E’ possibile un sistema alimentare a zero emissioni di carbonio?

Anthony Myint e Karen Leibowitz hanno messo da parte il successo del loro ristorante per affrontare una sfida ben più grande: ricostruire l’intero meccanismo di coltivazione del cibo.

di Clint Rainey

Quando Karen Leibowitz e Anthony Myint hanno aperto The Perennial, il ristorante più ambizioso e costoso della loro carriera, è stato un salto nel buio. La coppia sposata aveva avuto un enorme successo con il loro precedente ristorante a San Francisco, Mission Chinese Food, ma si era resa conto che mancava qualcosa. “Nessuno stava lavorando sul cambiamento climatico”, mi ha detto di recente Myint. Il sistema alimentare è tra i peggiori inquinatori della Terra, poiché apporta più gas serra rispetto a automobili, aerei e navi messi insieme. Ma nel settore, fino a quel momento, non si era mosso nulla.

Quindi, quando hanno offerto loro un nuovo spazio, hanno colto al volo l’opportunità di fare qualcosa di coraggioso: mettere in piedi un ristorante completamente a emissioni zero. Il loro “laboratorio ambientalista nel mondo dell’alimentazione” ha visto la nascita nel gennaio del 2016.

Myint, un ragazzo stravagante, e Leibowitz, la maga del marketing, si sono attenuti rigorosamente alla eco-compatibilità: piastrelle del pavimento riciclate, cocktail alla spina per risparmiare ghiaccio, la cappa di ventilazione della cucina attivata al laser, una “dispensa” di erbe coltivate. I commensali potevano mangiare il primo pane cotto con Kernza, il nome commerciale di un erba cereale intermedia del Kansas’s Land Institute. I menu di carta erano compostati e successivamente dati in pasto ai vermi, poi disidratati e utilizzati come nutrimento per i pesci, i cui rifiuti ricchi di ammoniaca fecondavano le lattughe, le piante di guava, le foglie di curry e i fiori commestibili usati in cucina.

Il pezzo forte era servire carne con un’impronta di carbonio notevolmente inferiore al normale. Ogni libbra di carne bovina prodotta oggi dall’agricoltura moderna genera, in media, l’equivalente di 22 libbre di anidride carbonica (nota come CO2e). Grazie alle tecniche di allevamento utilizzate dai fornitori di The Perennial, un chilo di carne bovina viene compensato da 45 libbre di carbonio sequestrato nel terreno. 

Il loro jolly è stata l’agricoltura carbonica. Myint e Leibowitz hanno stabilito contatti con un ranch nella vicina Marin County, uno dei pochi progetti pilota in California che sperimenta un metodo che, a quanto pare, riduce drasticamente le emissioni. Tra macchinari, fertilizzanti e rifiuti animali, l’agricoltura moderna produce alti tassi di inquinamento. 

Ma le cosiddette fattorie a bassa impronta di carbonio praticano tecniche come il pascolo gestito, applicazioni di compost e colture di copertura che attirano deliberatamente carbonio nel suolo superficiale. In questo modo si mantiene il carbonio fuori dall’atmosfera e si arricchisce naturalmente il suolo, producendo idealmente cibo sano dal sapore migliore. 

Non tutti sono d’accordo sul fatto che questo tipo di agricoltura rigenerativa possa fare una differenza significativa nelle emissioni complessive, ma molti scienziati di spicco sono rimasti entusiasti della possibilità che possa aiutare a trasformare l’agricoltura da un grave problema climatico a, forse, parte della soluzione. 

La scoperta ha convinto Myint e Leibowitz a fare qualcosa di molto più grande e che il modo più semplice e pratico per affrontare il riscaldamento globale poteva essere attraverso il cibo. Ma si sono anche resi conto che quello che veniva definito “il ristorante più sostenibile del paese” non poteva da solo riparare i danni di un sistema alimentare sbagliato. Quindi, all’inizio del 2019, hanno osato fare qualcos’altro che nessuno si aspettava. Hanno chiuso The Perennial.

Anthony MyintChristie Hemm Klok

Una ventata di ottimismo

Liberati dalla gestione di un ristorante, Myint e Leibowitz hanno iniziato a diffondere a tempo pieno il vangelo di un sistema alimentare carbon free. “È la storia improntata al più grande ottimismo in campo alimentare”, ha annunciato la prima volta che ne abbiamo parlato, l’estate scorsa. L’energia che avevano messo in The Perennial è stata reinvestita in progetti tra cui Zero Foodprint, o ZFP, che si concentra sui progetti di agricoltura carbonica e condivide gli strumenti di riduzione del carbonio sperimentati da The Perennial con altri ristoranti. 

