Per prevenire gli alti livelli di inquinamento e rallentarne il crescente impatto sul riscaldamento globale, la Cina dovrà creare tecnologie avanzate per lo sfruttamento del carbone su scala finora mai vista.
di Peter Fairley
Un visitatore che arriva a Shangai si rende immediatamente conto del problema tecnologico della Cina. Attraverso i finestrini del treno magneticamente levitato che copre i 30 km di tragitto tra l’aeroporto internazionale di Pudong e Shangai alla velocità di oltre 430 km l’ora, appaiono in tutta evidenza sia i progressi che il paese sta facendo sia i prezzi che sta pagando. Quasi tutti i giorni una foschia giallognola aleggia sugli edifici della frenetica Shangai. L’inquinamento è la principale causa di morte in Cina, con oltre un milione di decessi l’anno. E l’agente inquinante per eccellenza è allo stesso tempo la fonte energetica che spinge questo treno ultramoderno: il carbone.
Per mantenere il passo con la crescita economica del paese, i governi locali, le aziende di servizi pubblici e gli imprenditori cinesi stanno costruendo, in media, una centrale elettrica alimentata a carbone a settimana. Queste centrali emettono uno strato uniforme di fuliggine, anidride solforosa e altre sostanze tossiche inquinanti nell’aria; inoltre vomitano milioni di tonnellate di anidride carbonica. A novembre, la International Energy Agency ha previsto che la Cina nel 2009 diventerà il maggior produttore al mondo di emissioni di anidride carbonica, scavalcando gli Stati Uniti quasi con un decennio di anticipo rispetto ai tempi previsti. Il carbone è ritenuto responsabile dei tre quarti di questa anidride carbonica.
Il problema non potrà che peggiorare. Tra oggi e il 2020, il consumo di energia della Cina aumenterà più del doppio, secondo le stime degli esperti. L’aumento dell’efficienza energetica, il ricorso a risorse rinnovabili con dighe e turbine eoliche e la costruzione di impianti nucleari può aiutare, ma ” almeno nel prossimo ventennio ” solo marginalmente. Dal momento che la Cina ha riserve limitate di gas e petrolio, il suo futuro dipende dal carbone. Con il 13 per cento delle riserve mondiali conosciute, la Cina ha carbone sufficiente per sostenere la sua crescita economica per un secolo e oltre. La buona notizia è che i leader cinesi si sono resi conto della crescente richiesta di carbone negli anni 1990 e hanno cominciato a esplorare una serie di tecnologie avanzate. La principale è la gassificazione del carbone. È la tecnologia chiave per il carbone pulito in Cina, afferma l’ingegnere chimico Li Wenhua, che ha diretto dal 2001 al 2005 lo sviluppo di tecnologie avanzate per il carbone per il programma nazionale di R&S sull’high-tech (meglio conosciuto in Cina come il programma 863).
La gassificazione trasforma la complessa miscela di idrocarburi del carbone in un gas ricco di idrogeno conosciuto come un gas di sintesi o syngas. Le centrali elettriche possono bruciare syngas in modo altrettanto pulito che il gas naturale. Inoltre, con il giusto catalizzatore e con favorevoli condizioni, gli elementi chimici costitutivi del syngas si combinano per formare gli idrocarburi componenti della benzina e dei combustibile diesel. Il risultato è che la gassificazione del carbone ha il potenziale per ridurre le emissioni di fuliggine e smog delle centrali elettriche e di diminuire la crescente dipendenza della Cina dalle importazioni di petrolio. Potrebbe persino aiutare a controllare le emissioni di anidride carbonica, che viene catturata più facilmente dagli impianti a syngas che da quelli tradizionali alimentati a carbone.
Malgrado il considerevole anticipo con cui si è presa coscienza della necessità del processo di gassificazione del carbone, l’implementazione della tecnologia delle centrali elettriche appare in ritardo. Ai produttori di elettricità del paese mancano gli incentivi politici ed economici per introdurre cambiamenti alle tecnologie tradizionali.
