La libertà del sole a strisce

Economiche, flessibili. Le celle solari potrebbero aiutarci a rimandare l’imminente crisi energetica mondiale. Questa è la grande promessa. Un manipolo di startup e aziende consolidate cerca di realizzarla sviluppando dispositivi stampabili fatti con plastiche e nanomateriali.

di Peter Fairley

Strisce di plastica flessibile quasi indistinguibile dalla normale pellicola fotografica cuociono sotto una luce intensa. In realtà queste strisce, lunghe una decina di centimetri e larghe cinque, stanno convertendo la luce in corrente elettrica. Basta collegarne qualcuna in serie per generare abbastanza potenza da alimentare un piccolo ventilatore.

NEI LABORATORI DI KONARKA TECHNOLOGIES, UNA SOCIETA’ DI LOWELL, NEL MASSACHUSETTS, MUOVE I SUOI PRIMI PASSI UNA NUOVA GENERAZIONE DI CELLE SOLARI.

Le celle solari, ovviamente, non sono una novità. Ma fino a oggi l’energia solare richiedeva l’impiego di costosi pannelli di silicio che l’hanno relegata, in larga misura, ad applicazioni di nicchia come i satelliti o le abitazioni più esclusive. L’aspetto interessante della pellicola elettrogeneratrice sviluppata da Konarka è l’economicità e la semplicità di fabbricazione, basata su una linea di produzione costituita da macchine per rivestimenti e rulli. Il processo è più simile al funzionamento, rapido e immediato, dei moderni impianti tipografici che agli arcani rituali portati a termine nelle camere bianche delle fabbriche di pannelli solari basati sul silicio. L’azienda produce, letteralmente, interi rotoli di materiale e prevede di ritagliarne fogli come da una pezza di stoffa.

La tecnologia Konarka è solo un esempio dei nuovi tipi di celle solari, o fotovoltaiche, «stampabili», utilizzabili praticamente dappertutto e in grado di aprire la strada all’energia solare capillarmente diffusa e a basso costo. Oltre a essere economiche – il costo di produzione è la metà rispetto ai pannelli tradizionali – le celle sono leggere e flessibili e possono essere applicate a ogni tipo di superficie. Un film flessibile laminato sul coperchio di un computer portatile fornirebbe un costante flusso di energia, riducendo la necessità di ricaricare frequentemente le batterie. Mescolate alle vernici per il rivestimento delle auto, le celle servirebbero per ricaricare le batterie dei motori ibridi, portando a un risparmio netto di carburante. Infine, lo stesso materiale potrebbe essere usato per rivestire le case, producendo corrente da immettere nel sistema di distribuzione elettrica.

Un crescente numero di startup come Konarka, o di grande aziende come General Electric, Siemens e il produttore di chip STMicroelectronics, cercano di rendere concreta tale visione (si veda La rivoluzione del solare stampabile, a pag. 24). Konarka spera di avviare la commercializzazione delle sue pellicole l’anno prossimo, partendo dai mercati dell’elettronica di consumo e della difesa. E questo inverno Siemens ha annunciato di aver spinto a livelli ancora più elevati la potenza del suo prototipo di cella fotovoltaica in plastica, un risultato che potrebbe farci arrivare molto presto a una tecnologia dispiegabile su larga scala.

Tutto questo è stato reso possibile da alcune recenti scoperte nel campo della scienza dei materiali, inclusi i progressi registrati dalla ricerca nel settore dei nanomateriali. Alcuni dei dispositivi solari più promettenti sono stati realizzati con plastiche elettroconduttrici e particelle di nanomateriale, troppo piccole per essere viste a occhio nudo, miscelate in una soluzione. Questa soluzione può essere applicata come l’inchiostro, attraverso un procedimento simile alla stampa a getto, su una qualsiasi superficie; all’interno della plastica i nanomateriali si dispongono in strutture ordinate, formando la base fondamentale della cella fotovoltaica. Tutto questo avviene con pochissimi interventi da parte dell’uomo. «La cosa fantastica è che forse potremo essere in grado di inserire l’agente attivo in un qualsiasi materiale diffusivo e creare una sorta di stampa», dice Richard Smalley, chimico della Rice University, che nel 1996 ha condiviso il Premio Nobel per la chimica per la scoperta delle molecole di carbonio a forma di pallone da calcio, meglio note come buckyballs, un ingrediente fondamentale delle nanocelle solari.