I sistemi di controllo possono anche identificare le emissioni dei ristoranti partner, per eliminarle, e quanto rimane viene contrastato acquistando compensazioni. Quando The Perennial ha chiuso, nel febbraio 2019, aveva reclutato colleghi raffinati come il famoso Noma di Copenaghen e il leggendario Chez Panisse di Berkeley.

Da allora, l’organizzazione, con Leibowitz come direttore esecutivo e Myint come direttore delle partnership, è fiorita, arrivando a oltre 100 membri attivi e impegnati. “E per quanto riguarda il costo delle compensazioni”, afferma Myint, “in quasi tutti i casi l’1 per cento delle entrate era pari o superiore a quanto sarebbe necessario per un ristorante a emissioni zero”.

L’importo era abbastanza modesto, ma i ristoranti sono sempre a corto di soldi, anche nel migliore dei casi. Zero Foodprint ha finito per suggerire un supplemento volontario dell’1 per cento sulle bollette, solo pochi centesimi a tavolino, da destinare agli agricoltori per aiutarli a implementare progetti per la salute del suolo.

Karen Leibowitz Christie Hemm Klok

Il riconoscimento è arrivato rapidamente. Myint è stato il primo americano a vincere il Basque Culinary World Prize la scorsa estate, un prestigioso premio da 100.000 euro assegnato allo chef che ha avuto il maggiore impatto sociale dell’anno attraverso il cibo. E poi, a marzo 2020, Zero Foodprint si è aggiudicato il premio umanitario della James Beard Foundation.

Eppure, proprio come con The Perennial, non è stato abbastanza. Nonostante il loro successo, Leibowitz e Myint si sono resi conto che potevano reclutare tutti i migliori ristoranti del pianeta e avrebbe a malapena scalfito la massa di 40 miliardi di tonnellate di emissioni annuali di anidride carbonica della Terra “Stiamo parlando dell’1 per cento dei ristoranti che acquistano dall’1 per cento delle fattorie”, spiega Myint. 

Ma se non si trattasse solo di ristoranti d’alta fascia? Se la soprattassa di Noma o Chez Panisse aiutasse a sequestrare 100 tonnellate di anidride carbonica all’anno, cosa potrebbe fare l’1 per cento del settore della ristorazione globale che arriva a 3 trilioni di dollari? E perché fermarsi ai ristoranti? E se si unissero le aziende che gestiscono le mense? E se ci fosse il consenso di marchi alimentari, ristoratori, hotel, catene di alimentari e giganti dell’agricoltura?

Christie Hemm Klok

Un progetto difficile da portare avanti

Dall’inizio, la coppia ha fatto molta strada. Nel 2008, Myint era un cuoco di linea al Bar Tartine dove vendeva a 5 dollari “PB & Js”, vale a dire pancetta di maiale e focacce jicama. Ben presto, con una folla fedele di fan, il tutto si è trasferito in uno squallido locale da asporto cinese e ha contribuito a creare l’idea dei ristoranti pop-up. Nel 2012 il libro della coppia Mission Street Food è diventato un bestseller e l’avamposto newyorkese del loro secondo ristorante, Mission Chinese Food, ha registrato file che ogni sera arrivavano a tre ore

Ma Leibowitz dice che è stata la nascita della loro figlia quell’anno che li ha ispirati a spingere sul pedale della sostenibilità radicale. Non potevano fare a meno di chiedersi: “Che tipo di mondo stiamo lasciando ad Aviva?”

L’anno successivo, Myint ha dato vita a Zero Foodprint con il giornalista gastronomico Chris Ying e Peter Freed, un esperto di sostenibilità. Quando Myint e Leibowitz cercavano il modo per ridurre le emissioni di carbonio per The Perennial, erano rimasti affascinati dal lavoro di un allevatore in particolare: John Wick, padre fondatore non ufficiale dell’agricoltura carbonica e cofondatore del Marin Carbon Project.

Durante una riunione, Wick aveva dichiarato che il lavoro di Zero Foodprint contro i gas serra dei ristoranti “era riduttivo”. Con i livelli di anidride carbonica a 417 parti per milione e in aumento – il più alto dal periodo del Pliocene che risale a 3 milioni di anni fa – non ci si poteva limitare a non inquinare l’aria. 

