RIDITT, la Rete Italiana per la Diffusione dell’Innovazione e il Trasferimento Tecnologico alle imprese, segnala tecnologie e competenze sviluppate dai principali laboratori e centri di ricerca italiani.
Materiali ceramici «intelligenti»
I materiali piezoelettrici ceramici vengono utilizzati in numerose applicazioni come sensori, attuatori, trasduttori, generatori o trasformatori. Tali componenti, in virtù della loro capacità di convertire un segnale elettrico in meccanico, o viceversa, sono il cuore di molti dispositivi, già utilizzati su scala industriale, quali valvole, testine per stampa a getto di inchiostro, trasduttori per ecografia, sistemi per il posizionamento di precisione, generatori e ricevitori di onde acustiche ecc. Già se ci soffermiamo sui soli attuatori, poi, possiamo individuare alcuni vantaggi significativi dei piezoelettrici rispetto ai più convenzionali attuatori elettromagnetici, tra cui i tempi di risposta molto più brevi, la maggiore accuratezza negli spostamenti, la risoluzione illimitata (si possono produrre spostamenti subnanometrici), l’elevata compatibilità elettromagnetica, la grande forza generata a parità di tensione di pilotaggio, le ridotte dimensioni, e, infine, il basso consumo energetico.
Le nuove conoscenze legate agli sviluppi delle scienze dei materiali e delle nanoscienze, consentono oggi di realizzare soluzioni innovative ancora più efficaci e con significativi impatti economici. Per esempio sono numerose le nuove applicazioni, ancora in fase di sviluppo, per il recupero di energia dalle vibrazioni (utile ad alimentare sistemi wireless), e per la miniaturizzazione e il miglioramento dell’efficienza di componenti e apparecchiature, con importanti ricadute negli ambiti della sicurezza, del controllo ambientale, del risparmio energetico e della salute.
A Faenza, presso ISTEC, Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici del CNR, il gruppo coordinato dalla dottoressa Carmen Galassi studia già da molti anni i materiali e i processi per la realizzazione di prototipi di componenti piezoelettrici ceramici, di cui effettua la caratterizzazione completa delle proprietà meccaniche ed elettriche.
In pratica, nei laboratori dell’ISTEC, dapprima si ottiene la polvere perovskitica, con metodi meccanici o chimici e trattamenti termici. Questa polvere viene quindi consolidata a freddo, mediante tecniche quali la pressatura, il colaggio su nastro o l’estrusione, e quindi sinterizzata a una temperatura che si aggira intorno ai 1200 °C. A partire dal materiale così realizzato si possono produrre diversi prototipi di componenti (attuatori, sensori, trasformatori eccetera) modificandone la composizione o la geometria e l’architettura. In particolare, per quanto riguarda la composizione, i materiali con propriètà migliori sono basati sul titanato e zirconato di piombo, ma la ricerca sta già procedendo all’individuazione di materiali a maggior grado di ecocompatibilità. Per quanto riguarda invece la geometria, si può spaziare da strutture con dimensioni di frazioni di millimetro fino a piastre di 10 cm di lato. E infine, tali componenti possono basarsi su materiali completamente densi, o materiali porosi, o, ancora su architetture multistrato. Si possono così ottenere, per esempio, sensori di vibrazione con tempi di risposta dell’ordine del decimo di millisecondo; sensori per acustica subacquea a bassa impedenza acustica; attuatori con spostamenti fino a qualche millimetro; o, infine, trasformatori con efficienze del 97 per cento e fattore di guadagno oltre 100.
Per promuovere la diffusione alle imprese della tecnologia dei materiali piezoelettrici ceramici, il gruppo di ricerca operante presso l’ISTEC si è dotato recentemente di un braccio operativo, la società spin-off IPECC (Italian Piezoelectric & Ceramic Company, creata nel 2005), che fornisce servizi quali l’assistenza tecnico-scientifica per la progettazione di componenti, la realizzazione di studi di fattibilità, la formazione del personale, rivolti alle imprese che producono dispositivi al cui interno i componenti ceramici vengono integrati con le parti meccaniche ed i controllori elettronici.
