La crisi delle terre rare

Le automobili elettriche e le turbine eoliche dipendono da materiali che provengono quasi interamente dalla Cina. In breve tempo, la domanda di questi materiali potrebbe andare oltre l’offerta. Sarà questa la carta vincente della Cina in campo economico?

di Katherine Bourzac

Nell’estremità orientale del Deserto Mojave, a un’ora di guida in direzione sudoccidentale da Las Vegas, a Mountain Pass, in California, giace il più vecchio (risalente a 1,4 miliardi di anni fa) giacimento di cerio, neodimio e altri metalli che costituiscono la più grande risorsa di terre rare negli Stati Uniti. Accanto a colline popolate esclusivamente da cactus, alberi di Joshua e qualche tartaruga, si trova una vasta discarica di rocce bianche e marroni che risale a più di 50 anni fa, quando una miniera a cielo aperto da 50 acri era ancora attiva. Questa miniera era un tempo la più grande fonte di questi metalli, indispensabili per una grande varietà di prodotti, da hard drive per computer, a lampade fluorescenti e persino magneti, di quelli utilizzati nei motori delle automobili elettriche. Il sito contiene ancora abbastanza materiale da consentire estrazioni per almeno altri 30 anni, anche se è stato chiuso nel 2002 a causa di gravi problematiche legate all’ambiente e alla scalata dei produttori cinesi che fornivano gli stessi materiali a un costo più basso. La miniera è quindi rimasta inattiva per un decennio.

Con l’esplosione globale della domanda di questi materiali, Molycorp Minerals, proprietaria del sito, ha ripreso gli scavi a Mountain Pass lo scorso dicembre. Ora è l’unica produttrice di metalli di terre rare nell’emisfero occidentale, nonché una delle poche fuori della Cina, che attualmente garantisce il 95 per cento della fornitura mondiale. Lo scorso settembre, a seguito della sospensione per due mesi delle esportazioni in Giappone da parte della Cina, i paesi nel mondo si sono attivati per cominciare a sfruttare le proprie risorse. Ma, senza le restrizioni imposte dalla Cina e con la riapertura della miniera californiana, la fornitura di alcune di queste terre rare potrebbe presto divenire insufficiente, in particolare per quanto riguarda il neodimio e il disprosio, che sono utilizzati per produrre i magneti che contribuiscono a generare la coppia nei motori delle vetture elettriche e ibride e a convertire la coppia prodotta dalle grandi turbine eoliche in elettricità.

In un documento ufficiale diffuso lo scorso dicembre, il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti ha stimato che la diffusione di vetture elettriche e centrali eoliche offshore potrebbe portare a una carenza di questi materiali entro il 2015.

Le conseguenze sono tutt’ora ignote. In molte applicazioni, dove sono necessari magneti forti e permanenti, non esiste un’alternativa immediata a questi metalli, capaci di mantenere un campo magnetico senza ricorrere a una fonte energetica per indurre il magnetismo. I magneti comuni, inclusi quelli che appendiamo al frigorifero, sono permanenti, ma non abbastanza potenti, a diffrenza dei magneti di terre rare. Le leghe di neodimio con ferro e boro sono, a parità di peso, quattro o cinque volte più potenti rispetto a qualunque altro materiale. Questo è uno dei motivi per cui i magneti in terre rare vengono adoperati in quasi tutte le vetture ibride ed elettriche. Il motore della Toyota Prius, per esempio, ne usa quasi un chilo, e le turbine eoliche offshore possono arrivare a richiederne diverse centinaia di chilogrammi ciascuna.

