IIT INNNOVAZIONE

Coman, il molleggiato

Sta nascendo il cugino di iCub, il precedente robot androide realizzato da IIT.

Coman ha gambe “molleggiate”, con cui grazie a una serie di sensori e alle articolazioni morbide riesce a tenersi in equilibrio con un’elasticità analoga a quella di un essere umano. Coman (da Compliant Humanoid) sta nascendo nell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova, dove le sue gambe hi-tech sono già pronte, camminano e si piegano con movimenti fluidi, che fanno sembrare una caricatura i movimenti rigidi dei robot tradizionali. «è un passo in avanti verso lo sviluppo di robot più adatti a interagire con l’uomo», sottolinea il coordinatore del progetto, il greco Nikos Tsagarakis, che sta sviluppando il robot nel Dipartimento di Robotica avanzata dell’IIT, diretto dall’irlandese Darwin Caldwell. Sono tutti giovanissimi, intorno ai 30 anni, i ricercatori che stanno lavorando ai robot “amici dell’uomo” e le nuove idee vengono catturate al volo, tanto che capita di imbattersi in una porta a vetri usata come lavagna per tracciare diagrammi e circuiti. Entro l’anno, aggiunge Tsagarakis, le gambe di Coman saranno unite a un busto, con spalle, gomiti e polsi altrettanto elastici e morbidi nei materiali e nei movimenti. Ci sarà anche la testa: «Sarà molto semplice, ma sorridente» ha spiegato il ricercatore. Gambe e tronco saranno assemblati in novembre, nell’ambito di una collaborazione con altri centri in Germania e Svizzera. Il primo esemplare di questo robot “molleggiato” sarà di piccole dimensioni: un metro e dieci di altezza e 48 chilogrammi di peso, ma sarà la base per costruire robot più grandi, di dimensioni confrontabili a quelle di una persona.

Processi fotovoltaici nelle celle solari organiche

Lo studio, che contribuisce a spiegare i processi fotofisici all’interno delle cellule solari organiche, è stato premiato all’ECME 2011.

Uno studio congiunto tra i ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, il Center of Nano Science and Technology dell’IIT@Polimi e il Politecnico di Milano, sotto la guida di Guglielmo Lanzani, coordinatore del Centro IIT di Milano, ha ricevuto il premio per la migliore presentazione nel corso della European Conference on Molecular Electronics 2011 (ECME 2011).

Lo studio presentato ha fatto luce sui possibili processi fotofisici che avvengono all’interno dei materiali attivi, utilizzati nelle celle solari organiche, contribuendo così a comprenderne meglio il funzionamento.

Lo studio mirava alla comprensione delle dinamiche di ricarica nella miscela di polimeri (P3HT:PCBM) largamente utilizzata come materiale attivo, per garantire la eterogiunzione di massa nelle celle solari. Abbinando la spettroscopia ultraveloce alla microscopia confocale, ha permesso di ottenere immagini localizzate dell’assorbimento del segnale con elevata risoluzione sia sul piano temporale (150 fs), sia su quello spaziale (300nm).

Le indagini sperimentali e quelle teoriche hanno rivelato un trasferimento di carica di durata particolarmente lunga all’interfaccia del P3HT:PCBM, caratterizzato da una differente polarizzazione rispetto a quella della tradizionale miscela polidispersa.

Gli autori della presentazione sono: Giulia Grancini (Politecnico di Milano), Dario Polli (Politecnico di Milano), Daniele Fazzi (Center of Nano Science and Technology of IIT@Polimi), Juan Cabanillas-Gonzalez (IMDEA), Giulio Cerullo (Politecnico di Milano), Guglielmo Lanzani (Center of Nano Science and Technology of IIT@Polimi e Politecnico di Milano).

Strutture beta-amiloidi nell’Alzheimer

Una ricerca potrebbe spiegare l’insorgenza di casi di sindrome di Alzheimer non genetici. Inoltre, potrebbe permettere la messa a punto di nuovi dispositivi di diagnosi precoce.

La rivista internazionale “Soft Matter” ha pubblicato i risultati di una ricerca effettuata nel Dipartimento di Nanostrutture dell’Istituto Italiano di Tecnologia, diretto dal prof. Enzo Di Fabrizio, in collaborazione con l’Università della Magna Grecia e l’European Synchroton Radiation Facility (ESRF) di Grenoble.

Questi risultati mostrano alcune particolari condizioni fisico-chimiche che inducono la formazione di strutture beta-amiloidi in soluzioni contenenti lisozima. L’aggregazione delle proteine in strutture beta-amiloidi è alla base della formazione delle placche amiloidi, responsabili dell’insorgenza della sindrome di Alzheimer.

