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Tecnologie, capitale umano, capacità di performance e misurazione della qualità dei beni e servizi erogati al cittadino, efficienza organizzativa, governance finanziaria: ecco il nuovo “alfabeto” dell’amministrazione pubblica tracciato dalla riforma Brunetta.

Intervista con il ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione Renato Brunetta

di Massimiliano Cannata 

Efficienza, innovazione tecnologica, abbattimento della burocrazia sono i termini più ricorrenti del suo diario di bordo, che ha un titolo indicativo: La rivoluzione in corso. In concreto può spiegare logiche ed effetti di un cambiamento profondo che tocca il cuore della complessa macchina della pubblica amministrazione?

Partirei da un dato di contesto: l’amministrazione dello stato con i suoi 3 milioni e mezzo di dipendenti è lo specchio del grado di sviluppo e di evoluzione del paese. Non dimentichiamoci che esprime il 15 per cento dell’intero PIL, quindi è parte significativa di quella forza lavoro, da cui dipende la competitività di tutto il sistema-Italia. Vengo ora alla sua domanda. Efficienza, certo. Consideriamo la campagna antifannulloni. Avrà fatto molto rumore sui media, ma anche portato il paese a conseguire un risultato molto preciso: una riduzione dell’assenteismo calcolabile, in media, in una percentuale del 40 per cento. Ora si apre la fase due altrettanto importante: quella del merito premiato, della produttività, del riconoscimento della qualità.

Siamo all’innovazione tecnologica. è possibile colmare i ritardi strutturali che ci vengono rimproverati in sede europea ?

Il piano di innovazione su cui stiamo lavorando allarga la gittata su un asse temporale che arriva al 2012 e si riconduce alla strategia di “Lisbona” che, come è noto, ha lo scopo di liberare i cittadini dell’Europa dai ritardi organizzativi, culturali e tecnologici oltre che dai costi e dalle inefficienze del settore della burocrazia, che da noi costa 4.500 euro a cittadino a fronte dei 3.300 che è la media UE. Il piano E-gov 2012 prevede un investimento in 4 anni per l’informatizzazione della PA pari a 1,4 miliardi di euro, l’estensione dei servizi on line su cui l’Italia è ancora in ritardo, il potenziamento del Web 2.0, la diffusione della larga banda, l’accessibilità delle banche dati pubbliche on line. Solo il 17 per cento delle famiglie italiane utilizza Internet per le transazioni con la pubblica amministrazione, la media europea fa registrare un dato superiore al 30 per cento. Nei paesi del Nord Europa questo dato arriva fino al 60 per cento, penso basti a dare l’idea dello sforzo che dobbiamo compiere e dei margini di miglioramento, che ci sono. La gestione documentale vale oltre il 2 per cento del PIL, il processo di dematerializzazione anche di un solo 10 per cento del totale, obiettivo perseguibile con gli strumenti dell’ICT, genererebbe un risparmio di 3 miliardi di euro l’anno.

L’ultimo Rapporto Assinform rivela che la PA centrale dispone di un patrimonio di quasi 1.500 basi informative capaci di sviluppare 290 terabyte di capacità di memoria e di archiviazione. Alla crescita dimensionale delle basi dati ha corrisposto, negli ultimi due anni, un aumento del 25 per cento del rapporto tra gigabyte e dipendenti informatizzati. Come si può sfruttare questo straordinario deposito digitale di know-how?

Prima di tutto rendendo più fluidi i processi dell’Information technology e sfruttando le reti come sistema integrato di servizi. Integrazione e interoperabilità sono due termini chiave che il disegno di riforma enuclea con estrema chiarezza. La creazione del Sistema Pubblico di Connettività (SPC), la costante crescita dei PC collegati alla Rete e delle postazioni informatizzate cui si sta accompagnando una riduzione dei costi di connettività sono concreti trend su cui misurare il livello di governance dell’innovazione. L’adozione dello strumento della Posta Elettronica Certificata (PEC), iniziata dall’INPS a settembre di quest’anno e da gennaio prossimo seguita dalle altre amministrazioni dello stato, contribuirà a rafforzare l’integrazione tra contesti organizzativi diversi, assicurando maggiore trasparenza e rapidità nello scambio di informazioni oltre che maggiore coesione tra gli uffici.

“Reti amiche”, tecnologie e solidarietà

Abbattimento della burocrazia, vuol dire anche customer satisfaction, misurazione della qualità dell’amministrazione pubblica. Quali progetti sono stati messi in campo per avvicinare il processo di decisione politica alle esigenze reali dei cittadini?