Le nuove attività minerarie, non solo a Mountain Pass, ma anche in Australia e altrove, aumenteranno le riserve, ma non abbastanza da riuscire a soddisfare entro i prossimi anni la domanda di certi metalli cruciali, in particolare il disprosio. Le capacità limitate delle nuove operazioni minerarie non costituiscono l’unico problema. Le terre rare sono talmente efficienti come magneti, che i ricercatori hanno smesso di sviluppare alternative o cercare di migliorarne le prestazioni dall’inizio degli anni ’80. Solo un pugno di scienziati e ingegneri al di fuori della Cina stanno ricercando alternative alle terre rare, ma ci vorranno anni prima che queste vedano la luce nei motori, in quanto richiederanno lo sviluppo della competenza tecnica e delle infrastrutture per la produzione. Gli Stati Uniti hanno “perso la competenza” al seguito della chiusura delle miniere e al ricollocamento degli impianti produttivi in Asia perché fossero vicini alle miniere attive e costassero meno in manodopera, spiega George Hadjipanayis, docente di fisica e astronomia presso la Università del Delaware. Ora, aggiunge, «non vi sono grandi finanziamenti, né tanto meno una industria alle spalle».

In alto. Questa miniera da 50 acri al confine est del Deserto di Mojave era un tempo la principale fonte di metalli di terre rare al mondo. Dopo essere stata chiusa e abbandonata dieci anni fa, l’acqua ha cominciato ad accumularsi sul fondo della miniera. Gli stabilimenti della miniera Molycorp Minerals, immortalati nella immagine in basso del dicembre 2010, sono in fase di ricostruzione. L’equipaggiamento include macchinari utilizzati per frantumare e dissolvere rocce prelevate dalla miniera al fine di estrarre e asciugare ossidi di terre rare. Foto: Daniel HennessyUna inversione di rotta

I metalli di terre rare, nonostante il nome, sono relativamente abbondanti nella crosta terrestre. Le 16 terre rare naturali si trovano solitamente mescolate tra loro in depositi che spesso contengono anche elementi radioattivi, per cui la separazione dei metalli richiede processi costosi che producono una varietà di sostanze tossiche inquinanti. «Conosciamo la concentrazione complessiva di terre rare in tutte le aree del deposito», spiega Rocky Smith, responsabile di Molycorp per la miniera, parlando da uno dei livelli scavati nella fossa profonda 250 metri e indicando una roccia colma di bastnasite, un minerale violaceo contenente una mistura di terre rare. Conoscere la posizione delle terre rare nel sito ed estrarre i singoli metalli dal minerale sono però due cose differenti.

Il primo passo nell’estrazione degli ossidi di terre rare dalle rocce circostanti consiste nella frantumazione della roccia fino a renderla una polvere fine, che viene fatta passare attraverso una serie di cisterne, all’interno delle quali gli elementi galleggiano in superficie. I minerali indesiderati si depositano sul fondo e questo materiale di scarto, denominato sterile, viene immagazzinato in vasche. Nel frattempo, il concentrato di metalli di terre rare viene cotto in forni e poi sciolto nell’acido. La soluzione che ne deriva, contenente le terre rare in forma di ossidi misti di metallo, viene rimossa. Infine, viene neutralizzato il solvente.

La reazione genera una grande quantità di sale. Quando la miniera di Mountain Pass lavorava a pieno regime negli anni ’90, produceva fino a 850 galloni di acqua salata di scarto al minuto, ogni giorno e per tutto l’anno. Questi rifiuti contenevano inoltre torio e uranio radioattivi, che si accumulavano all’interno delle tubazioni utilizzate per trasportare le acque reflue verso le vasche di evaporazione a 11 miglia di distanza. Diverse volte, nell’arco di quegli anni, le operazioni di pulizia per rimuovere le scaglie accumulate di materiale, causarono l’esplosione delle tubature e il versamento di centinaia di migliaia di galloni d’acqua inquinata nel deserto. Lo stato della California ordinò a Molycorp, che allora faceva parte dell’azienda petrolifera Unocal, di ripulire gli scarti. Nel 2002, l’azienda, già in difficoltà finanziarie, si ritrovò senza più spazio per immagazzinare gli scarti e non riuscì ad aggiudicarsi un permesso per costruire un nuovo impianto di stoccaggio. L’unica soluzione fu la chiusura.

