Scienziati stanno facendo progressi notevoli nell’utilizzo di impianti cerebrali per restituire la libertà di movimento persa in seguito di traumi alla colonna vertebrale. Disponibilità: dai 10 ai 15 anni
di Antonio Regalado
“Vai, vai!” pensava Grégoire Courtine, guardando un macaco accoccolato aggressivamente al lato opposto di un tapis roulant. La sua squadra aveva usato una lama per tagliare la colonna vertebrale dell’animale e paralizzarne la gamba destra, tutto perche’ il neurologo francese voleva dimostrare di essere in grado di far di nuovo camminare la scimmia. A questo scopo, lui e la sua squadra hanno installato un dispositivo per la registrazione sotto al suo cranio, a contatto con la corteccia motoria , nonche’ degli elettrodi flessibili attorno al midollo spinale, proprio sotto alla ferita. I due dispositivi elettrici erano connessi via wireless.
Il sistema risultante è capace di intercettare l-intenzione di camminare della scimmia e trasmetterla alla colonna vertebrale in forma di stimoli elettrici.
La scimmia comincio’ a muovere la gamba, estendendola e flettendola, per poi prendere a ciondolare in avanti. “Ha pensato di camminare ed ha camminato,” ricorda esultante Courtine, professore alla École Polytechnique Fédérale de Lausanne.
E’ da qualche anno che animali e persone anno cominciato a controllare cursore di computer o braccia elettroniche con il pensiero grazie ad impianti cerebrali. Il nuovo passo avanti è avvicinarsi all’inversione completa della paralisi. La connessione wireless tra tecnologia capace di leggere il pensiero e stimolatori elettrici connessi al corpo creano cio’ che Courtine chiama un “bypass neurale” che permette alle persone di riprendere a muovere gli arti con il proprio pensiero.
Un paziente quadriplegico di mezz’età alla Case Western Reserve University, nel Cleveland, ha accettato di provare il dispositivo registratore ideato da Courtine. Realizzato in silicone e più piccolo di un francobollo, freme con un centinaio di sonde della misura di un capello capaci di percepire l’attività dei neuroni nell’atto di inviare comandi.
Per completare il bypass, la squadra della Case, guidata da Robert Kirsch e Bolu Ajiboye, ha infilato 16 elettrodi nei muscoli della mano e del braccio del paziente. Nei video dell’esperimento si vede il paziente sollevare il braccio ed aprire e chiudere la mano, tutte cose normalmente impossibili per lui.
Oltre a trattare casi di paralisi, gli scienziati sperano di applicare le cosiddette protesi neuronali al recupero della vista con chip nell’occhio o magari restituire le memorie perse a causa dell’Alzheimer.
E funzioneranno, non meno delle protesi che affidano ad un microfono il compito di trasmettere segnali direttamente al nervo auditivo per evitare componenti mal funzionanti dell’orecchio interno con cui sono stati trattati piu’ di 250,000 casi di sordità.
Un paziente mosse per la prima volta un cursore su di uno schermo grazie ad una sonda cerebrale nel 1998. Fu solo il primo grande successo, ma, in 20 anni, la tecnologia risulto’ troppo radicale e complessa per uscire dai laboratori.
Alla guida del centro dove opera Courtine c’è John Donoghue, scienziato americano a cui si devono i primi sviluppo nel campo delle protesi cerebrali (vedi “Implanting Hope”), trasferitosi a Ginevra due anni fa con l’intento di raccogliere in un unico luogo le immense risorse tecnologiche ed i talenti necessari alla creazione di sistemi adatti alla messa in commercio.
Tra le priorità di Donoghue’s c’è la realizzazione di un “neurocomm,” un dispositivo wireless ultra compatto capace di raccogliere dati dal cervello alla velocità di internet.
“Una radio nel cervello,” la chiama Donoghue, ed “il piu’ sofisticato comunicatore cerebrale al mondo.” I prototipi, della misura di una scatola di fiammiferi, sono realizzati in titanio biocompatibile con una finestra in zaffiro. Per quanto complessi e lenti a progredire, i bypass neuronali valgono l’impegno necessario a restituire il movimento a chi lo ha perso.
Immagine: Alain Herzog | EPFL and Hillary Sanctuary | EPFL
(LO)