Rendere queste celle efficienti al punto da poter fare concorrenza a carbone, vento e energia nucleare è uno scopo ambizioso, ma secondo gli esperti raggiungibile. Le applicazioni più comuni sono ancora in uno stadio embrionale, ma come afferma Serdar Sariciftci, fisico della materia presso l’Università Johannes Kepler di Linz, in Austria, e consulente di Konarka, «la strada è ormai aperta, l’effetto valanga è partito».

ENERGIA TIPOGRAFICA

Nel 2003 è stato prodotto un numero senza precedenti di celle fotovoltaiche tradizionali, ma tutte insieme questi dispositivi hanno generato appena 750 megawatt di elettricità, l’equivalente di una centrale termica a carbone di medie dimensioni. Il vero ostacolo allo sviluppo dell’industria fotovoltaica sono i costi di produzione. La maggior parte dei pannelli di qualità più elevata viene realizzata con wafer di silicio cristallino spesso 15 centimetri e questo materiale è molto caro. Di conseguenza, lgenerata dal sole costa da quattro a dieci volte quella prodotta in un impianto convenzionale.

LE CELLE SOLARI STAMPABILI POTREBBERO ESSERE INCORPORATE SULLA SUPERFICIE DI TELEFONINI, NOTEBOOK, AUTOMOBILI E PERFINO EDIFICI, APRENDO LA STRADA ALL’ENERGIA FOTOVOLTAICA UBIQUA A PREZZI ABBORDABILI.

Per decenni i ricercatori in questo campo hanno cercato di individuare una alternativa economica al silicio. Il problema è quello dell’efficienza: gli altri materiali non riescono semplicemente a produrre abbastanza corrente. Ma la scoperta fatta da Siemens all’inizio dell’anno potrebbe modificare profondamente la situazione. La soluzione escogitata combina due delle scoperte più importanti degli ultimi trent’anni di scienza dei materiali: i polimeri elettroconduttori e le buckyballs.

L’idea di mescolare i due materiali per catturare l’energia del sole ha cominciato a farsi strada solo all’inizio degli anni 1990, quando i fisici Sariciftci e Alan Heeger dell’Università della California a Santa Barbara, svilupparono i primi rudimentali dispositivi fotovoltaici versando una soluzione di plastica elettroconduttrice e buckyballs, su una lastra di vetro e facendo poi ruotare quest’ultima fino a trasformare la soluzione in una sottile pellicola schiacciata tra due elettrodi. Il polimero conduttore assorbiva fotoni emettendo elettroni che venivano a loro volta catturati dalle buckyballs e instradati verso uno degli elettrodi. Per farla breve, la pellicola funzionava come una cella fotovoltaica. Sulle prime la potenza generata era trascurabile (meno dell’1 per cento dell’energia solare incidente). Ma il principio delle celle solari stampabili era stato dimostrato: era possibile depositare un materiale fotovoltaico su una superficie e farlo funzionare senza complesse preparazioni.

Le celle solari stampabili sono diventate un’ossessione per Sariciftci. Nel 1996, dopo il trasferimento alla Johannes Kepler, lo scienziato inizia a mettere insieme un team di ricerca con lo scopo di incrementare l’energia prodotta dal suo dispositivo. Una delle sue prime reclute è Christoph Brabec, giovane specialista in polimeri. Giunti all’anno 2000, Sariciftci e Brabec scoprono una miscela di solventi, temperature e condizioni di essiccamento in grado di garantire una migliore amalgama di plastiche e buckyballs, ottenendo così un livello di corrente doppio rispetto al passato.

