Il puzzle dei sistemi di accumulo per le energie rinnovabili

Una nuova classe di startup come Form Energy, Antora e altre stanno cercando di sviluppare un sistema di accumulo molto economico e duraturo per ripulire il sistema elettrico.

di James Temple

Ecco il problema: i pannelli solari e le turbine eoliche sono fonti di elettricità economiche, pulite e affidabili, fino a che il sole non cala il vento continua a soffiare. Non possono alimentare un’intera rete elettrica da soli.

Per ora, centrali a carbone e a gas naturale possono colmare le lacune, ma man mano che nuove normative a favore del clima chiuderanno queste fonti energetiche sputa-anidride carbonica, avremo giorni, persino settimane ogni anno in cui le energie rinnovabili non saranno sufficienti a mantenere le luci accese. Qualche altro elemento dovrà intervenire.

La Form Energy è convinta che questo qualcosa debba essere un modello di batteria completamente nuovo, economica, affidabile e flessibile quanto il gas naturale, ad un costo inferiore ai $10 al kWh.

Al giorno d’oggi, le migliori reti di batterie, i grandi sistemi agli ioni di litio, costano centinaia di dollari al kWh. Ci potrebbero volere decenni a far calare il prezzo sotto i $100. I fondatori della Form pensano di poter raggiungere l’obiettivo sviluppando grandi batterie costruite con materiali estremamente economici ad alta intensità energetica. “Pensiamo di poterci arrivare”, dichiara il professore del MIT Yet-Ming Chiang, cofondatore e direttore scientifico della Form.

Una forma di accumulo di energia a basso costo e di lunga durata, adattabile ad ogni ambiente, sarebbe ideale per ripulire il settore energetico. Trarrebbe il massimo rendimento dal forte calo nei costi del solare e dell’eolico, senza gli effetti collaterali ambientali, di sicurezza o estetici che accompagnano altri progetti studiati per controbilanciare le fluttuazioni che caratterizzano le energie rinnovabili.

Un gran numero di società per lo stoccaggio dell’energia è fallito in passato. La Form è solo una tra tante società che hanno recentemente raccolto fondi per affrontare il problema. Oggigiorno, il principale fabbisogno di stoccaggio di rete prende il nome di “intraday storage”. Fornisce rapide botte di elettricità durante alcune ore per appianare le disparità tra generazione e domanda durante il giorno o almeno nella prima serata.

Sempre più, questo stoccaggio origina da batterie agli ioni di litio, le stesse he alimentano anche telefoni, laptop e auto elettriche e si stanno facendo sempre più economiche e più potenti. L’anno scorso, la quantità di reti di accumulo di energia è aumentato, a livello globale, di quasi il 150%, quasi il doppio del tasso medio registrato nei cinque anni precedenti. I sistemi agli ioni di litio rappresentano la porzione maggiore di questo aumento. La Tesla, per esempio, prevede di costruire centinaia di nuovi sistemi di batterie Megapack da tre megawattora nei propri stabilimenti di Moss Landing, in California. Il progetto, che comprende anche altri sviluppatori di accumulo di energia, sostituirà un trio di impianti a gas gestiti da decenni decennali dalla Calpine, una grande compagnia elettrica americana.

Al contempo, un numero crescente di sviluppatori di energie rinnovabili, come la Recurrent Energy o la First Solar, http://www.firstsolar.com/ stanno proponendo la realizzazione di gigantesche centrali solari accoppiate ad enormi sistemi di batterie d’accumulo che garantirebbero una fornitura di energia elettrica anche per alcune ore dopo il tramonto. Eccetto che sole e vento svaniscono a volte anche per giorni o settimane.

Per passare alle energie rinnovabili serve molto più spazio di stoccaggio e con le batterie disponibili oggi, i costi salirebbero alle stelle. “Prendendo in considerazione il fatto che queste risorse rimarrebbero inattive per i tre quarti dell’anno, il costo effettivo quadruplica”, calcola Don Sadoway, chimico del MIT e cofondatore della Ambri, società che ha sviluppato una batteria a griglia in metallo liquido capace di durare circa un’ora in più rispetto alle batterie agli ioni di litio.

Lo stoccaggio non deve necessariamente essere l’unica soluzione. Secondo alcuni studi, altri mezzi potrebbero sopperire a parte del fabbisogno totale. Si potrebbero utilizzare reattori nucleari, energia idroelettrica, impianti a gas naturale con sistemi che catturano le emissioni di carbonio o linee di trasmissione a lunga distanza in grado di bilanciare le energie rinnovabili tra i fusi orari. A differenza delle batterie, si tratta però di soluzioni politicamente impopolari, costose, spesso limitate da vincoli geografici.

È necessario cominciare sin d’ora a cercare soluzioni a questi problemi del futuro perché lo sviluppo delle tecnologie necessarie potrebbe richiedere anni, se non decenni. Le regioni del mondo con alte quote di energie rinnovabili, come la California e la Germania, producono già più energia solare o eolica di quanta la rete possa utilizzare in determinati periodi, un ostacolo agli incentivi economici per costruirne di più. Molte altre regioni stanno cominciando a prendere consapevolezza del divario che qualche nuova tecnologia dovrà colmare se si desidera eliminare i combustibili fossili.

