La Cina si consolida ulteriormente nel mercato del petrolio sudamericano

Le riserve venezuelane ed ecuadoriane sono sempre più appannaggio di Pechino, anche grazie ai crediti che il gigante asiatico vanta verso i due paesi. Ad oggi l’Ecuador possiede riserve accertate di greggio pari a 8,8 miliardi di barili, costituendo così la terza “potenza” petrolifera del Sud America.

di James Hansen (Fonte ABO/OIL)

Il Venezuela vive una situazione di profonda crisi economica, condizione che si manifesta nella gravissima carenza di importanti materie prime di consumo. La Cina iniziò a prestare al paese ingenti somme di denaro nel 2007, nel periodo della presidenza di Hugo Chàvez. Con l’attuale amministrazione Maduro, l’importo totale del prestito ha superato i 45 miliardi di dollari, dei quali 20 miliardi non sono ancora stati restituiti, e probabilmente non saranno mai recuperati.

è stata una scelta incosciente? Per soli 20 miliardi di dollari, la Cina ha acquisito un peso rilevante nelle decisioni relative al destino delle più importanti riserve di petrolio del mondo, attualmente stimate nell’ordine di 297 miliardi di barili. Per poter mantenere un’influenza simile sulle riserve irachene, gli Stati Uniti hanno finora speso più di 1.700 miliardi di dollari, per non parlare poi del prezzo in termini di vite umane, difficile da stimare. Il caso dell’Ecuador non ha ricevuto la stessa attenzione, in parte perché, sebbene gravi, i problemi economici del paese sono meno spettacolari rispetto a quelli del Venezuela.

Un paese grande grazie al petrolio

L’Ecuador è il più piccolo membro dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC). Da questa risorsa il paese ricava più della metà dei proventi derivanti dalle esportazioni della nazione, e circa i due quinti dei ricavi del settore pubblico. A gennaio 2015, l’Ecuador vantava riserve accertate di greggio pari a 8,8 miliardi di barili, costituendo così la terza riserva di petrolio del Sud America, dopo Venezuela e Brasile. La maggior parte si trova nel bacino dell’Oriente, nel bassopiano delle foreste pluviali amazzoniche. Stando alla Energy Information Administration (EIA) statunitense, nel 2014 la produzione ecuadoriana di greggio ha raggiunto 555mila barili al giorno. Tuttavia la scarsa capacità di raffinazione interna ha costretto il paese a importare prodotti raffinati, limitando i proventi petroliferi netti.

La nazionalizzazione delle risorse e le implicazioni ambientali dello sviluppo del settore petrolifero rappresentano argomenti “caldi” nella politica ecuadoriana che, insieme alle iniziative governative per aumentare la propria quota di ricavi petroliferi, trasformano il Paese in ciò che gli analisti amano chiamare un “ambiente di investimento impegnativo”, contribuendo a una produzione quasi stagnante nel corso dell’ultimo decennio.

Il rapporto con la Cina

Ora il governo di Quito ha approfittato della fame di risorse della Cina per ottenere finanziamenti essenziali a condizioni vantaggiose. Il credito giunto da Pechino è stato utilizzato per ritornare sui mercati dei capitali internazionali, cosa che senza l’intervento della Cina sarebbe stata molto più difficile alla luce del default dell’Ecuador del 2008. Il primo finanziamento è arrivato da PetroChina: un credito-ponte quadriennale da 1 miliardo di dollari statunitensi al tasso del 7,25%. A titolo comparativo, i titoli di Stato ecuadoriani in scadenza nel 2015 hanno fruttato un rendimento del 14,7%.

L’Ecuador ha accettato di ripagare il prestito tramite la vendita di petrolio da parte dell’azienda pubblica PetroEcuador, con una valutazione comprensiva di un premio di 1,25 dollari statunitensi al barile. Dal punto di vista di Quito, queste sono condizioni molto favorevoli, tanto che l’affare con PetroChina ha comportato poi una serie di accordi di credito sostenuti da petrolio con altre aziende statali cinesi, compresi miliardi di dollari per dighe e centrali termoelettriche. Il risultato è che PetroEcuador ha impegnato l’83% della propria produzione petrolifera a favore di un unico acquirente, PetroChina. Di questo petrolio, pochissimo raggiungerà davvero l’Asia: il 68% verrà inviato direttamente negli Stati Uniti e un altro 10% a Panama, dove verrà rivenduto a commercianti che in gran parte lo rivenderanno alle raffinerie americane. Nel gennaio 2015, l’Ecuador ha ricevuto un’ulteriore linea di credito trentennale di 5,3 miliardi di dollari statunitensi dalla China Export-Import Bank a un tasso del 2%, un importante cuscinetto a dispetto del crollo dei prezzi del petrolio a livello internazionale.

Sebbene gran parte del greggio ecuadoriano finisca nelle raffinerie californiane per ulteriore lavorazione, Quito ha relazioni difficili con le società petrolifere americane. Sembra che ora le compagnie petrolifere cinesi siano sulla buona strada per sviluppare i nuovi giacimenti petroliferi amazzonici che l’Ecuador sta aprendo alle trivellazioni, ma anche senza il coinvolgimento cinese, difficilmente le società americane si precipiteranno a sviluppare nuovi giacimenti, considerando il livello di rischio politico coinvolto. Per il momento sembra che l’Ecuador sia riuscito a fare un buon uso del credito cinese a condizioni vantaggiose per riuscire a liberarsi dal pantano in cui si è ritrovato dopo aver ripudiato i prestiti sovrani nel 2008. Meglio però non saltare neanche una rata del pagamento a favore del suo nuovo creditore.

Quest’articolo è disponibile su abo.net

(sa)

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