Nel 2001, Brabec lascia Sariciftci per andare a dirigere la nuova ricerca della Siemens nel settore dei polimeri fotovoltaici. è sua la squadra che all’inizio di quest’anno è riuscita a ottenere un significativo aumento di output della cella in materiale plastico, apportando qualche modifica al nanomateriale e applicando un metodo di rivestimento di tipo più industriale. Ancora non è chiaro il perché di questo significativo aumento, spiega Brabec, il quale tuttavia sospetta che la spiegazione abbia a che fare con una maggiore regolarità della struttura di polimeri e buckyballs all’interno della miscela. Per Brabec e colleghi è tuttavia chiaro che è possibile spremere da queste celle maggiore energia, riuscendo forse a raddoppiare ulteriormente l’efficienza e arrivando a catturare il 10 per cento dell’energia solare incidente, una percentuale che gli esperti considerano di soglia per un’applicazione come quella dei pannelli montati sui tetti delle abitazioni. «Siamo assolutamente convinti che l’efficienza continuerà ad aumentare», afferma Brabec.

Oggi, egli aggiunge, si tratta di dimostrare la fattibilità di una produzione su larga scala di questi dispositivi. «Finora il nostro lavoro si è svolto in camera bianca e i moduli prodotti non superano i 15 centimetri di dimensione», spiega. «Il passo logico successivo consiste nell’uscire dal laboratorio e sperimentare la produzione in rulli in condizioni industriali». Un traguardo che spera di realizzare entro il prossimo anno.

BRILLANTI STARTUP IN COMPETIZIONE

Almeno una delle startup impegnate in questa stessa gara potrebbe bruciare Siemens sul tempo. Konarka si appresta a produrre la sua innovativa pellicola fotovoltaica con l’intenzione di cominciare a venderla già nel 2005. Diversamente da Siemens, il film concepito da Konarka non fa uso di buckyballs, ma si basa piuttosto su minuscole particelle semiconduttrici di biossido di titanio rivestito con pigmenti fotoassorbenti, immerse in un elettrolita e inserite in una pellicola di plastica. Ma, come nel caso delle celle inventate da Siemens, anche il materiale di Konarka può essere fabbricato con grande facilità e a poco prezzo.

Konarka ritiene di aver individuato un possibile punto di pareggio a breve termine nel segmento dei prodotti di grande consumo. I dispositivi elettronici più affamati di corrente elettrica, come telefonini e computer portatili – e tutti gli altri dispositivi alimentati a batteria ed esposti alla luce del sole – saprebbero fare buon uso della flessibile pellicola targata Konarka, spiega il suo vicepresidente Daniel McGahn. E la pellicola fotovoltaica toglierebbe il cavo di alimentazione da molti altri apparati elettronici installati nelle case e negli uffici, come i sensori di temperatura, gas e processo sparsi nei moderni impianti manifatturieri.

Più in là nel tempo i ricercatori sperano di accrescere ulteriormente la potenza prodotta dalle celle nano-solari, rendendole ancora più facili da installare, fino al punto di poterle spruzzare su quasi tutte le superfici. Nanosolar, una startup di Palo Alto, in California, che ha convinto i venture capitalists a investire cinque milioni di dollari nell’impresa, lavora proprio su questo tipo di obiettivo. L’azienda cerca di sfruttare le tecniche più recenti per far sì che i nanomateriali si organizzino da soli in strutture geometricamente ordinate, con un grado di controllo finora impensabile.

L’approccio adottato è di una semplicità disarmante. I ricercatori spruzzano una miscela di alcol, surfattanti (sostanze simili a quelle utilizzate nei detersivi) e composti del titanio su un laminato metallico. Dopo che l’alcol è evaporato, le molecole di surfattante si aggregano formando dei tubi allungati, costruendo una serie di barriere molecolari intorno alle quali i composti al titanio si accumulano fondendosi. In una trentina di secondi sul laminato si forma un blocco di ossido di titanio perforato da gallerie di pochi nanometri di diametro. Basta riempire questi tunnel con un polimero conduttore, aggiungere un elettrodo, ricoprire il blocco con plastica trasparente ed ecco pronta una cella fotovoltaica estremamente efficiente.

