È tempo di ricorrere all’ingegneria ambientale?

Un rapporto dell’Accademia Nazionale delle Scienze sostiene che la carenza di interventi sulle emissioni di gas serra aumenta la probabilità che si debba ricorrere alla geoingegneria.

di Kevin Bullis

Uno studio condotto dall’Accademia Nazionale delle Scienze richiede l’avvio di esperimenti per collaudare tecnologie pensate per contrastare il riscaldamento globale provocato dalle emissioni di gas-serra – uno sviluppo rimarchevole per un campo che fino a dieci anni fa era al confine estremo della scienza.

Lo studio, sponsorizzato dal National Research Council, la Central Intelligence Agency, NASA e Dipartipento dell’Energia degli Stati Uniti, nota che la geoingegneria risponderebbe solo parzialmente ai cambiamenti provocati dai gas serra, e che a sua volta introdurrebbe nuovi problemi.

Ciononostante, è la prima volta che un principale rapporto sponsorizzato dal governo statunitense richiede l’avvio di esperimenti di geoingegneria. Molti temono che anche solo parlando di geoingegneria, e tanto meno sperimentarla, si possa distogliere l’attenzione dagli sforzi che guardano alla riduzione delle emissioni di anidride carbonica.

Il rapporto “spiega che non sapremo se la geoingegneria è una buona soluzione fino a che non saranno state effettuate maggiori ricerche”, dice Lynn Russell, un professore di chimica atmosferica presso l’Università della California a San Diego e membro del comitato di studio. “I rapporti precedenti non si erano mai spinti a dire tanto”.

Il termine “geoingegneria” è stato utilizzato per descrivere una varietà di idee, quali la riduzione della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera piantando alberi o lanciando vascelli spaziali da utilizzare come enorme ombrello spaziale. Due forme di geoingegneria in particolare sono però emerse. La prima ipotizza l’iniezione di molecole a base di zolfo nell’atmosfera, dove formerebbero particelle in grado di riflettere la luce solare nello spazio, mentre la seconda comporterebbe il rilascio di particelle da navi o piattaforme simili per produrre nuvole basse che assolverebbero lo stesso compito.

In una introduzione al rapporto, Marcia McNutt, presidente del comitato di studio e direttrice della rivista Science, sostiene che la facilità di implementazione di tali tecnologie sollevi non poche preoccupazioni, perché nessuno comprende invece quelli che potrebbero essere gli effetti collaterali. Nonostante queste preoccupazioni, l’inoperatività sul fronte del controllo delle emissioni di gas serra non fa che aumentare le probabilità che una qualche forma di intervento sul clima venga considerata.

Il rapporto precisa che la geoingegneria non è da considerarsi un’alternativa alla riduzione delle emissioni. Dice inoltre che sarebbe “irrazionale e irresponsabile” anche solo pensare di implementare tecnologie di geoingegneria su larga scala. Chiede però che vengano avviati esperimenti in scala ridotta per chiarire quello che potrebbe accadere realmente qualora venissero implementate su larga scala.

Il rapporto non raccomanda esperimenti specifici, ma nota che gli studi potrebbero gettare luce sulla chimica e la fisica dietro la formazione delle nuvole e l’interazione delle particelle a base di zolfo con lo strato di ozono. Suggerisce anche di cominciare con esperimenti che i ricercatori stessi vorrebbero condurre ugualmente per migliorare i propri modelli climatici.

Persino gli esperimenti in scala ridotta potrebbero provocare delle controversie. Esistono poi dubbi sulla reale efficacia di tali esperimenti nel rivelare le ramificazioni della geoingegneria su una scala sufficientemente larga da raffreddare effettivamente il pianeta.

Oltre a richiedere simili ricerche, il rapporto sottolinea la necessità di formulare norme internazionali per la geoingegneria.

David Victor, un esperto di politica ambientale dell’Università della California a San Diego, sostiene che sarebbe meglio cominciare dalla ricerca e pensare alle norme lungo strada. A questo punto, dice Victor, sappiamo troppo poco per poter avviare una discussione seria a riguardo. “Nessuno saprebbe esattamente cosa sta cercando di negoziare”, dice.

Alan Robock, un professore di scienze ambientali che in passato ha sollevato diverse domande sulla geoingegneria, sostiene che gli esperimenti in scala ridotta potrebbero essere autorizzati fintanto che un corpo governativo indipendente venisse creato per valutarne l’impatto ambientale. “Non possiamo semplicemente affidarci agli scienziati”, dice. Aggiunge, però, che gli esperimenti sarebbero poco utili: “Si possono collaudare meccanismi e processi specifici, ma non si può collaudare l’impatto globale senza ricorrere realmente alla geoingegneria”.

(MO)

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