Per contatti:
Carmen Galassi
Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici
Rivestimenti superficiali «a letto fluido»
La finitura e il rivestimento superficiale di oggetti morfologicamente complessi possono trarre oggi importanti occasioni di miglioramento da tecniche innovative come quelle di deposizione di film organici a «letto fluido». La tecnologia si presta infatti a interessanti applicazioni da parte di imprese attive in ambiti quali la verniciatura estetica e funzionale di manufatti, il rivestimento plastico protettivo e l’isolamento dei cavi.
La segnalazione pervenuta alla rete RIDITT da parte del gruppo di ricerca in Tecnologie e Sistemi di Lavorazione guidato dal professor Vincenzo Tagliaferri, dell’Università «Tor Vergata» di Roma, riguarda la tecnica «a letto fluido», che consente di rivestire un manufatto attraverso la sua immersione in una polvere portata in condizioni di fluido, che è in grado di avvolgerlo e realizzare in tal modo la finitura per hot dipping.
Il processo prevede innanzitutto che la polvere scelta per il rivestimento venga caricata all’interno di una colonna, in condizioni statiche, che rappresenta il cosiddetto letto fisso. A questo punto un compressore, attraverso un omogeneizzatore e un distributore di flusso immette dal basso aria cosiddetta di fluidizzazione. La funzione di questo flusso d’aria, sollevando le polveri, è proprio quella di conferire a esse le proprietà di trasporto e la densità tipiche dei fluidi. A questo punto il componente da rivestire viene immerso nella colonna, non prima di averlo riscaldato in un forno a una temperatura compresa tra 250°C e 400°C. L’effetto combinato della polvere fluidizzata e della temperatura sulla superficie dell’oggetto, favorisce, in tempi molto brevi (in genere da uno a cinque secondi), la formazione di uno strato continuo di rivestimento con uno spessore nel range tra 200 e 2000 micron.
Tra i molteplici vantaggi di questa tecnologia oltre a una elevata uniformità del rivestimento, c’è la possibilità di impiegare un’ampia gamma di polveri commerciali (poliestere, epossidica, acrilica eccetera) e di ottenere film organici su componenti realizzati in numerosi materiali diversi. Anche gli aspetti di processo, però presentano significativi vantaggi, legati al basso costo operativo e di impianto (il sistema infatti funziona a bassa pressione, per cui non vi sono problemi di tenuta e non è previsto l’impiego diretto di aria compressa per il suo funzionamento), all’assenza di residui liquidi, e al recupero totale delle polveri impiegate, che ne fanno una tecnologia a ridotto impatto ambientale.
Il gruppo di ricerca dell’Università «Tor Vergata» ha già avviato collaborazioni con alcune imprese in merito alla tecnologia del letto fluido, sia in riferimento all’applicazione proposta sia nel caso di finitura superficiale e di disoleazione di componenti meccanici. In particolare, a titolo di esempio, la FILM Spa, che produce particolari componenti in metallo duro, è interessata a migliorare ulteriormente le prestazioni dei prodotti attraverso la sperimentazione di uno speciale pretrattamento superficiale a letto fluido per la realizzazione di film sottili in diamante. Un altro esempio di trasferimento tecnologico ha riguardato invece la realizzazione di una macchina a letto fluido per lo sgrassaggio, per la FORNI ” TECNICA Srl, un’azienda che realizza forni industriali e macchine per il trattamento termico. In questo caso, la tecnologia a letto fluido è stata applicata a una macchina «turbogas» esibendo proprietà di impatto ambientale trascurabile, consumi di esercizio ridotti e tempi di trattamento minimi. Un interessante studio sull’applicazione della tecnologia al caso della finitura di componenti pressofusi è stato, invece, condotto in collaborazione con la Nuova Renopress S.p.A., dimostrando l’effettiva trasferibilità della tecnologia, soprattutto nel caso di componenti particolarmente sensibili alle deformazioni indotte dal processo di sabbiatura.
Per contatti:
Vincenzo Tagliaferri
Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di «Tor Vergata» di Roma