“E’ necessario rimuovere attivamente il carbonio atmosferico”, aveva continuato Wick che aveva spiegato anche come, fondamentalmente per caso, avesse identificato un modo molto produttivo per farlo: aggiungere il compost, una forma biologicamente stabile di carbonio, per avviare il processo, insieme al pascolo gestito del bestiame, che imita le abitudini delle mandrie migratorie ed erbe perenni, piante con radici profonde che, a differenza delle colture annuali, non mettono a contatto il carbonio all’ossigeno ogni volta che vengono coltivate.

Sulla questione c’è un acceso dibattito tra gli scienziati del suolo, ma Myint e Leibowitz si sono convertiti all’istante: hanno chiamato il loro nuovo ristorante The Perennial durante il viaggio di ritorno a casa. Wick alla fine presentò la coppia a una delle fattorie locali che praticava l’agricoltura rigenerativa, Stemple Creek Ranch (che produceva il manzo che in seguito servirono ai commensali), e si unì al consiglio di amministrazione della Perennial Farming Initiative.

A febbraio, prima della pandemia, ho incontrato Wick su insistenza di Myint. Eravamo nella Mill Valley di Marin County, una piccola città appena a nord del Golden Gate Bridge, mentre sua moglie, l’autrice per bambini Peggy Rathmann, era in città a fare una commissione. Ha spiegato che alla fine degli anni 1990 avevano comprato un “pezzo di deserto”: 540 acri nella vicina Nicasio. Nel 2003, un ecologo che avevano assunto, Jeff Creque, li aveva convinti a reintrodurre il bestiame. Entro cinque settimane le erbe autoctone erano fiorite di nuovo e le 250 mucche avevano guadagnato 50.000 libbre di peso extra. 

Wick era incuriosito da cosa stava succedendo nel terreno. Coinvolse l’esperto di biogeochimica della UC, a Berkeley, Whendee Silver, per analizzare il suolo in diverse dozzine di ranch di Marin. Quelli che spruzzavano letame avevano molto più carbonio nel loro terreno, il che mostrava come le pratiche agricole potessero fare la differenza, anche se non era il percorso migliore da seguire in generale (l’irrorazione di letame genera molte emissioni di carbonio). Dopo ulteriori approfondimenti si erano resi conto che l’uso del compost e delle altre tecniche di rigenerazione potevano a loro volta intrappolare il carbonio nel terreno.

In effetti ,i nuovi dati di un’analisi decennale dei pascoli ai piedi della Sierra, mostrano che quei siti hanno sequestrato una tonnellata in più di anidride carbonica ogni anno per 10 anni senza alcun intervento aggiuntivo. “Il sistema del suolo ha abbattuto il carbonio e garantito quell’energia, che aumenta l’acqua e promuove una maggiore crescita delle piante, permettendo una ulteriore rimozione di carbonio, che implica più acqua, che a sua volta favorisce una maggiore crescita delle piante: un fenomeno di autoalimentazione”, dice Wick. “Se attuato su larga scala potrebbe realmente abbassare la temperatura del pianeta”.

Per diffondere queste pratiche, Wick, Silver e Creque hanno dato vita al Marin Carbon Project, che da allora è diventato probabilmente il centro più importante al mondo per la ricerca sul carbonio nel suolo e l’agricoltura rigenerativa. Il documento più recente di Silver sul potenziale di prelievo del suolo prevede che il sequestro agricolo può abbassare le temperature globali di 0,26 °C prima del 2100 (l’accordo sul clima di Parigi ha un obiettivo di 1,5 °C). Un think tank del settore agricolo, il Rodale Institute, si sbilancia e stima che oltre il 100 per cento delle attuali emissioni annuali di carbonio della Terra potrebbe essere catturato passando a questo tipo di agricoltura.

Per chi ha fiducia in questo tipo di coltivazione, i numeri raccontano una storia inebriante. Stemple Creek, per esempio, utilizza tecniche in tutto il suo ranch per compensare le emissioni di carne bovina. Secondo i calcoli di Myint, il vantaggio ottenuto in un periodo di cinque anni da un’applicazione di compost corrisponde al risparmio di 1 milione di galloni di benzina. 