Un esempio: Reti Amiche. Iniziativa che nasce sempre in coerenza con gli obiettivi di Lisbona,che ricordavo prima, e che vuole garantire: servizi di e-government ai cittadini soprattutto a quelli meno favoriti, abbattere il digital divide, avvicinare burocrazia e cittadino. Per realizzarla abbiamo fatto convergere alcune prestazioni di competenza dell’INPS e del Ministero dell’Interno, sfruttando canali distributivi già esistenti e molto capillari sul territorio, come quelli che ci hanno messo a disposizione Poste Italiane e Federazione Nazionale Tabaccai. Oltre 40.000 (diventeranno oltre 100.000 entro il 2010) sportelli polivalenti, sono attrezzati per soddisfare richieste che attengono ad amministrazioni differenti: dal rinnovo e rilascio del passaporto, al pagamento dei contributi delle colf, ai permessi di soggiorno. Questo circuito si allargherà con nuove partnership pubblico-privato, in modo da aumentare il valore di ogni singolo nodo della Rete secondo una logica demand driven in cui è finalmente il cittadino-cliente che orienta la prestazione e le tipologie di beni e servizi erogati dagli uffici pubblici e non viceversa.

Restiamo sul fronte che vede pubblico e privato appaiati. Lei ha firmato un protocollo di intesa con Microsoft, lanciato Smart Inclusion, progetto che coinvolge Telecom Italia. Si tratta di partner che per stare sul mercato devono spingere sulle attività di innovation. Al di là del business, ci saranno effettivi vantaggi per la collettività?

Molto forti e visibili. Intendiamo sfruttare il know-how di Microsoft per la costituzione: di una “scuola del futuro” al fine di diffondere la conoscenza dell’ICT tra i più giovani. Con la stessa azienda stiamo costruendo un centro di competenza sul VoIP (Voice over IP ) che deve diventare una tecnologia di uso comune anche nella pubblica amministrazione, lo è, infatti, già in altre sedi. Smart Inclusion dà il nome ha un importante progetto di integrazione tra scuola, famiglia e ospedale, vuole essere un ponte virtuale tra i piccoli pazienti costretti a una lunga degenza e i servizi che spesso, in quelle condizioni, sono impossibili da fruire. Grazie all’ausilio della connettività i bambini che devono restare in ospedale per parecchio tempo hanno la possibilità di frequentare la scuola in modo “virtuale” e possono tenersi in contatto con i familiari e amici attraverso lo strumento della video-conferenza. Oltre ai servizi socio-educativi questa particolare smart card comprende servizi sanitari, consente la gestione in elettronico delle cartelle cliniche, la visualizzazione delle immagini diagnostiche e il dosaggio della terapia farmacologica. Il prototipo del progetto è stato realizzato dal Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna e da Telecom Italia, con la supervisione progettuale del CNR-ISFOL, per i piccoli pazienti lungodegenti, che si trovano nel reparto di oncoematologia pediatrica.

Governance di Internet e impegno internazionale

Non si può parlare di innovazione e formazione se si perde di vista il confronto tra sistemi-paese. Sul fronte internazionale quale strategia intende perseguire il suo Ministero?

Per mantenere il ruolo internazionale acquisito con le iniziative di cooperazione per il superamento del digital divide avviate già nel 2001 con il G8 di Genova abbiamo lanciato insieme al Ministero degli Affari Esteri, un partenariato con i paesi in via di sviluppo e i paesi emergenti per favorire la diffusione anche nei territori più sfortunati, delle migliori pratiche nel settore dell’e-governance.

e-G4D (e-governance for development) è il nome del piano di azione che intende promuovere con l’ICT programmi di riforma, di institutional building, di digitalizzazione dei servizi pubblici e dei Parlamenti, fino all’introduzione del voto elettronico. Per aumentare, poi, le opportunità di confronto tra sistemi-paese stiamo tentando di rafforzare quei momenti, per altro avviati dai precedenti governi, di cooperazione bilaterale e trilaterale. è il caso di iniziative come quelle portate avanti dalla Fondazione COTEC, che opera sul triplice versante: spagnolo, italiano e portoghese. Quello che ho potuto constatare, parlando con i colleghi di Madrid e Lisbona è che su molti problemi le emergenze hanno tratti comuni, in particolare quando si affrontano temi quali la misurazione del recupero della produttività, la valorizzazione del merito e l’attivazione di servizi a valore aggiunto.

A Sharm El Sheikh dal 15 al 18 novembre prossimo si terrà l’Internet Governance Forum. Siamo su un terreno ampio di confronto che polarizza l’impegno di politici, tecnologi, giuristi, informatici. Qual è l’impegno del ministro in merito?

Coincide con l’impegno di tutto il governo italiano sul terreno dello sviluppo della società dell’informazione. Un impegno che risale ai vertici delle Nazioni Unite di Ginevra del 2003 e di Tunisi del 2005. In continuità vanno, infatti, considerati i successivi summit di Atene, Rio e Hyderabad, in cui il dibattito si è focalizzato sulla governance di Internet.

Oggi la strada da percorrere è quella di far dialogare l’insieme variegato degli stakeholders, cercando di favorire un processo di regolamentazione concertato, condiviso dal basso nella logica di peer production che è poi la modalità con cui si esprime l’universo di Internet, di Wikipedia, dei software open source, del blogging e dei social networks, che sono le modalità di comunicazione dominanti, soprattutto tra il pubblico dei più giovani. Altre vie percorribili attualmente non ne vedo all’orizzonte, se si vuole arrivare a una governance che sappia parlare al mondo di Internet, interpretando al meglio i lineamenti della società del futuro.