In uno studio pubblicato nel 2017, Chiang e colleghi della Form, hanno messo in luce il potenziale di una “air-breathing aqueous sulfur flow battery”. Tanto per cominciare, una batteria di flusso inizia a ovviare al problema dei costi separando i componenti della batteria che forniscono elettricità, inclusi gli elettrodi, dai componenti di accumulo, ovvero gli elettroliti.

Una batteria di flusso standard ha due elettroliti, il catolita e l’anolita, ciascuno dei quali può essere stivato in grandi serbatoi, facilmente sostituibili. Per garantire una raccolta maggiore, quindi, basta aggiungere serbatoi sempre più grandi, mentre le componenti costose, inclusi gli elettrodi, rimangono invariate. Per tagliare seriamente i costi, però, anche gli elettroliti devono essere economici. I ricercatori hanno proposto l’utilizzo di una soluzione a base di zolfo come anolita. Lo zolfo è tra gli elementi più abbondanti nella crosta terrestre, nonchè un comune sottoprodotto della raffinazione dei carburante: è estremamente economico e capace di immagazzinare molta energia.

Lo scorso agosto, Chiang ha confermato che lo zolfo “fa sicuramente ancora parte della nostra tabella di marcia”, ma grazie a finanziamenti del Dipartimento per l’Energia statunitense sotto al programma ARPA-E, la Form sta ora anche studiando la possibilità di utilizzare altre sostanze chimiche.

Le batterie elettrochimiche, però, sono solo strumenti per immagazzinare grandi quantità di energia e la Form non è l’unica società ad aver scelto di confrontarsi con il problema.

Ricercatori della Antora Energy stanno sviluppando un nuovo sistema di stoccaggio termico, un approccio raramente utilizzato che immagazzina l’energia sotto forma di temperature estremamente calde o fredde in una varietà di sostanze, come rocce sotterranee o blocchi di ghiaccio. L’Antora, sta studiando la possibilità di utilizzare carbonio, a temperature superiori ai 2000 °C. L’energia prodotta da fonti rinnovabili potrebbe essere utilizzata per riscaldare il materiale e poi riconvertita in elettricità quando necessario. Tipicamente, lo stoccaggio termico utilizza tecnologie altamente inefficienti in stile XIX° secolo: creando vapore che guida un generatore a turbina. La maggior parte dell’energia va sprecata in attrito meccanico, perdite di vapore e altri problemi.

L’Antora sta testando un nuovo sistema termofotovoltaico simile a un pannello solare, che converte in elettricità la radiazione infrarossa proveniente da un oggetto caldo. A fine settembre, i ricercatori hanno annunciato di aver stabilito in laboratorio un nuovo record, convertendo in elettricità più del 30% del calore diretto verso la cellula. Mirano a raggiungere un’efficienza superiore al 50%.

Nell’ambito del programma “DAYS”, l’ARPA-E ha investito oltre 30 milioni di dollari in 12 startup o gruppi di ricerca impegnati nella ricerca di una soluzione al problema dello stoccaggio energetico. Sono incluse le batterie di flusso della Form e il sistema termico dell’Antora, nonché la rivoluzione idroelettrica della Quidnet Energy: il sistema della startup di San Francisco pompa acqua negli spazi tra rocce sotterranee, creando una pressione che costringe l’acqua a risalire passando per un generatore quando è necessaria elettricità.

La Breakthrough Energy Ventures, un fondo supportato da Bill Gates, ha fatto della conservazione a lungo termine una delle sue massime priorità, e finanziato non solo la Form, ma anche la Quidnet e la Malta, un’altra startup termica che utilizza sale fuso come veicolo di stoccaggio di stoccaggio energetico.

Nel frattempo, il conglomerato giapponese SoftBank ha recentemente investito 110 milioni di dollari nella startup svizzera di stoccaggio meccanico Energy Vault, che utilizza gru e cavi per impilare blocchi di cemento quando le energie rinnovabili generano elettricità in eccesso. In un secondo tempo, lascia cadere i blocchi a terra su quegli stessi fili, sfruttando il loro slancio per far girare i motori delle gru in retromarcia e pompare elettricità. (Guarda il video.)

La natura non convenzionale di alcune di queste idee mostra quanto sia difficile per la tecnologia affrontare il problema del passaggio dall’energia immediata allo stoccaggio di settimane di energia. La maggior parte dei metodi meccanici richiede grandi spazi, i metodi termici sono intrinsecamente inefficienti, e produrre o bruciare la maggior parte dei combustibili liquidi crea le stesse emissioni climatiche che stiamo cercando di evitare.

Le batterie hanno il vantaggio di essere pulite, compatte, mobili ed efficienti. Se qualcuno riuscisse a renderle economiche e di lunga durata, potrebbero venire collegate a qualunque rete di distribuzione. I grandi progressi nel campo delle batterie si verificano in media ogni tre decenni, e l’ultimo, l’invenzione delle batterie agli ioni di litio, risale a 28 anni fa. Dovremmo essere prossimi ad una nuova svolta.

(lo)

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