Al contrario, tentativi su larga scala per produrre combustibili liquidi per il trasporto usando la gassificazione del carbone sono in pieno fermento. Il più grande produttore di carbone della Cina, Shenhua Group, prevede di avviare il primo impianto di combustibili da carbone del paese nel 2007 o all’inizio del 2008, con la iniziativa di liquefazione del carbone più ambiziosa al mondo a partire dalla Seconda Guerra mondiale. Shenhua pensa di mettere in funzione 8 impianti di liquefazione entro il 2020, producendo complessivamente oltre 30 milioni di tonnellate di petrolio sintetico l’anno, abbastanza da rimpiazzare più del 10 per cento delle importazioni di petrolio cinesi previste.
Il progresso nella costruzione di impianti di conversione del carbone pone la Cina molto avanti rispetto agli Stati Uniti, dove la gassificazione del carbone sta ancora riprendendosi da una cattiva reputazione. I programmi dimostrativi per la gassificazione iniziati negli Stati Uniti dopo le crisi energetiche degli anni 1970 vennero abbandonati quando i prezzi del petrolio e del gas caddero a picco negli anni 1980. Molti sono rimasti allora convinti che la tecnologia sia inaffidabile (si veda Carbon Dioxide for Sale, July 2005). In Cina, al contrario, il petrolio non è mai stato considerato economico e il carbone non ha mai perso il suo appeal.
Carbone e cashmere
Il Nord della Cina è diventato rapidamente l’epicentro dell’industria energetica cinese. La punta di diamante è il bacino carbonifero di Shenfu Dongsheng, un solido strato di carbone superficiale, largo 31.000 km2, che si estende dalla punta settentrionale della provincia Shaanxi al bordo meridionale di Nei Mongol, o Mongolia interna. Con le riserve stimate a 223,6 miliardi di tonnellate di carbone, il bacino del Dongsheng è il settimo al mondo per grandezza; i tentativi di convertire una buona parte di questo carbone un combustibili da trasporto potrebbero renderlo il più redditizio al mondo.
Fino a poco tempo fa la capitale del carbone della Mongolia interna, Erdos, era rimasta indenne dall’influenza del mondo moderno, circondata da catene di montagne e dalla Grande Muraglia a Sud e dal Fiume Giallo a Nord. Il suo isolamento è ora finito, grazie alle nuove autostrade e ai collegamenti ferroviari che si snodano tra le sue colline e le sue ripide valli. Un aeroporto dovrebbe essere aperto entro l’anno.
Il prodotto interno lordo di Erdos è raddoppiato tra il 2001 e il 2004, in gran parte grazie al carbone, ai prodotti chimici e al cashmere (Erdos fornisce un quarto della produzione di cashmere mondiale). Per raggiungere i bacini carboniferi, si guida per 40 minuti a sud della città, oltrepassando un mausoleo degli anni 1950 dedicato a Genghis Khan, il guerriero del XIII secolo che conquistò gran parte dell’Asia. Quando ci si avvicina all’arido letto del fiume Wulanmulun, le imponenti infrastrutture di una decina di miniere di carbone, tra cui alcune delle più grandi e meccanizzate al mondo, emergono dalla landa desolata. La regione ospita anche diverse centinaia di miniere più piccole e meno moderne (i gas e i franamenti uccidono almeno 6.000 minatori cinesi l’anno). Minatori nel loro giorno libero sfrecciano sui motorini, tre o quattro a veicolo, oltrepassando camion di 40 tonnellate ripieni di carbone. Lungo l’autostrada, dai terminal per lo smistamento del carbone si caricano i vagoni ferroviari destinati alle centrali elettriche e ai porti della costa orientale industrializzata.