Gli autori dell’articolo hanno dimostrato che le molecole di lisozima si organizzano in strutture beta-amiloidi, quando a partire da gocce di soluzione di lisozima si aumenta la concentrazione della soluzione tramite evaporazione. Durante il processo di evaporazione, i moti convettivi e laminari interni alla goccia guidano la struttura molecolare del lisozima ad attorcigliarsi fino a formare una fibrilla amiloide.

Le condizioni di laminarità e di concentrazione evidenziate dalla ricerca sono molto simili alle condizioni fisiologiche che si trovano nei capillari del corpo. Questa somiglianza permette di ipotizzare che tali fenomeni di formazione delle strutture beta-amiloidi, sia per il lisozima, sia per altre proteine, possano verificarsi all’interno dei capillari periferici e di conseguenza entrare nella circolazione sanguigna fino a raggiungere il cervello, dove andrebbero a colpire le cellule neuronali, provocando l’insorgenza della sindrome di Alzheimer.

Disturbi di genere

All’IIT è stato scoperto un meccanismo genetico alla base di patologie psichiatriche, aprendo così la strada allo studio di strategie terapeutiche basate sulla regolazione di geni alterati.

Essere maschio o femmina è una condizione che può influire sulla vita sociale degli esseri umani, ma anche sull’insorgenza di alcune patologie del cervello.

Negli ultimi anni la ricerca scientifica ha mostrato sempre più interesse per il rapporto tra genere e disturbi psichiatrici.

Il gruppo di ricerca guidato da Francesco Papaleo, del Dipartimento di Neuroscienze e Neurotecnologie dell’IIT, ha studiato il comportamento di topi femmine con una modificazione genetica che aumenta i livelli della proteina BDFN nella corteccia prefrontale del cervello. L’importante lavoro, pubblicato sulla rivista “Learning & Memory” con il titolo Working memory deficits, increased anxiety-like traits, and seizure susceptibility in BDNF overexpressing mice, è frutto di una collaborazione internazionale tra l’Istituto Italiano di Tecnologia e il National Institute of Mental Health di Bethesda, Maryland, USA.

Il BDNF fa parte della famiglia delle neurotrofine, le molecole che influenzano la crescita e la sopravvivenza dei neuroni, ed è implicato nella modulazione delle funzioni cognitive. Recentemente alcuni studi hanno dimostrato che variazioni nel gene che esprime il BDNF possono contribuire allo sviluppo di malattie psichiatriche in entrambi i sessi. «La nostra ricerca ha rilevato che tali modificazioni genetiche causano selettivi disturbi cognitivi e altre alterazioni comportamentali nei topi di sesso femminile», spiega Papaleo, primo autore del lavoro.

I topi utilizzati sono stati modificati geneticamente in modo da produrre una quantità di BDNF nel cervello superiore al normale, simulando quelle variazioni del gene che nell’uomo possono provocare un aumento dei livelli di BDNF. I test eseguiti hanno dimostrato che, nel sesso femminile, l’aumento dei livelli di BDNF ha causato l’insorgenza di disturbi cognitivi specifici nella sfera della memoria di lavoro (Working Memory), cioè nei processi di comprensione, di apprendimento e di utilizzo delle informazioni, che stanno alla base della memoria a breve termine e che permettono di reagire in modo adeguato agli stimoli esterni.

Questo tipo di funzione cognitiva è particolarmente alterato in soggetti affetti da schizofrenia.

In condizioni di stress è stato rilevato un aumento dell’ansia e della suscettibilità a crisi epilettiche e una diminuzione della capacità di prendersi cura dei piccoli. «Queste osservazioni sono fondamentali per procedere nello sviluppo di nuove strategie terapeutiche per patologie psichiatriche basate sulla conoscenza di specifiche alterazioni genetiche», conclude Papaleo.

Lo studio ha dimostrato, infine, che un aumento del BDNF in topi di sesso femminile non influenza in nessun modo né la salute generale, né le capacità motorie, né è causa di comportamenti di tipo depressivo o di diminuita socievolezza, circoscrivendo la sua attività a livello comportamentale.

Il Dipartimento di Neuroscienze e Neurotecnologie (NBT) è la piattaforma di ricerca della Fondazione IIT, diretta dal prof. Fabio Benfenati e volta allo studio della “plasticità neuronale”. Obiettivo del programma di ricerca del Dipartimento è la comprensione dei meccanismi di base che sottendono la trasmissione e la plasticità sinaptica, con lo scopo di comprendere i cambiamenti nel flusso e nell’elaborazione delle informazioni coinvolte nelle funzioni cerebrali superiori, come l’apprendimento e la memoria. Altro obiettivo altrettanto importante è lo studio molecolare e cellulare avanzato di modelli appropriati delle malattie neurologiche che potrebbe portare a progressi significativi nel campo della prevenzione, patogenesi, diagnosi precoce e terapia delle malattie cerebrali (epilessia, autismo, Alzheimer, Parkinson, schizofrenia, tossicodipendenze).

Related Posts
Total
0
Share