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Gli scienziati sostengono che alcuni ecosistemi sono vicini al collasso e il riscaldamento globale potrebbe spingere foreste pluviali, calotte glaciali e barriere coralline in spirali di distruzione irreversibili.

di James Temple

Il collasso climatico alzerebbe i livelli del mare, devasterebbe la vita marina e stravolgerebbe i modelli oceanici e di circolazione atmosferica che dettano temperature e precipitazioni in tutto il mondo. 

La distruzione delle foreste libererebbe vasti depositi di gas serra, mentre lo scioglimento dei ghiacciai ridurrebbe la riflettività del pianeta, accelerando ulteriormente il riscaldamento e aumentando il rischio di scatenare ulteriori punti di non ritorno.

Finora, la maggior parte dei ricercatori ha creduto che le probabilità di questi eventi fossero basse, anche se concordano sulle conseguenze devastanti. Ma, un articolo pubblicato su “Nature” questa settimana, avverte che potremmo avvicinarci rapidamente alle soglie che potrebbero mettere in moto alcuni di questi eventi. 

Inoltre, i fenomeni potrebbero essere interconnessi, aumentando la possibilità di una “cascata globale di punti di non ritorno che porta a un nuovo regime climatico ostile per l’uomo”, scrivono gli autori, vale a dire alcuni ricercatori dell’Università di Exeter, l’Istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam e altre istituzioni.

L’articolo osserva che i precedenti rapporti del panel sul clima delle Nazioni Unite sostenevano che questo tipo di eventi fossero possibili solo con un aumento globale delle temperature globali di più di 5° C al di sopra dei livelli preindustriali, una possibilità considerata impossibile in questo secolo.

Ma le ricerche più recenti suggeriscono che possiamo condannare a morte le calotte glaciali della Groenlandia con un riscaldamento di appena 1,5° C, un livello che il pianeta potrebbe raggiungere entro il 2030 (le temperature sono già salite di circa 1° C). Raggiungere i 2° C potrebbe, in combinazione con l’acidificazione degli oceani e altri cambiamenti ambientali, spazzare via il 99 per cento delle barriere coralline del mondo. 

Inoltre, se continuiamo a eliminare tratti di foresta pluviale amazzonica, si rischia di innescare un meccanismo di distruzione di alberi su larga scala che trasformerebbe gran parte della fitta giungla in pianure erbose. C’è molta incertezza sulla nuova valutazione del rischio. Gli scienziati non sono d’accordo su cosa significhi anche il termine “punto di non ritorno“, su dove si trovi un punto di non ritorno specifico e sulla probabilità che si superino tali limiti. 

I ricercatori hanno scoperto che il deperimento dell’Amazzonia potrebbe essere innescato dalla perdita di una quota che oscilla tra il 20 e il 40 per cento della foresta pluviale (ora siamo al 17 per cento). C’è anche un considerevole dibattito su quanto siano instabili i vari ghiacciai e calotte glaciali, e quindi quanto velocemente potrebbero sciogliersi e far salire i livelli degli oceani.

Gli autori sostengono che gli scienziati devono condurre più ricerche e migliorare i modelli per comprendere meglio i rischi. Ma sottolineano anche che non possiamo permetterci il lusso di aspettare la certezza e che ora dobbiamo compiere passi drastici per ridurre le emissioni climatiche il più rapidamente possibile.

“Giocare con il fuoco non è un’opzione responsabile”, scrivono gli autori. “La stabilità e la resilienza del nostro pianeta sono in serio pericolo”.

Foto: Unsplash / Annie Spratt