Chevron acquistò Unocal nel 2005, acquisendo cosi anche Molycorp e la miniera di Mountain Pass. Nel 2008, un gruppo di finanziatori privati comprò la miniera, fondando Molycorp Minerals, che da allora si è concentrata sullo sviluppo di tecnologie per il trattamento dei minerali che dovrebbero eliminare la necessità di vasche per l’evaporazione e di tubazioni. Nel 2009, Molycorp ha iniziato a estrarre didimio dalla bastnasite che era stata accumulata al tempo della chiusura della miniera. L’estate scorsa, l’azienda si è quotata in Borsa e da allora le sue quote sono salite vertiginosamente. é cosi rinata l’industria statunitense delle terre rare.

Basta però una semplice visita all’impianto di lavorazione di Molycorp per capire che la sola miniera di Mountain Pass non risolverà il problema delle scorte di terre rare. All’interno di un piccolo magazzino dove gli ossidi di terra rara vengono asciugati e impacchettati, Mark Smith, amministratore delegato di Molycorp, immerge la mano in un barile e solleva una polvere di colore marrone.

Morbido e fine come la cenere, questo materiale non è altro che ossido di didimio, una mistura di neodimio e praseodimio ossidati, elementi all’estrema sinistra nella loro fila all’interno della tavola periodica. Il deposito di Mountain Pass, come altri depositi di terre rare con l’eccezione di un paio nel Sud della Cina, è molto ricco di elementi leggeri di questo tipo. Sono ideali per lucidare il vetro, per le batterie delle automobili e per magneti che devono operare a basse temperature. Affinché i magneti resistano alle elevate temperature di motori e turbine è però necessario aggiungervi del disprosio o del terbio, una tipologia pesante di terra rara.

Un altro problema è che Molycorp è solamente all’inizio della ricostruzione delle infrastrutture necessarie per trasformare le terre rare in magneti. Quando le operazioni minerarie si sono spostate dagli Stati Uniti all’estero, tutte le infrastrutture sono state spostate di conseguenza. La purificazione delle terre rare viene effettuata quasi esclusivamente in Cina, anche se la Malesia sta costruendo un impianto. L’industria dei magneti è ora dislocata principalmente in Cina e Giappone. L’azienda giapponese Hitachi Metals, che detiene i brevetti necessari per realizzare leghe di terre rare e magneti, ha sancito un accordo con Molycorp per avviarne la produzione negli Stati Uniti. Molycorp fornirà le scorte di neodimio, ma per realizzare i magneti resistenti al calore potrebbe essere costretta a cercare altrove le terre rare pesanti e non è facile capire come farà.

(1) Le rocce ricavate dalle esplosioni a Mountain Pass (a sinistra) contengono la bastnasite, un minerale di terre rare.

(2) Le rocce vengono frantumate e diluite, e la fanghiglia cosi ottenuta viene separata per produrre ossido di didimio, una mistura

di terre rare leggere ossidate che, necessita di ulteriore lavorazione per ottenere il metallo di didimio puro utilizzato nei magneti.

(3) Molycorp si affida al Giappone e ad altri paesi per la lavorazione dell’ossido di didimio.

Foto: Daniel HennessyLe alternative autoctone

Anche se non viene più effettuata negli Stati Uniti, la purificazione delle terre rare fu inventata in questo paese da Frank Spedding, fondatore del Ames National Laboratory in Iowa. Nel 1949, ancora prima che le terre rare trovassero una applicazione industriale, Spedding inventò i primi metodi per separare questi materiali uno dall’altro; il sistema si evolse partendo dal suo lavoro di separazione di uranio e torio per il Progetto Manhattan. Ancora oggi l’Ames Laboratory è l’unico negli USA a conoscere a fondo i materiali.