Teoricamente gli elettroni carichi di energia prodotti all’interno delle colonne di polimero Nanosolar devono compiere un salto di pochi nanometri per raggiungere il composto al titanio. Da qui gli elettroni vengono sparati direttamente verso un elettrodo. «è una via d’uscita molto rapida», dichiara l’amministratore delegato di Nanosolar, Martin Roscheisen, imprenditore di Internet che due anni fa ha fondato la compagnia.

La tecnologia dovrebbe consentire a Nanosolar di dipingere a spruzzo il materiale fotovoltaico su tegole per tetti, veicoli e cartelloni, collegandolo poi agli elettrodi. In un primo momento le celle potrebbero essere applicate durante la fabbricazione, ma alla fine verranno spruzzate sulla superficie di materiali già esistenti. Quando il procedimento sarà abbastanza consolidato da poter pensare di alimentare la rete elettrica con queste celle? Roscheisen non si sbilancia, ma giura che entro la fine del prossimo anno Nanosolar disporrà dei primi prototipi capaci di catturare il 10 per cento della luce incidente.

UN POSTO AL SOLE

Nelle loro prime applicazioni – come fonte di energia per cellulari e computer, sostiene Konarka – le celle fotovoltaiche a stampa non dovranno generare molta energia o durare per qualche decennio. Da lì ad arrivare al montaggio sui tetti, è tutta un’altra storia.

A differenza del silicio cristallino dei pannelli solari convenzionali, i polimeri e i coloranti usati nelle celle solari stampabili sono particolarmente sensibili all’ossigeno. Proteggere tali materiali dalla sabbia portata dal vento, dalla luce intensa, dai gradienti termici più estremi e dalla miriade di altri agenti dannosi che la natura accumula sui pannelli solari richiederà l’impiego di sigillanti ermetici. Ma Brian Gregg, esperto in fotovoltaico presso il National Renevable Energy Laboratory del Dipartimento dell’Energia americano, prevede che la scienza dei materiali svilupperà presto una generazione di sigillanti in grado di proteggere a lungo questi delicati dispositivi. «Non c’è ragione di credere che non saremo capaci di fabbricare celle solari (stampabili) in grado di resistere per trent’anni», ritiene Gregg.

Al contrario, i recenti progressi nel campo – e le opportunità sempre più interessanti rappresentate dalle nanotecnologie – rendono gli esperti più ottimisti che mai sulla possibilità che la tecnologia sia prossima a risolvere uno dei problemi più complessi di questo mondo: creare una fonte di energia rapida e rinnovabile. Uno di questi è Richard Smalley, pioniere delle nanotecnologie, addirittura convinto che una rete di alimentazione elettrica fotovoltaica sia non solo possibile ma inevitabile, pertanto indispensabile. Secondo Smalley le nanotecnologie possono aiutarci a risolvere i nostri problemi energetici fornendo strumenti e materiali che renderanno economicamente praticabile un uso capillare delle celle fotovoltaiche. Ma l’esperto ritiene che occorreranno miliardi di dollari di finanziamenti e uno sforzo focalizzato da parte dei migliori chimici e fisici del mondo per rendere possibile tutto questo. A tal fine negli ultimi due anni ha battutto in lungo e in largo gli Stati Uniti per promuovere una sorta di Progetto Manhattan dell’era moderna a favore dell’impiego delle nanotecnologie per lo sviluppo di una fonte energetica sostenibile.

Questa è una visione di lungo termine. Nel frattempo, le Konarka e Siemens sparse per il mondo tentano di muovere i primi, determinanti passi, verso un nuovo modo di pensare l’energia estratta dal sole e di impiegare l’energia nella nostra vita quotidiana. Non sarà il Progetto Manhattan invocato da Smalley, ma è uno sforzo che sta crescendo in intensità e potrebbe raggiungere presto una massa critica.

Peter Fairley, collaboratore di «Technology Review», edizione americana, scrive di tecnologie, energia e ambiente e abita a Victoria, British Columbia, in Canada.

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