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Il più grande studio mai condotto sulla salute di chi affronta lunghi viaggi in una capsula spaziale conferma che la microgravità e l’esposizione alle radiazioni modificano l’organismo umano.

di Neel V. Patel

L’astronauta Scott Kelly ha vissuto e lavorato sulla Stazione Spaziale Internazionale per 340 giorni, il tempo più lungo che un americano abbia mai trascorso nello spazio. La sua missione ha fornito agli scienziati alcune informazioni vitali su ciò che accade al corpo umano durante i soggiorni di lunga durata in orbita. E’ stato possibile raccogliere i dati perché Kelly ha un gemello identico, Mark (anche lui astronauta e che presto diventerà senatore degli Stati Uniti). 

I gemelli Kelly hanno offerto agli scienziati una rara opportunità: studiando cosa è successo al corpo di Scott durante il suo anno nello spazio, hanno beneficiato di un soggetto di controllo, Mark, che è rimasto sulla Terra. Lo studio dei gemelli della NASA ha  fornito ulteriori prove di ciò che già si sospettava. In una capsula di piccole dimensioni, in condizioni di microgravità e prolungata esposizione alle radiazioni, il sistema immunitario subisce danni, l’occhio cambia forma e c’è una significativa perdita di massa muscolare e ossea.

Ma si sono riscontrati anche alcuni effetti sorprendenti. Kelly ha sperimentato cambiamenti nel suo microbioma intestinale, le sue capacità cognitive sono rallentate, alcuni geni si sono attivati e altri spenti e i suoi cromosomi hanno subito cambiamenti strutturali. 

“Lo studio sui gemelli ci ha fornito un primo schizzo delle risposte molecolari del corpo umano al volo spaziale, ma questi schemi dovevano essere completati”, afferma Christopher Mason, professore associato di fisiologia e biofisica alla Weill Cornell Medicine. “I cambiamenti che avevamo visto in precedenza richiedevano maggiore contestualizzazione e possibilità di replica. Servivano ulteriori studi per mappare la frequenza dei cambiamenti che abbiamo osservato in altri astronauti e altri organismi, che vanno nello spazio, e anche per vedere se il grado di cambiamento era simile per missioni più brevi”.

Di qui l’importanza del nuovo pacchetto di ricerche basato sullo studio sui gemelli, che rianalizzano alcuni dei dati originali con nuove tecniche e li confrontano con quelli relativi ad altri astronauti. In una serie di 19 studi pubblicati oggi in diverse riviste (insieme a 10 prestampe ancora in fase di revisione tra pari), ricercatori come Mason (autore di 14 articoli) hanno studiato i cambiamenti fisiologici, biochimici e genetici che si sono verificati in 56 astronauti (compreso Kelly) che hanno trascorso del tempo nello spazio: il più grande studio di questo tipo mai condotto. 

I nuovi documenti, che incorporano i risultati delle tecniche di profiling cellulare e sequenziamento genico che sono diventati più facili da eseguire solo di recente, rivelano che “ci sono alcune caratteristiche del volo spaziale che appaiono costantemente negli esseri umani, nei topi e in altri animali quando vanno nello spazio “, sostiene Mason. “Sembrano esserci alcuni adattamenti importanti dei mammiferi ai rigori del volo spaziale”. 

L’astronauta Akihiko Hoshide effettua un prelievo del suo sangue sulla Stazione Spaziale Internazionale. NASA

Il buono, il cattivo e l’inspiegabile

I ricercatori evidenziano  sei cambiamenti biologici che si verificano in tutti gli astronauti durante il volo spaziale: stress ossidativo (un eccessivo accumulo di radicali liberi nelle cellule del corpo), danni al DNA, disfunzione dei mitocondri, cambiamenti nella regolazione genica, alterazioni nella lunghezza dei telomeri (l’estremità dei cromosomi, che si accorciano con l’età) e cambiamenti nel microbioma intestinale. 

Di questi sei cambiamenti, il più grande e più sorprendente per gli scienziati è stata  la disfunzione mitocondriale. I mitocondri svolgono un ruolo fondamentale nella produzione dell’energia chimica necessaria per mantenere le cellule – e per estensione, i tessuti e gli organi – funzionali. I ricercatori hanno riscontrato prestazioni mitocondriali irregolari in dozzine di astronauti e sono stati in grado di caratterizzare ampiamente questi cambiamenti grazie a nuove tecniche di genomica e proteomica.

Afshin Beheshti, bioinformatico della NASA e autore di uno degli studi, afferma che la soppressione mitocondriale aiuta a spiegare alcuni dei problemi sperimentati dagli astronauti (come carenze del sistema immunitario, ritmo circadiano interrotto e danni agli organi) sono in realtà olisticamente correlati tra loro, poiché tutti si basano sulle stesse vie metaboliche. “Quando ci si trova nello spazio, non è solo un organo ad essere influenzato, ma l’intero corpo”, dice Beheshti. “Abbiamo iniziato a collegare i diversi aspetti”.

