I venezuelani si aggrappano alla gig economy

La crescente concorrenza per lo sviluppo di auto a guida autonoma – e l’elevata posta in gioco – hanno creato nuove piattaforme di crowdworking che potrebbero rappresentare un’ancora di salvezza per chi è alla disperata ricerca di un lavoro.

di Angela Chen

La prossima volta che si sentirà parlare del meraviglioso futuro delle auto a guida autonoma, si immagini questa situazione: i venezuelani, che vivono in condizioni di crisi dopo il collasso della loro economia, siedono ai computer portatili e profilano le foto di alberi e biciclette in modo che i veicoli robotici non si schiantino.

Questa era la situazione nel 2018, secondo Florian A. Schmidt, esperto di lavoro digitale (crowdwork) e professore di design presso l’HTW di Dresda. 

“Ci sono persone un tempo appartenenti alla classe media, ben istruite e collegate con una buona infrastruttura Internet che in poco tempo sono cadute in povertà”, afferma Schmidt, che ha scritto un articolo su questo nuovo mercato del lavoro per la Fondazione Hans Böckler, la punta di diamante culturale della federazione sindacale tedesca. 

Alla disperata ricerca di lavoro, i venezuelani si sono imbattuti in un nuovo gruppo di piattaforme di crowdfunding online.

Queste aziende – tra cui Mighty AI, Playment, Hive e Scale – sono in prima fila nel settore dei veicoli autonomi e potrebbero rappresentare terreno di battaglia per i diritti di chi lavora nella gig economy.

L’anno scorso, centinaia di migliaia di cittadini venezuelani hanno chiesto di lavorare per queste aziende, arrivando in alcuni casi a costituire fino al 75 per cento della manodopera aziendale. 

Ancora oggi, il 75 per cento del traffico di ricerca di Mighty AI proviene da un sito venezuelano che si occupa di pubblicità. 

Le aziende non pagano di più per l’etichettatura dei dati rispetto a una piattaforma come Amazon Mechanical Turk, ma offrono una fonte di reddito stabile, garantendo un minimo di sicurezza in un paese in cui l’inflazione ha recentemente raggiunto i 10 milioni per cento

Non è un segreto che l’IA faccia affidamento su lavoratori mal pagati per etichettare enormi quantità di dati. Il personale fa di tutto, dalla trascrizione delle registrazioni vocali all’identificazione delle immagini volgari o potenzialmente offensive.

Queste nuove aziende di crowdfunding sono il risultato della crescente concorrenza per lo sviluppo delle auto a guida autonoma e delle attività legate all’addestramento degli algoritmi dei veicoli per navigare senza pericoli.

Altre attività di etichettatura dei dati, come la creazione di un algoritmo per i risultati della ricerca, hanno più margine di errore. “Se si interroga un motore di ricerca e tre risultati su 10 sono una schifezza, non importa”, afferma Schmidt.
“Ma un livello del 30 per cento di risposte errate sarebbe totalmente intollerabile in condizioni di traffico”. 

Anche il tipo di lavoro può essere più impegnativo. Le telecamere di bordo delle auto registrano enormi quantità di informazioni visive e le etichette devono delineare ogni singolo oggetto in un’immagine o un filmato.

Piattaforme come Mighty AI gestiscono l’intero processo di ricerca, formazione e gestione dei lavoratori in modo che i loro clienti, aziende impegnate nella costruzione e nel collaudo di auto autonome, non abbiano mai contatti con loro. 

In effetti, molte di queste aziende hanno due piattaforme, una per ogni componente delle loro attività, come nel caso di Mighty AI con Spare5 e Remotask.

Per i lavoratori venezuelani, queste piattaforme più centralizzate sono state un miglioramento perché “chi collabora è considerato con più rispetto e il lavoro viene apprezzato”, afferma Schmidt. Molti lavoratori venezuelani hanno reclutato amici e parenti per svolgere questa attività.

A differenza dei crowdworker italiani e brasiliani intervistati da Schmidt, che vedevano il lavoro come un’entrata extra, i venezuelani ne hanno necessità assoluta.

“Pur essendo consapevoli dello sfruttamento, devono farlo perché non hanno alternative”, aggiunge Schmidt.

Queste richieste di massa sono state una sorpresa anche per le aziende. Molte di loro, impegnate nel settore dell’etichettatura dei dati, hanno aperto sedi nei paesi in via di sviluppo e hanno tradotto i loro siti Web in spagnolo.

Una nuova frontiera nel dibattito sulla gig economy?

In tutto il mondo, i collaboratori esterni alle aziende stanno lottando per essere classificati come dipendenti. I risultati hanno grandi implicazioni perché chi è esterno non è assicurato, non matura la pensione e non gode di altre protezioni sul posto di lavoro.

Il problema è rilevante anche per i lavoratori venezuelani, perché molti di coloro che sono partiti per i paesi limitrofi hanno iniziato a lavorare come taxisti o corrieri in bicicletta.

Finora il dibattito si è concentrato su questi lavoratori, ma potrebbe estendersi anche a chi etichetta i dati per Mighty AI e Playment.

Poiché queste aziende gestiscono gran parte della formazione e degli incarichi di lavoro, si comportano in modo molto più simile a un datore di lavoro tradizionale che a una piattaforma come Mechanical Turk.

Ma, secondo Valerio de Stefano, esperto di piattaforme e diritto del lavoro presso la KU-Leuven in Belgio, le aziende possono considerare i lavoratori come dipendenti in un paese e collaboratori esterni in un altro anche se svolgono lo stesso lavoro. 

Per esempio, la piattaforma di consegne di pasti a domicilio Foodora ha classificato i suoi dipendenti come impiegati in Germania, ma contraenti indipendenti in Italia.

Quindi, anche se chi etichetta dati in Spagna viene considerato lavoratore dipendente, una persona che lavora per la stessa azienda in Venezuela potrebbe non godere degli stessi diritti.

Per le aziende digitali, c’è anche il rischio concreto che trasferiscano la loro forza lavoro in paesi con protezioni del lavoro più deboli.

Nel 2015, il sito CrowdFlower ha raggiunto un accordo in una class action in cui lo si accusava, tra l’altro, di classificare erroneamente i dipendenti come contraenti indipendenti.

Da allora non ci sono state cause legali importanti, ma dal momento che chi lavora nella gig economy sta iniziando a ottenere più protezioni, i crowdworker potrebbero essere pronti a riprovare.

Per i lavoratori nelle aree economicamente povere, potrebbe essere un vero vantaggio. Per le aziende, “rispettare le diverse regole dovrebbe far parte integrante del business intrapreso”, afferma de Stefano. “Se non sono pronti a farlo, probabilmente non dovrebbero neanche stare in quei posti”.

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