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Uno studio dell’Università di Stanford ha fotografato fotoni sul retro di un buco nero, fornendo un’altra prova della validità della teoria di Einstein sulla curvatura dello spazio-tempo. 

di Neel V. Patel

Quando il gas cade in un buco nero, rilascia un’enorme quantità di energia ed emette radiazioni elettromagnetiche in tutte le direzioni, rendendo questi oggetti tra i più luminosi dell’universo conosciuto. Ma gli scienziati sono sempre stati in grado di vedere la luce e altre radiazioni da un buco nero supermassiccio solo quando brilla direttamente verso i nostri telescopi: qualsiasi cosa dietro di esso è sempre stata oscurata. 

Finora. Un nuovo studio  pubblicato su “Nature” presenta il primo rilevamento di radiazioni provenienti da  dietro un buco nero, piegato a causa della deformazione dello spaziotempo attorno all’oggetto. È un’altra prova a conferma della teoria della relatività generale di Einstein. 

“Si tratta di un risultato davvero entusiasmante”, afferma Edward Cackett, un astronomo della Wayne State University che non è stato coinvolto nello studio. “Anche se abbiamo già visto i riverberi dei raggi X, fino ad ora non è stato possibile vederli da dietro il buco nero. Ciò consentirà una migliore mappatura di come i buchi neri piegano lo spazio-tempo intorno a loro”.

Il rilascio di energia da parte dei buchi neri, a volte sotto forma di raggi X, è un processo estremo. I buchi neri supermassicci sono essenzialmente centrali elettriche che consentono alle galassie di crescere intorno a loro. “Se si vuole capire come si formano le galassie, è necessario svelare questi processi al di fuori del buco nero che sono in grado di rilasciare enormi quantità di energia e potenza”, afferma Dan Wilkins, un astrofisico della Stanford University e l’autore principale dello studio. 

Lo studio si concentra su un buco nero supermassiccio al centro di una galassia chiamata I Zwicky 1 (I Zw 1 in breve), a circa 100 milioni di anni luce dalla Terra. Nei buchi neri supermassicci come I Zw 1, grandi quantità di gas cadono verso il centro (l’orizzonte degli eventi, che è fondamentalmente il punto di non ritorno) e tendono ad appiattirsi in un disco. Sopra il buco nero, una confluenza di particelle sovralimentate e attività del campo magnetico provoca la produzione di raggi X ad alta energia.

Alcuni di questi raggi X brillano direttamente verso di noi e possiamo osservarli normalmente, usando i telescopi. Ma alcuni di loro brillano anche verso il disco piatto di gas e si riflettono su di esso. La rotazione del buco nero I Zw 1 sta rallentando a una velocità maggiore rispetto a quella osservata nella maggior parte dei buchi neri supermassicci, il che fa sì che il gas e la polvere circostanti cadano più facilmente e alimentino il buco nero da più direzioni. Questo, a sua volta, porta a maggiori emissioni di raggi X, motivo per cui Wilkins e il suo team erano particolarmente interessati.

Mentre Wilkins e il suo team stavano osservando questo buco nero, hanno notato che la corona sembrava “lampeggiare”. Questi lampi, causati da impulsi di raggi X che si riflettono sull’enorme disco di gas, provenivano da dietro l’ombra del buco nero, un luogo che normalmente è nascosto alla vista. Ma poiché il buco nero piega lo spazio attorno ad esso, anche i riflessi dei raggi X sono piegati attorno ad esso, il che significa che possiamo individuarli.

I segnali sono stati trovati utilizzando due diversi telescopi spaziali ottimizzati per rilevare i raggi X nello spazio: NuSTAR, gestito dalla NASA, e XMM-Newton, gestito dall’Agenzia spaziale europea.

La più grande implicazione delle nuove scoperte è che confermano ciò che Albert Einstein aveva predetto nel 1963 come parte della sua teoria della relatività generale: il modo in cui la luce dovrebbe piegarsi attorno a oggetti giganteschi come i buchi neri supermassicci. “È la prima volta che vediamo davvero la firma diretta del modo in cui la luce si piega completamente dietro il buco nero nella nostra linea di vista, a  causa  del modo in cui il buco nero deforma lo spazio intorno a se stesso”, afferma Wilkins. 

“Anche se questa osservazione non cambia il nostro quadro generale dell’accrescimento dei buchi neri, è una bella conferma che la relatività generale è in gioco in questi sistemi”, afferma Erin Kara, un’astrofisica del MIT che non è stata coinvolta nello studio. Nonostante il nome, i buchi neri supermassicci sono così lontani che sembrano davvero dei singoli punti di luce, anche con strumenti all’avanguardia. Non sarà possibile fotografarli tutti nel modo in cui gli scienziati hanno usato l’Event Horizon Telescope per catturare l’ombra di un buco nero supermassiccio nella galassia M87.

Quindi, anche se è presto, Wilkins e il suo team sperano che rilevare e studiare altri riverberi di raggi X da dietro la curva possa aiutarci a creare immagini parziali o addirittura complete di buchi neri supermassicci distanti. A sua volta, ciò potrebbe aiutare a svelare alcuni grandi misteri su come i buchi neri supermassicci crescono, sostengono intere galassie e creano ambienti in cui le leggi della fisica sono spinte al limite.  

(rp)