In ogni caso, nessuna di queste infrastrutture e attività prepara il visitatore al complesso di combustibili da carbone di Shenhua, che spunta da un altopiano in mezzo alle colline. È un sito impressionante, con la sua centrale elettrica alimentata a carbone, gli impianti di gassificazione e due imponenti reattori per la liquefazione del carbone, ognuno del peso di 2.250 tonnellate (Shenhua ha rivendicato il record mondiale di sollevamento quando lo scorso giugno ha collocato al loro posto i reattori). Grazie all’afflusso di 2 miliardi e 950 milioni di dollari per una IPO nel 2005 e di 5 miliardi di dollari di entrate annuali provenienti dal sistema integrato di miniere, ferrovie e centrali elettriche, Shenhua sta rapidamente estendendo il suo raggio d’azione. Nei primi sei mesi del 2006 ha venduto 113 milioni di tonnellate di carbone, raggiungendo quasi il totale dell’anno precedente. Se Shenhua mantiene questo ritmo anche durante l’anno in corso, potrebbe diventare il più grande produttore mondiale di carbone.
Il governo centrale cinese ha creato Shenhua un decennio fa per introdurre economie di scala e una tecnologia moderna per sostenere i bacini carboniferi del Dongsheng. L’impianto per combustibili da carbone, del costo di 1 miliardo e mezzo di dollari, dell’azienda è un’espressione di questa strategia; in realtà, una struttura tecnologicamente così ambiziosa che molti esperti, in eguale misura cinesi e occidentali, dubitavano che potesse mai essere costruito.
La produzione di combustibili da trasporto dal carbone risale alla Germania dei primi del XX secolo, quando i chimici crearono due approcci per convertire gli idrocarburi solidi a lunga catena del carbone negli idrocarburi liquidi più corti che si trovavano nei motori (la Germania nazista, con scarso accesso alle risorse petrolifere, si affidava in buona parte a questi processi per rifornire di combustibile il suo esercito altamente motorizzato e le forze aeree, producendo benzina, diesel e carburante per l’aviazione dal carbone). Franz Fischer e Hans Tropsch inventarono il più famoso dei due approcci negli anni 1920. La sintesi Fischer-Tropsch riduce il carbone a syngas, una miscela di idrogeno e monossido di carbonio. Un catalizzatore, spesso il cobalto, fa ricongiungere gli atomi di carbonio e idrogeno in nuovi composti, come gli alcol e i combustibili. Oggi la sintesi di Fischer-Tropsch è chimica convenzionale: in Sudafrica, per esempio, il colosso industriale Sasol, con sede a Johannesburg, ha costruito impianti di petrolio dal carbone con la tecnica Fischer-Tropsch per assicurare le riserva di combustibile al paese durante il boicottaggio commerciale negli anni dell’apharteid; cambiando i differenti catalizzatori, gli impianti di gassificazione di sostanze chimiche dal carbone hanno utilizzato Fischer-Tropsch per decenni per prodotti come i fertilizzanti sintetici e il metanolo.
L’impianto di Shenhua, al contrario, ha optato per l’alternativa meno conosciuta della Fischer-Tropsch, inventata da Friedrich Bergius un decennio prima. Anche se usato in modo estensivo dai nazisti, il processo di Bergius venne successivamente abbandonato. La tecnica è conosciuta con il nome di liquefazione diretta, perché scavalca il passaggio del syngas. Nella liquefazione diretta, la maggior parte del carbone viene polverizzata e mescolata con alcuni oli sintetici dell’impianto e successivamente lavorata con idrogeno e riscaldata a 450 °C in presenza di un catalizzatore al ferro, che rompe le catene d’idrogeno in catene più corte utili per la raffinazione dei combustibili liquidi.
La liquefazione diretta produce più combustibile per tonnellata di carbone della sintesi Fischer-Tropsch. Alcuni esperti del Coal Research Institute, a Pechino, ritengono che il processo catturi dal 55 al 56 per cento dell’energia del carbone, in confronto al 45 per cento della Fischer-Tropsch. Comunque, la liquefazione diretta è anche più complessa, in quanto richiede di separare gli impianti produttivi e di gassificazione per distribuire calore e idrogeno e di riciclare grandi quantità di petrolio, idrogeno e residui di carbone tra divisioni separate dell’impianto. Inoltre, portare gli idrocarburi alla giusta lunghezza richiede un controllo raffinato delle operazioni di funzionamento e una consistente riserva di carbone.
