Le protesi cerebrali potrebbero farsi più pratiche

La Harvard Medical School sta testando un nuovo design di protesi cerebrale che dovrebbe restituire la vista ai ciechi.

di Tom Simonite

Nei laboratori dove si studiano protesi cerebrali che possano aiutare persone affette da disabilità fisiche, i racconti avvenuti successi possono essere dolce-amari.
Esperimenti come quelli in cui una persona paralizzata riesce a bere del caffè grazie ad un braccio robotico, o che permettono ad individui ciechi di vedere, hanno dato prova del potenziale immenso insito in computer capaci di interfacciarsi con il cervello. Gli elettrodi impiantati per questo genere di test, però, col tempo si fanno inutili a causa delle cicatrici che si formano e ne degradano le commissioni elettriche alle cellule del cervello.

Il mese prossimo cominceranno test su scimmie per un nuovo tipo di protesi capace di inviare dati al cervello e progettato per evitare il problema. Il progetto studia possibili dispositivi per restituire la vista ai ciechi in modo permanente.

Ricercatori della Harvard Medical School utilizzeranno un nuovo tipo di protesi che verrà inserito sotto al cranio, ma rimarrà appoggiato alla superficie del cervello dell’animale invece che essere inserito al suo interno. Un array di molle microscopiche poste all’interno del dispositivo della misura di un capello può generare campi elettromagnetici potenti e particolarmente precisi da indirizzare. La protesi verrà testata anche dall’interno del tessuto cerebrale.

Il dispositivo verrà utilizzato per stimolare la corteccia visiva delle scimmie per provare a ricreare l’attività normalmente stimolata da segnali generati dagli occhi, creando così la sensazione della vista senza l’input degli occhi. Scopo finale è utilizzare la protesi per convertire segnali ottenuti da una telecamera in attività cerebrale. A differenza degli elettrodi convenzionali, l’efficacia delle molle non dovrebbe degenerare con li tempo. I campi elettromagnetici, infatti, a differenza di quanto avviene con una corrente elettrica, non vengono influenzati dalla formazione di tessuti attorno alla protesi.

Il progetto triennale è finanziato dalla iniziativa BRAIN, avviata dal presidente Obama per favorire la comprensione del funzionamento del cervello. “Alla fine di tutto, speriamo che le scimmie possano riuscire ad affrontare un labirinto, semplicemente percependo luci ed ombre o forme geometriche di base,” spiega Bernard Casse.
Ricercatore dell’istituto di ricerca PARC, di proprietà della Xerox, dove il nuovo dispositivo è stato inventato.
Il design del PARC sta già venendo già testato su topi al Massachusetts General Hospital. Lo scorso dicembre sono stati pubblicati risultati che dimostrano in che modo le piccole molle potrebbero provocare movimenti dei baffi nell’animale stimolando neuroni del cervello. Collabora al progetto anche la University of Florida, con uno studio sulla stabilità della protesi nei topi sul lungo termine. Secondo Todd Coleman, professore della University of California di San Diego, il nuovo approccio è promettente, nonostante ci vorrà del tempo prima che divenga chiaro come farne uso negli esseri umani. Se questa tecnologia si dimostrerà utile, le sue applicazioni potranno non limitarsi al solo cervello. “Se ne potrebbe fare uso anche in altre parti del corpo,” dichiara Coleman. Suggerisce che le piccole molle potrebbero essere utilizzate per modulare l’attività del sistema associato alla digestione, composto da più 10 milioni di neuroni, per aiutare coloro il cui intestino non è particolarmente efficace nello spostare il cibo per il suo percorso. Casse si dichiara interessato ad esplorare l’utilizzo del dispositivo anche sul nervo vago all’altezza del petto, per controllare gli effetti della DPTS.

Immagine: Piccole bobine come queste possono stimolare l’attività elettrica del tessuto cerebrale

(LO)

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