Facebook non riesce a bloccare l’hate speech in Myanmar

Il social network continua a essere lo strumento ideale per diffondere contenuti e messaggi di odio ai danni dei musulmani Rohingya.

di Erin Winick

Nonostante gli sforzi per cercare di arrestarne la diffusione, il fenomeno dell’hate speech continua a permeare il social network nel paese, plagiato da violenze a sfondo etnico.

Le cause: Facebook è diventato il principale veicolo di comunicazione in Myanmar intorno al 2013, quando i prezzi delle schede SIM sono crollati e gli operatori di reti mobili hanno cominciato a offrire la connessioni gratuite al social network. Poco tempo dopo, la piattaforma è diventata il veicolo ideale per diffondere messaggi razzisti e violenti e incoraggiare atti violenti fra buddisti e musulmani Rohingya.

Uno sguardo rivolto altrove: Secondo quanto riportato da Reuters, Facebook avrebbe ignorato anni di avvertimenti da parte di ricercatori e attivisti sulla portata dei danni che la piattaforma stava causando in Myanmar. “Non avremmo potuto esporgli il problema in maniera più chiara, eppure non sono stati fatti i passi necessari per porvi rimedio”, ha detto David Madden, un imprenditore tecnologico che ha lavorato nel paese.

Troppo poco, troppo tardi: La società ha finalmente cominciato a intervenire, senza però rispondere alle aspettative. Nonostante gli annunci dei progressi fatti e dell’assunzione di dipendenti che parlassero la lingua birmana, Facebook continua a faticare con la lingua e dipendere dalle segnalazioni degli utenti per individuare contenuti dannosi. Come rivelato da Reuters, oltre 1.000 elementi del genere – inclusi post, immagini e commenti – contro i musulmani del Myanmar continuavano a circolare sul sito; alcuni di questi contenuti risalgono a sei anni fa.

(MO)

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