Shenhua ha ridefinito il processo negli ultimi cinque anni per aumentare l’efficienza e ridurre gli sprechi, ma contemporaneamente lo ha reso più complesso. In ogni caso l’azienda sta correndo seri rischi economici e tecnici affidandosi a una tecnologia mai sperimentata su scala così vasta.
Per la fine di quest’anno, Shenhua spera di produrre 20.000 barili di petrolio sintetico al giorno, circa 500 volte in più del suo impianto pilota a Shanghai. Secondo Jerald Fletcher, un esperto economico di risorse naturali della West Virginia University, a Morgantown, l’impianto di Erdos costituisce un esperimento da 1 miliardo e mezzo di dollari che potrebbe avere luogo solo in Cina. Sarebbe molto difficile avere un finanziamento di questo livello in Occidente senza la garanzia di una tecnologia di provata affidabilità, dice Fletcher. Eric Larson, un esperto di tecnologia e modellazione dell’energia alla Princeton University, è molto più esplicito: Non ha molto senso costruire un impianto enorme come quello, perché potrebbe non funzionare.
Ma per il governo cinese i vantaggi potrebbero superare i rischi. Malgrado la IPO del 2005 per la vendita di alcuni comparti, Shenhua rimane un’azienda in gran parte statale e l’impianto di liquefazione diretta risponde a un interesse vitale per lo stato: la sicurezza energetica. Non ha importanza quale sarà il costo, Shenhua lo costruirà, sostiene Zhou Zhijie, un esperto di gassificazione dell’Institute of Clean Coal Technology dell’Università della Scienza e della Tecnologia della Cina orientale, a Shanghai. Il governo cinese sosterrà questo progetto fino a quando scorrerà il liquido.
Naturalmente, se il nuovo impianto funzionerà, Shenhua pensa di ottenerne un sostanziale profitto. L’azienda prevede che il suo petrolio sintetico garantirà un profitto di circa 30 dollari al barile, anche se molti analisti dicono che 45 dollari è una stima più realistica (Le previsioni di prezzo più recenti del Ministero dell’Energia statunitense indicano che il petrolio greggio scenderà a 47 dollari il barile nel 2014, poi salirà costantemente fino a 57 dollari al barile nel 2030). Tenendo fede alla sua scommessa, Shenhua ha anche stretto un accordo preliminare con Shell e Sasol riguardante diversi impianti Fischer-Tropsch di dimensioni simili o maggiori nella Cina settentrionale, che dovrebbero prendere il via nel 2012.
Le aziende cinesi in concorrenza con Shenhua stanno iniziando a mettere in campo le loro versioni di impianti per il combustibile dal carbone. Il gruppo carbonifero Yankuang, il secondo più grande produttore di carbone in Cina, ha pianificato un impianto di combustibile Fischer-Tropsch, vicino a Erdos, che utilizzerà un gassificatore e un catalizzatore di proprietà riservata.
Al di là del rischio inerente allo spiegamento di una tecnologia di non sicura affidabilità, il boom degli impianti di gassificazione è anche un azzardo dal punto di vista ambientale. In realtà ciò che potrebbe bloccare le ambizioni cinesi di produrre petrolio dal carbone è l’acqua. Il Coal Research Institute cinese ritiene che l’impianto di Shenhua consumerà 10 tonnellate di acqua per ogni tonnellata di petrolio sintetico prodotto (360 galloni di acqua per barile di petrolio) e il rapporto è persino più sfavorevole per gli impianti Fischer-Tropsch. La scorsa estate, la Commissione per la Riforma e lo Sviluppo nazionali della Cina, il potente organismo che ha il compito di regolare l’economia cinese e di approvare i progetti che richiedono grandi capitali, ha lanciato un avvertimento sulle conseguenze ambientali dello “sviluppo sfrenato” di impianti chimici e per il petrolio sintetico, che secondo la Commissione potrebbe comportare il consumo di decine di milioni di metri cubi d’acqua annualmente.
