La transizione energetica e l’esplorazione

Il calo della domanda di petrolio e gas sta spingendo alcune delle più grandi compagnie energetiche europee a rallentare la ricerca di nuovi giacimenti e favorire il passaggio alle rinnovabili.

di Lisa Ovi

Alcuni analisti prevedono che la domanda globale di petrolio possa non tornare mai al suo massimo storico del 2019.
Si prevede che non solo la pandemia possa rimodellare permanentemente lo stile di vita dei consumatori, ma che anche i governi possano scegliere di favorire fonti energetiche ad emissioni ridotte per far fronte all’urgenza della crisi climatica. 

Ne è esempio la determinazione con cui la UE persegue il proprio Green Deal e l’obiettivo di portare il continente alle zero emissioni entro il 2050. Non a caso, proprio le compagnie energetiche europee come l’italiana Eni sono tra le più impegnate sul fronte della conversione verso un futuro a zero emissioni grazie alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

Sorvegliato speciale diviene dunque il settore E&P dell’industriale oil e gas, quella base di esplorazione e produzione dei carburanti fossili che, tra costi elevati e proteste ecologiste, prosegue la produzione di gas e olio tra le previsioni di un futuro incerto. Secondo la think tank Carbon Tracker, infatti, il mondo avrebbe già individuato riserve di petrolio sufficienti per 50 anni di consumi. 

Posti di fronte alla necessità di adeguarsi alla lotta contro i cambiamenti climatici ed all’incertezza sulla domanda futura di carburanti fossili, le compagnie energetiche si trovano a prendere seriamente in considerazione il ruolo del settore E&P e della ricerca di nuovi giacimenti. La pressione al cambiamento viene sia dal pubblico che dagli enti regolatori. Sempre più investitori e banche si confrontano con la crescente richiesta di limitare il sostegno a società che non abbiano preso impegni sulla decarbonizzazione, una richiesta che arriva soprattutto dai più giovani e dai loro fondi pensionistici.

È Angela Wilkinson, secretary general del World Energy Council ad offrire una prospettiva realistica. Per quanto sconsigli alle compagnie energetiche di continuare a puntare tutto sui carburanti fossili, ci ricorda che lo sviluppo delle energie rinnovabili non è ancora all’altezza della richiesta energetica in aumento con cui il mondo deve fare i conti.

Pur non mettendo in dubbio la necessità crescente di sviluppare fonti energetiche alternative, è d’accordo con lei Luca Bertelli, Deputy del Direttore Generale Natural Resources, nonché Director Exploration di Eni. Il mondo ha ancora bisogno di esplorare il sottosuolo alla ricerca di nuovi giacimenti di combustibili fossili. La transizione alle rinnovabili, soprattutto in Europa, “È irreversibile,” spiega Bertelli in un’intervista al Financial Times, ma l’industria E&P è in grado di arrivare a ridurre e contenere le proprie emissioni di gas serra.

“L’esplorazione non può fermarsi oggi,” prosegue Bertelli su FT, “è però necessario adattare strategie e portfolio”. Gli introiti che derivano dalla vendita di petrolio sono fondamentali non solo all’economica mondiale, ma anche proprio per il finanziamento di quella transizione energetica che richiede ancora tanta ricerca e la creazione di nuovi impianti. 

Nascono quindi nuovi paradigmi per l’E&P. Emerge un nuovo metro di valutazione per la produzione di petrolio, come il calcolo della carbon intensity, che valuta non solo il costo dell’estrazione, ma anche il volume di emissioni generate per barile. Secondo Bertelli, Eni non solo si rivolgerà più al gas che al petrolio nella sua ricerca di fonti energetiche, ma si farà inevitabilmente più selettiva, privilegiando il valore rispetto al volume offerto dai nuovi giacimenti individuati. Entrano qui in gioco nuove tecnologie come l’utilizzo del supercomputer HPC5 – il più grande supercomputer industriale al mondo- e dei suoi sofisticati algoritmi di elaborazione dei dati del sottosuolo che permettono di ridurre lo spreco di energia e risorse.

Eni, in particolare, si propone una strategia a lungo termine che prevede di raggiungere il picco di produzione di petrolio entro il 2025 per poi diminuirlo costantemente, di potenziare lo sfruttamento di giacimenti esistenti (ad esempio in Egitto ed Indonesia) più che l’esplorazione di nuove frontiere come l’Artico. L’obiettivo è l’efficienza di una produzione veloce in cui si possa sostenere una riduzione di costi ed emissioni, a sostegno di una richiesta di energia fossile che secondo le previsioni sarà necessaria a mantenere il 45% circa dei consumi globali almeno fino al 2050. 

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