest’autunno. Il vaccino ha effetto con l’inserimento di due geni di ebola in una cellula che aiuta a generare una risposta immunitaria, permettendo al corpo di riconoscere e combattere la malattia in futuro.

Anche se un vaccino verrà approvato, la sfida sarà capire chi vaccinare. “Non coprirà tutta l’Africa”, spiega Stephen Calderwood, direttore della Division of Infectious Disease del Massachusetts General Hospital. “Si tratterà di una risposta a una specifica epidemia o all’interno di una determinata comunità ad alto rischio, come ad esempio il personale medico che risponde in caso di epidemia”.

Oltretutto, in alcuni documenti si legge di una riluttanza da parte dei pazienti che vivono nelle zone colpite ad accettare le cure di dottori occidentali, a causa della mancanza di fiducia in questi medici.

Rispetto a malattie come la malaria o l’HIV, il virus ebola è difficile da studiare perché si presenta sporadicamente all’interno di piccoli gruppi. La sperimentazione sugli animali aiuta la ricerca sulla malattia e offre indizi sul perché alcuni pazienti sopravvivono. Ad esempio, gli scienziati hanno rilevato delle differenze nelle risposte al virus da parte delle scimmie sopravvissute rispetto a quelle che sono morte. Come spiegatoci da John Connor, professore associato di microbiologia presso la Boston University School of Medicine, una delle differenze più interessanti è la presenza significativa di un sottogruppo di cellule immunitarie, chiamate neutrofili, in quest’ultimo gruppo di scimmie. “Al momento, direi che siamo a metà strada nella comprensione del motivo per cui questo sottogruppo è rilevante”.

(LS)

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