Iver Anderson, uno dei ricercatori del laboratorio, non ha alcun problema a dimostrare perché le terre rare siano insostibuili come magneti. Estendendo la sua mano sulla scrivania, con il palmo rivolto verso il basso, mostra come il campo magnetico generato da un minuscolo frammento di un magnete in neodimio posto sulla mano sia in grado di attirare un altro magnete e farlo attaccare alla mano. Un paio di magneti in neodimio più grandi potrebbe rompere le ossa. Anderson raccoglie quindi un altro magnete più pesante in alluminio, nickel, ferro e cobalto, e a malapena riesce a tenerlo attaccato a una graffetta.

Per quanto deboli, le proprietà magnetiche del materiale sono promettenti e per questo motivo, Anderson e i suoi colleghi stanno cercando di migliorarne le qualità andando a manipolare la nanostruttura, composta da una mistura di aghi in ferro-cobalto separati da una matrice di nickel o alluminio. Partendo dagli studi teorici del materiale, Anderson spera di riuscire ad alterarne le condizioni di formazione in modo da allungare gli aghi e allinearli meglio. «Quanto possiamo fare lunghi questi aghi?», si chiede. «Cosa succederebbe se esponessimo il campione a un potente campo magnetico? Ne cambierebbe la spaziatura allungandoli ulteriormente?».

L’aspetto che più colpisce di questo magnete è l’assenza di metalli di terre rare. Ciononostante, persino i ricercatori dell’Ames Laboratory sembrano incerti se un materiale del genere potrà veramente rimpiazzare i magneti di terre rare. Da quando furono introdotti i magneti in neodimio nel 1983, non si è più prodotto nulla di paragonabile. Ma, dice Anderson, «non si può escludere un colpo di fortuna».

I ricercatori stanno anche lavorando a sistemi di produzione dei magneti di terre rare più efficienti. Attualmente, i materiali magnetici vengono surriscaldati o compressi fino a formare dei grossi blocchi densi, che devono poi essere tagliati nella forma desiderata. Questo processo produce grandi quantità di trucioli in metallo ossidato, denominato swarf, spesso contaminati dai lubrificanti usati per le lame da taglio. Lo swarf impuro non può essere integrato con nuovi magneti, ma se si scoprisse un suo possibile utilizzo – o la preparazione dei materiali in maniera tale da poter essere forgiati anziché tagliati – si estenderebbe la quantità di materiale utile. «Osservando i barili da 200 litri colmi di materiale scartato, sorge spontaneo chiedersi come fare per recuperare le terre rare dallo swarf», afferma Anderson.

Se nei prossimi anni la fornitura di terre rare dovesse non soddisfare la domanda e non ci dovesse essere ancora alcun sostituto capace di avvicinarvisi in termini di prestazioni, i costruttori di vetture ibride ed elettriche dovranno probabilmente sviluppare nuovi motori capaci di fare affidamento sul magnetismo interrotto anziché quello permanente, spiega Eric Rask, ricercatore dell’Argonne National Laboratory. Prima di arrivare al laboratorio, Rask aveva lavorato allo sviluppo del sistema di alimentazione della GM Volt, che fa uso di magneti permanenti di terre rare. «Il motivo per cui i motori con magneti permanenti sono così diffusi è che generalmente le loro prestazioni sono superiori nelle condizioni di guida più comuni, fornendo una coppia maggiore a parità di corrente disponibile», sostiene Rask.

Solo pochi si dicono ottimisti sulla possibilità che vi siano abbastanza risorse di terre rare da alimentare una crescita delle tecnologie pulite, che hanno necessità di condizioni favorevoli per competere in termini di costo ed efficienza. «Tuttto è già stato scritto», dice Patrick Taylor, direttore del Kroll Institute for Extractive Metallurgy della Colorado School of Mines. «Vogliamo sviluppare questo nuovo, grande mercato dell’energia, ma disponiamo di risorse limitate mentre la domanda continua a crescere». Alla domanda su come la Cina abbia fatto a prevalere sul resto del mondo, Taylor risponde che tecnici e aziende hanno cominciato a trasferirsi in quel paese già vent’anni fa. Solo che, allora, nessuno ha prestato attenzione a questo fenomeno.

Related Posts
Total
0
Share