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Tran Thi Hai Ninh, specialista in medicina interna e responsabile del National Hospital for Tropical Diseases di Saigon, è rimasta con tutti i suoi colleghi sul posto di lavoro a partire da gennaio, in una sorta di quarantena senza fine, per limitare la diffusione della pandemia nel paese.

di Krithika Varagur

Fino all’inizio di agosto, il Vietnam, con 97 milioni di abitanti, era il paese più grande del mondo con zero morti per coronavirus. Da allora si sono registrati alcuni decessi. Lo stato a partito unico ha promosso una politica di quarantene molto rigorose e ha dislocato la maggior parte dei pazienti affetti da coronavirus nell’ospedale centrale di Saigon.

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Morti di Covid al 31 agosto 2020. Fonte: Wikipedia

Questa storia fa parte di una serie di interviste con protagonisti in prima linea nella risposta al coronavirus nei paesi di tutto il mondo.

È stato a dicembre 2019 quando ho sentito parlare per la prima volta del nuovo virus a Wuhan. Avevamo previsto che questa malattia sarebbe arrivata presto in Vietnam, perché la Cina è molto vicina al nostro paese e condividiamo un lungo confine. Avevamo dinanzi diversi scenari: cosa avremmo fatto di fronte al primo caso? E quando ne avremo 10? E 100 o più? Ci siamo preparati con cura per ogni eventualità. Abbiamo sempre continuato a ricordare a tutto il personale che devono proteggersi e obbedire rigorosamente a tutte le indicazioni dell’ospedale per essere al sicuro. 

Il governo ha deciso di inviare la maggior parte dei pazienti all’ospedale nazionale per le malattie tropicali, qui a Siagon. In Vietnam, il primo caso si è verificato nel gennaio del 2020, e circa due mesi dopo abbiamo sperimentato il picco, quando erano presenti circa 100 casi nel nostro ospedale. Inoltre, ospitavamo anche centinaia di altri casi in isolamento, in quanto siamo diventati un ospedale solo per malati di covid-19.

Tutti i 350 dipendenti sono rimasti all’interno dell’ospedale per più di tre mesi. La decisione è stata dura, perché siamo dovuti restare lontani dalle nostre famiglie e ogni giorno dovevamo curare i pazienti malati. Abbiamo sempre avuto una quantità sufficiente di DPI. Le nostre fabbriche hanno iniziato a produrre dispositivi extra per la protezione personale già a febbraio. 

Tran Thiu Hai Ninh. Nguyen Khanh

All’inizio della pandemia, temevamo che non ne avremmo avuti a sufficienza, così abbiamo provato a riutilizzare le maschere N95 e abbiamo cercato di ridurre l’uso di DPI, per esempio indossandone solo uno durante le quattro ore in cui lavoravamo a stretto contatto con i pazienti. In questo momento, però, abbiamo così tanti DPI che li stiamo esportando in altri paesi.  

Penso che nella lotta contro il covid-19, i media siano stati molto importanti perché hanno fornito informazioni a flusso continuo, in modo che la popolazione potesse avere aggiornamenti in tempo reale per permettere loro di attenersi rigorosamente a tutte le disposizioni del governo. Sono stati diffusi anche molti video accattivanti su come lavarsi le mani e indossare maschere, alcuni dei quali con cantanti famosi. E questo ha anche reso più facile per i bambini e gli anziani comprendere e applicare queste linee guida. 

E’ importante sottolineare come i vietnamiti abbiano seguito attentamente tutte le regole, consentendoci di limitare la diffusione di nuove infezioni. Non dimentichiamo che il Vietnam è un paese in via di sviluppo e le nostre risorse sono molto, molto limitate.

Quando sono finalmente riuscita a tornare a casa dalla mia famiglia, era il 29 maggio. Ci è stato permesso di andare perché non avevamo più casi positivi nel nostro ospedale. Durante il picco di marzo e aprile, sembrava di star lavorando 24 ore al giorno. Quei tre mesi sono passati rapidamente dietro la spinta della paura di una crescita incontrollata della pandemia. 

Ma siamo stati fortunati. Solo due membri del personale medico in tutto il paese hanno contratto la malattia. Lavoravano entrambi in terapia intensiva con pazienti gravi. È stata una brutta esperienza per noi, ma grazie a ciò abbiamo migliorato le nostre procedure di sicurezza. Per me, la vita non è ancora tornata alla normalità perché il nostro dipartimento si occupa ancora di pazienti con covid-19, quindi siamo ancora in quarantena rispetto alla comunità più grande. Ma guardiamo al futuro con ottimismo.

Immagine: Ho-chi-minh, in Vietnam. Pixabay

(rp)