La previsione suona particolarmente inquietante per la Cina settentrionale, dove sono scarse le riserve di acqua. Erdos è una miscela di arbusti e deserto in cui le poche risorse acquifere sono già sfruttate oltre ogni limite dalla crescita della popolazione e dalle centrali energetiche esistenti. Zhou Ji Sheng, che come vicedirettore di ZMMF, uno dei concorrenti di Shenhua con sede a Erdos, sta cercando finanziamenti per un progetto di gassificazione, riconosce che la carenza d’acqua potrebbe mettere fine alla gassificazione del carbone nell’area. “Anche se abbiamo così tanto carbone, la mancanza d’acqua ci obbligherà a utilizzare il sistema tradizionale: scavarlo e trasportarlo”, egli spiega. “L’acqua è il fattore chiave per lo sviluppo di questa nuova industria”. Zhou dice che i progetti della sua azienda per incrementare le riserva d’acqua prevedono la costruzione di un canale di 120 km fino al Fiume Giallo. Ma l’evaporazione dei serbatoi idroelettrici, la crescente domanda di città e industrie e le conseguenze del cambiamento climatico implicano che in estate il Fiume Giallo arriva al mare a stento.
La potenza del carbone
Mentre il desiderio cinese di eliminare la dipendenza dal petrolio estero sta spingendo il paese a investire ingenti investimenti di capitale nella tecnologia di liquefazione, i produttori d’energia si stanno muovendo molto più lentamente per sfruttare la gassificazione del carbone. Ciò che a loro manca, come d’altra parte ai loro omologhi americani, è qualche forma di incentivi a passare dagli impianti tradizionali a carbone polverizzato a quelli più costosi a gassificazione. Secondo Li Wenhua, l’ex direttore del programma 863 (che ora dirige la ricerca sulla gassificazione in Cina per General Electric), gli industriali cinesi percepiscono gli impianti a carbone polverizzato come una fonte illimitata di profitto. “Le persone dicono che non bisognerebbe chiamarli centrali elettriche, ma macchine per fare soldi”, dice Li. Ancora oggi, nessuna azienda energetica ha espresso la volontà di essere la prima a fare il salto.
Paradossalmente, l’apertura economica della Cina ha ostacolato i tentativi di schierare tecnologie più innovative. Negli anni 1990, sembrava che il settore energetico cinese fosse all’avanguardia per la sua rivoluzione legata alla gassificazione. Nel 1993, la principale azienda di progettazione d’impianti energetici, China Power Engineering Consulting, di Pechino, ha ideato la prima centrale elettrica a gassificazione. La State Power Corporation, l’azienda di servizi pubblici di allora, che agiva in regime di monopolio, pensò di costruire l’impianto su scala commerciale a Yantai, una rigogliosa città portuale non lontana dal Golfo di Bohai. L’impianto di Yantai era l’inizio di un passaggio a una tecnologia del carbone pulito, afferma Zhao Jie, la progettista dell’impianto, ora vicepresidente di China Power Engineering. “La Cina voleva intraprendere una strada più pulita e più efficiente per la produzione di energia”, chiarisce Zhao. Invece, l’impianto sperimentale da lei ideato dopo fasi alterne finì nel nulla. Il lavoro di progettazione venne temporaneamente bloccato nel 1994 quando il costo della tecnologia era ritenuto troppo alto, poi ripreso in considerazione verso la fine degli anni 1990 e infine lasciato andare alla deriva dopo il 2002 con lo smantellamento di State Power Corporation.
La centrale elettrica di Yantai era basata sulla tecnologia di gassificazione integrata a ciclo combinato (IGCC, integrated gasification combined cycle). Gli impianti IGCC ricordano le centrali elettriche alimentate a gas naturale ” usano due turbine per catturare l’energia termica e meccanica dei gas di combustione in espansione ” ma sono alimentati con syngas di un impianto integrato di gassificazione del carbone. Non sono privi di emissioni, ma i loro flussi di gas sono più concentrati, così la fuliggine solforosa, l’anidride carbonica e le altre sostanze inquinanti generate sono più semplici da separare e catturare. Ovviamente, una volta imprigionata l’anidride carbonica ” il principale gas a effetto serra ” non è ancora risolto il problema di dove stiparla. La strategia più promettente è di sequestarla in profondità negli acquiferi salini o negli strati geologici profondi. Nelle analisi preliminari i geologi cinesi hanno valutato che i vecchi giacimenti petroliferi e gli strati acquiferi potrebbero assorbire più di un trilione di tonnellate di anidride carbonica, più di quanta gli impianti cinesi alimentati a carbone possono emettere, al ritmo attuale, per centinaia di anni.
