Facebook sta finanziando esperimenti sul cervello per creare un dispositivo indossabile che legga nella mente, aprendo la strada a nuove regole per la gestione della privacy.
di Antonio Regalado
Nel 2017, Facebook ha annunciato la sua intenzione di creare un dispositivo indossabile che consentisse alle persone di digitare a una velocità di 100 parole al minuto, solo con la forza del pensiero.
Oggi, a poco più di due anni di distanza, il colosso dei social media ha rivelato di aver finanziato una serie di ricerche universitarie su volontari umani.
Alcuni di questi studi vengono descritti in una comunicazione scientifica dell’Università della California, a San Francisco, in cui i ricercatori hanno sviluppato “decodificatori del linguaggio” in grado di determinare ciò che le persone hanno intenzione di dire, analizzando i loro segnali cerebrali.
L’argomento è di grande interesse perché potrebbe aiutare a capire se un dispositivo indossabile per il controllo del cervello è realizzabile e perché è il primo esempio di un colosso tecnologico impegnato a estrarre dati direttamente dalle menti delle persone.
Per alcuni esperti di neuroetica, queste ricerche significano che avremo presto necessità di stabilire alcune regole su come i dati del cervello vengono raccolti, archiviati e utilizzati.
Nel rapporto pubblicato su “Nature Communications”, i ricercatori dell’Università della California, a San Francisco, guidati dal neuroscienziato Edward Chang hanno usato schiere di elettrodi, i cosiddetti array ECoG, che sono stati posizionati direttamente nel cervello dei volontari.
Gli scienziati sono stati in grado di registrare in tempo reale le attività cerebrali di tre soggetti che ascoltavano delle domande e rispondevano in modo sintetico. Per esempio, una domanda era: “Da 0 a 10, quanto dolore provi?”. Il sistema è stato in grado di rilevare domanda e risposta, con risultati superiori a quelle legate alla probabilità statistica.
Un’altra domanda era quale strumento musicale preferivano e i volontari potevano rispondere “pianoforte” o “violino”. I volontari si stavano sottoponendo a un intervento chirurgico al cervello per l’epilessia.
Facebook afferma che il progetto di ricerca è in corso e che ora sta finanziando le ricerche dell’UCSF intese a ripristinare la comunicazione con persone disabili con problemi di linguaggio.
L’intenzione di Facebook è di creare un dispositivo indossabile che consenta agli utenti di selezionare brani musicali o interagire nella realtà virtuale con il proprio pensiero.
A tal fine, l’azienda ha anche finanziato ricerche su sistemi che monitorano il cervello dall’esterno del cranio, utilizzando fibre ottiche o laser per misurare i cambiamenti nel flusso sanguigno, in modo simile ai sistemi per la risonanza magnetica.
Tali schemi di flusso sanguigno rappresentano solo una piccola parte delle attività cerebrali, ma potrebbero essere sufficienti per distinguere tra un numero limitato di comandi.
“La capacità di riconoscere anche una manciata di comandi immaginati, come “casa”, “seleziona”ed “elimina”, fornirebbe modi completamente nuovi di interagire con i sistemi VR di oggi e i visori di realtà aumentata di domani”, ha scritto Facebook in un post sul blog.
L’azienda ha in programma di presentare un prototipo di sistema portatile entro la fine dell’anno, anche se non ha fornito particolare sul suo funzionamento.
Una domanda sulla privacy
La ricerca sulle interfacce cervello-computer si è accelerata con l’entrata in campo delle grandi aziende tecnologiche. Il 16 luglio, Neuralink di Elon Musk, che sta sviluppando interfacce neurali, ha dichiarato di sperare di impiantare elettrodi nel cervello di volontari paralizzati entro due anni.
Tuttavia, gli utenti hanno motivo di dubitare che ci si possa fidare delle aziende tecnologiche in grado di monitorare le attività cerebrali. Il mese scorso, per esempio, Facebook è stata sanzionata con una multa record di 5 miliardi di dollari per avere ingannato i clienti su come vengono utilizzate le loro informazioni personali.
“Per me il cervello è l’ultimo baluardo della libertà di pensiero, di fantasia e di dissenso”, afferma Nita Farahany, una professoressa della Duke University specializzata in neuroetica. “Ci stiamo avvicinando al superamento della frontiera finale della privacy in assenza di sistemi di protezione”.
Facebook sottolinea che tutti i dati sul cervello raccolti dall’UCSF rimarranno all’università, anche se i dipendenti dell’azienda di Zuckerbeg possono sempre averli a disposizione per studiarli.
Non si sa a quanto ammontino i finanziamenti di Facebook all’università né quanti volontari siano a conoscenza del ruolo svolto dall’azienda.
Un portavoce dell’università, Nicholas Weiler, ha rifiutato di fornire una copia del contratto di ricerca o dei moduli di consenso firmati dai pazienti, aggiungendo comunque che i moduli di consenso elencano Facebook tra i potenziali sponsor della ricerca.
Un lettore del cervello potrebbe essere la giusta soluzione per controllare i dispositivi, ma implicherebbe che Facebook sia in grado di monitorare i segnali cerebrali che, in teoria, potrebbero fornire molte informazioni sul modo in cui le persone reagiscono a post e aggiornamenti.
“I dati sul cervello creano seri problemi di rispetto della privacy”, afferma Marcello Ienca, esperto di interfacce cerebrali per l’ETH di Zurigo. “Le politiche sulla privacy implementate su Facebook non forniscono garanzie sufficienti”.
L’azienda, a sua volta, sostiene che in questo caso farà tesoro delle cattive esperienze precedenti. “Prendiamo molto sul serio le questioni legate alla privacy”, conclude Mark Chevillet di Facebook, responsabile del progetto per la lettura della mente umana.
(rp)