Altre ricerche si sono concentrate sui problemi osservati a livello genetico. Lo studio sui gemelli ha mostrato che i telomeri di Kelly si sono allungati nello spazio prima di ridursi a lunghezze normali o addirittura a diventare più brevi subito dopo il suo ritorno sulla Terra. I telomeri dovrebbero accorciarsi con l’età, quindi l’allungamento non ha molto senso e lo studio sui gemelli non ha fornito dati sufficienti per suggerire conclusioni reali sul motivo per cui è accaduto e sugli effetti. 

Susan Bailey, esperta della Colorado State University sulla ricerca sui telomeri e autrice di molti articoli, afferma che la nuova ricerca ha scoperto che altri 10 astronauti, indipendentemente dalla durata della missione, hanno  sperimentato lo stesso allungamento dei telomeri di Kelly e un identico restringimento una volta sono tornati sulla Terra. 

In particolare, uno degli studi ha scoperto che l’allungamento dei telomeri si riscontrava anche in chi ha scalato il Monte Everest. Per Bailey e i suoi colleghi, questo suggerisce che l’allungamento dei telomeri è  influenzato dallo stress ossidativo, qualcosa che sia gli scalatori che gli astronauti sperimentano e che interrompe il corretto funzionamento dei telomeri. 

Si sta ancora cercando di individuare come funzionano questi percorsi e quali potrebbero essere esattamente le conseguenze (probabilmente non è il segreto della longevità), ma “ora abbiamo una base da cui partire: sappiamo cosa cercare durante le esplorazione di lunga durata e nello spazio profondo”, dice Bailey. 

Anche se alcuni dei cambiamenti sono inaspettati, nella maggior parte non sono motivo di preoccupazione. “Quello che mi sorprende è quanto bene ci adattiamo allo spazio”, afferma Jeffrey Sutton, direttore del Center for Space Medicine del Baylor College of Medicine, che non è stato coinvolto nella nuova ricerca. Le mutazioni delle cellule ematiche sono diminuite in Kelly mentre era nello spazio (una sorpresa totale per Mason). 

Gli astronauti hanno anche mostrato  livelli ridotti di biomarcatori associati all’invecchiamento  e  livelli più alti di microRNA che regolano la risposta del sistema vascolare ai danni da radiazioni e alla microgravità. Una delle scoperte più strane è stata che i microbiomi intestinali degli astronauti sono riusciti a riportare sulla Terra i microbi spaziali trovati sulla ISS.

“Siamo entrati in una nuova era della ricerca biomedica spaziale, in cui gli approcci e gli strumenti della medicina di precisione e traslazionale vengono applicati per far progredire la nostra comprensione dell’adattamento umano allo spazio e si tratta di un passaggio fondamentale”, afferma Sutton.

Scott Kelly utilizza gli ultrasuoni per visualizzare la sua vena giugulare con l’aiuto di Gennady Padalka. NASA

Preoccupazioni a lungo raggio

In definitiva, i dati evidenziano quanto caos e stress devono affrontare anche i corpi più sani durante le missioni spaziali, il che dovrebbe avere un impatto sulla pianificazione di missioni più lunghe. “Non credo che siamo vicini a inviare nello spazio persone non addestrate per periodi di tempo molto lunghi”, afferma Scott Kelly. 

A suo parere, a livello fisiologico è possibile fare missioni con equipaggio verso Marte e ritorno. In un lontano futuro, tuttavia, “invece di andare su Marte, andremo sulle lune di Giove o Saturno”, egli dice. “Si starà nello spazio per anni. E a quel punto, dovremo dare un’occhiata più da vicino alla gravità artificiale come forma di mitigazione degli effetti negativi. Non vorrei arrivare sulla superficie di un altro corpo planetario e non essere in grado di svolgere le normali attività. Un anno o giù di lì è fattibile. Un periodo più lungo, non credo”.

Siamo ancora lontani dal dover valutare questo tipo di rischi. Mason e colleghi suggeriscono che dovrebbero esserci strategie farmacologiche per ridurre l’impatto della gravità sui corpi degli astronauti di ritorno dalle missioni. Sutton ritiene che la  medicina di precisione potrebbe svolgere un ruolo enorme nell’adattare questi farmaci per proteggere gli astronauti dagli effetti della microgravità e delle radiazioni. E le risposte biologiche condivise tra gli astronauti e gli scalatori del Monte Everest suggeriscono che alcuni interventi utilizzati per proteggere gli atleti di sport estremi dallo stress ossidativo potrebbero essere applicati anche agli astronauti. 

Ciò di cui abbiamo bisogno sono più dati e più popolazioni da utilizzare per il confronto. Mason, Bailey e i loro colleghi stanno iniziando a raccogliere i profili cellulari e genetici di più astronauti, in particolare di quelli che andranno in future missioni di un anno. E’ loro intenzione anche studiare persone che hanno sperimentato altre condizioni simili in qualche modo al volo spaziale, come pazienti radioterapici, piloti e assistenti di volo. 

“Più sappiamo degli effetti sulla salute dei voli spaziali di lunga durata, meglio saremo in grado di aiutare a mantenere la salute e le prestazioni degli astronauti durante e dopo il volo spaziale”, afferma Bailey. “Tale conoscenza avvantaggia anche noi sulla Terra: siamo tutti preoccupati di invecchiare e di ammalarci”. 

(rp)