Il Gruppo Huaneng, un produttore di energia con sede a Pechino ha messo insieme un consorzio di aziende carbonifere ed energetiche (tra cui Shenhua) chiamato GreenGen per costruire il primo impianto prototipo IGCC entro il 2010; come il progetto correlato FutureGen, organizzato dal Mnistero dell’Energia statunitense, GreenGen prende le mosse dalla produzione di energia, per aggiungere poi la cattura del carbonio e l’immagazzinamento. Il vicepremier cinese, Zeng Peiyan, la scorsa estate si è presentato alla cerimonia inaugurale di GreenGen, manifestando il sostegno di Pechino al progetto.
Il problema è che gli impianti IGCC costano dal 10 al 20 per cento in più per megawatt delle centrali elettriche alimentate a carbone polverizzato (e senza considerare la cattura dell’anidride carbonica). I produttori d’energia cinesi ” in gran parte come i loro omologhi europei e americani ” stanno aspettando una misura politica o finanziaria che favorisca il passaggio al nuovo sistema. In parte, ciò che è finora mancato è una regolamentazione che penalizzi gli impianti a carbone. Le agenzie ambientali cinesi non hanno le risorse né la forza per far rispettare alle aziende almeno le norme già previste. Alti dirigenti di Pechino ammettono che le loro disposizioni sono largamente ignorate, che le nuove centrali elettriche vengono create senza valutazioni di impatto ambientale e, secondo alcune fonti, senza l’attrezzatura richiesta per il controllo dell’inquinamento.
Persino i sostenitori della tecnologia IGCC prevedono che il suo dispiegamento su larga scala in Cina richiederà almeno un altro decennio. In realtà Du Minghua, direttore di chimica del carbone al Coal Research Institute cinese per le ricerche sul carbone, ritiene che solo a partire dal 2020 si assisterà all’esplosione delle applicazioni IGCC.
Con il fiato sospeso in attesa delle tecnologie pulite
Malgrado queste pessimistiche previsioni, la vasta esperienza cinese con le tecnologie avanzate del carbone e la sua provata abilità di implementare le nuove tecnologie a un ritmo sorprendente lascia grande spazio all’ottimismo. Quando ci si sta avvicinando a Shanghai a un terzo della velocità del suono su un treno sostenuto da un campo di forza elettromagnetico, è difficile credere che un paese capace di una simile impresa tecnologica possa continuare a ignorare la cappa di inquinamento mortale che circonda le sue città.
Per alcuni esperti, il passaggio alla tecnologia del carbone pulito appare quasi inevitabile. La Cina deve affidarsi al carbone per l’elettricità futura e le sue necessità di combustibili e dovrà inevitabilmente limitare le sue emissioni di anidride carbonica, sostiene Guodong Sun, un esperto di politiche tecnologiche alla Stony Brook University di New York che ha collaborato con il governo cinese per le politiche energetiche. La gassificazione è una delle poche tecnologie che può riportare l’intero scenario sotto controllo a costi ragionevoli.
Comunque, i tempi di questa transizione tecnologica sono tutti da definire. La Cina aspetterà veramente fino al 2020 per cominciare a ripulire le sue centrali elettriche alimentate a carbone? La risposta dipenderà da quando la Cina si convincerà che l’uso della gassificazione del carbone per generare elettricità è urgente quanto il suo impiego per la produzione di combustibili per il trasporto e da quando i costi per il paese dell’inquinamento atmosferico saranno altrettanto alti di quelli sostenuti per l’acquisto del petrolio straniero.