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Se siete un cittadino americano adulto, è probabile che siate soprappeso. In effetti, c’è quasi una probabilità su cinque che il vostro indice di massa corporea sia superiore a 30, che tecnicamente vi qualifica come obeso.

Le ricerche indicano tuttavia che costantemente nel tempo circa il 40 per cento della popolazione americana ha provato una dieta.

Il mercato della guerra ai lipidi sta crescendo ancora più velocemente del giro di vita della popolazione. Le diete rappresentano tradizionalmente un giro d’affari annuo di 30 miliardi di dollari per l’industria statunitense. Di conseguenza, poche aziende sono più competitive, più redditizie o più innovative. Non si può fare appello alla forza di volontà per tenere fede a una dieta? Prendete un soppressore dell’appetito. Manca la pazienza per perdere lentamente qualche sgradevole chilo di troppo? Considerate la liposuzione. Ancora patologicamente obesi dopo aver fallito una dieta dopo l’altra? Una riduzione o una cucitura dello stomaco può rappresentare la soluzione chirurgica giusta per voi. La sequela di rimedi contro l’eccesso di calorie si allunga dalla Diet Coke alle nascenti tecniche genomiche per la ricostruzione del tratto digestivo.

Ciò che merita attenzione quando si parla di perdere peso è soprattutto come le diete o altri sistemi di dimagrimento inducano le persone a rielaborare le domande fondamentali che si pone chiunque stia adottando una novità. La domanda che si è sempre sentita è naturalmente: «Funziona?» Ma la domanda che in definitiva promuoverà o farà fallire l’adozione è: «Ne vale la pena?» Come chi fa una dieta o è candidato a un possibile intervento chirurgico ben sa, questa domanda investe ambiti quali l’immagine di sè, la sicurezza e la finanza personale. La capacità di praticare la liposuzione in anestesia locale piuttosto che generale ha contribuito enormemente alla popolarità della tecnica d’intervento. Le relazioni mediche che collegano le pillole per dimagrire a danni organici irreversibili hanno, d’altra parte, ridotto il richiamo di questi rimedi.

Weight Watchers International offre un perfetto caso specifico che dimostra come un’innovazione apparentemente banale ha trasformato completamente il modo in cui i clienti dell’azienda si sono chiesti: «Ne vale la pena?» L’azienda ha semplificato radicalmente il processo di selezione del cibo di chi fa la dieta, assegnando a ogni alimento un valore in punti ed eliminando il bisogno di calcolare le calorie. Una porzione di verdure il più delle volte non prende punti; il singolo frutto vale molto spesso un solo punto; un Big Mac raggiunge ben 14 punti. A chi fa una dieta normale viene richiesto di consumare dai 22 ai 27 punti di cibo al giorno, con la possibilità di accumulare i punti non utilizzati da un giorno all’altro a seconda della quantità di cibo assunto settimanalmente.

Questa semplice rielaborazione ha fatto impennare i tassi di soddisfazione e di adesione all’azienda. Una lunga serie di indagini sui clienti ha confermato che chi fa una dieta ha trovato il calcolo dei punti molto più semplice e meno costrittivo del contare le calorie e selezionare il cibo «giusto» (in realtà alcuni di coloro che hanno provato la dieta hanno sostenuto che il sistema a punti sembra troppo flessibile). La cosiddetta dieta a punti, che si è iniziata a diffondere a metà degli anni Novanta in Inghilterra, ha avuto talmente successo da essere repentinamente esportata negli Stati Uniti. L’innovazione ha buone gambe. Il dirigente responsabile è diventato CEO di Weight Watchers. L’azienda, che è diventata pubblica nonostante il calo delle IPO nella fase recessiva del 2001, ha visto migliorare sia la sua quota di mercato sia il valore azionario. E il sistema a punti, che l’azienda ha naturalmente brevettato, ha contribuito a trasformare il vocabolario dello stile di vita proposto da Weight Watchers.

L’azienda s’affida ancora prevalentemente agli incontri dei gruppi di sostenitori, durante i quali chi interviene dichiara e rinforza i cambiamenti del proprio stile di vita. Ma lo spostamento lessicale da «calorie» e «gruppi di alimenti» a «punti» ha trasformato il modello di conversazione. I membri del gruppo hanno ora un linguaggio comune che consente loro di parlare molto più tranquillamente delle abitudini alimentari, sostiene un portavoce di Weight Watchers. Ma l’azienda non ha molte esitazioni a usare altre tattiche per rendere più semplice ai loro clienti la risposta alla domanda: «Ne vale la pena?» Weight Watchers ha giocato un ruolo critico nella recente decisione del Internal Revenue Service statunitense di rendere i programmi dietetici prescritti da un medico deducibili dalle tasse. Il codice tributario sovvenziona ora l’innovazione di Weight Watchers. Al contrario, gli alimenti privi di grassi e la chirurgia estetica non sono deducibili dalle tasse.

La concorrenza feroce in questo mercato impone continuamente esami del tipo: «Ne vale la pena?» a chi è sfortunatamente soprappeso. Immaginate una nuova generazione di prodotti per dimagrire legati alla genomica o alla chimica che ispiri un nuovo tipo di pillola o un qualche tipo di soluzione temporanea. E se la liposuzione diventasse meno costosa e invasiva di quanto lo è adesso? Cosa accadrebbe se il fisco americano assicurasse a queste cure lo stesso trattamento fiscale che garantisce ai programmi per la riduzione di peso? Modificando il rapporto tra il sistema del calcolo dei punti e la semplicità del mandar giù una pillola, questi cambiamenti di politiche pubbliche potrebbero indurre chi fa una dieta a rivedere la domanda principale che è dietro l’adozione dell’innovazione.

La sfida tra diversi filoni di pensiero è ciò che rende così interessante il futuro mercato dell’innovazione per la riduzione di peso. Si otterranno più risultati curando i sintomi o aggredendo le cause dell’eccesso di peso? Pesiamoci e aspettiamo.