Non tutti sono così ottimisti, però.  Tim Searchinger, uno studioso del World Resources Institute, sostiene che i dati siano carenti. Ronald Amundson, un biogeochimico il cui ufficio è accanto al Silver’s a Berkeley, ritiene che la proposta sia poco realistica e che il metodo stesso preveda troppe variabili.

Un serio problema è il passaggio dalla teoria alla pratica. Affinché le aziende agricole adottino pratiche rispettose del clima, hanno bisogno di ristoranti che le garantiscano una ricompensa per farlo. Ma anche prima che la pandemia devastasse l’industria alimentare, gli chef operavano con margini di profitto sottili come un rasoio e, spesso, con contante sufficiente per una settimana. “Gli agricoltori sono sulla stessa barca”, afferma Tiffany Nurrenbern, direttore del programma Zero Foodprint. “In sostanza, l’onere di risolvere questo problema ricade su due dei gruppi sociali meno attrezzati per affrontarlo”.

È qui che entra in gioco Zero Foodprint. Controlla le emissioni di un ristorante e quindi aiuta a creare sistemi in cui i clienti pagano qualche centesimo in più per finanziare le sovvenzioni agricole. ZFP quindi smista i soldi verso gli agricoltori che necessitano di investimenti per adottare pratiche di agricoltura rigenerativa, migliorando il sistema “un pasto alla volta”.

Nuove regole per il business

Quando ha accettato il premio basco la scorsa estate, Myint ha chiarito che non si sentiva adatto a guidare una rivoluzione. “Ho iniziato nelle cucine per evitare di parlare con le persone”, ha detto al pubblico, che comprendeva decine di dignitari del mondo del cibo. Eppure, lui e Leibowitz trascorrono ora le loro giornate a discutere dei livelli di materia organica del suolo con marchi alimentari multinazionali e cercando di convertire le aziende tecnologiche della Silicon Valley all’agenda zero emissioni di carbonio. 

Prima della pandemia, Square, Salesforce, Stripe e il fornitore di venditori ambulanti Off the Grid si sono uniti e hanno accettato di convertire i loro programmi alimentari a zero emissioni di carbonio o sono in procinto di farlo. L’obiettivo è provocare un effetto domino che interrompa la catena di approvvigionamento alimentare globale. 

Per evitare un cambiamento climatico catastrofico, è chiaro che si deve raggiungere un punto in cui le concentrazioni di gas serra del pianeta iniziano a diminuire per la prima volta dall’era industriale. Ciò richiederà il controllo di gigatonnellate di emissioni. Project Drawdown, il rapporto più pubblicizzato su come raggiungere questo obiettivo, identifica 100 percorsi che, per un costo totale di 27 trilioni di dollari, potrebbero portare al traguardo entro il 2050 se adottati insieme. Il 40 per cento di queste soluzioni coinvolge cibo, agricoltura o uso del suolo.

L’anno scorso, gli americani hanno speso 1,7 trilioni di dollari in cibo e bevande. Per loro pagare un ulteriore 1 per cento, dice Myint, è “virtualmente trascurabile” e contribuirebbe notevolmente a mitigare i costi. Nel caso dei partner aziendali, chiedere alle aziende di dare 1/100 dei loro guadagni non è nemmeno una strategia filantropica perdente: One for the World1% for the Planet del fondatore del marchio Patagonia Yvon Chouinard e Pledge 1% del CEO di Salesforce Marc Benioff hanno migliaia di membri aziendali che hanno impegnato miliardi di dollari. 

Anche la cifra di 27 trilioni di dollari di Drawdown equivale a circa l’1 per cento del prodotto mondiale lordo. Gli investitori stanno iniziando a vedere un’opportunità di business. A gennaio, Starbucks ha definito un piano per un utilizzo “positivo delle risorse”, promettendo di investire in agricoltura rigenerativa. Burger King ha appena presentato un tortino di manzo a basso contenuto di metano. General Mills sta usando Kernza per promuovere un programma di riduzione del carbonio. 

La scorsa estate, Indigo Agriculture, una startup con sede a Boston, ha lanciato un’iniziativa che mira a rimuovere 1 trilione di tonnellate di carbonio dall’atmosfera attraverso l’agricoltura rigenerativa. Finora sono stati registrati 18 milioni di acri. In una conferenza all’inizio di quest’anno, Al Gore ha dichiarato  che l’agricoltura del carbonio è “una delle soluzioni più promettenti alla crisi climatica”, e l’ha adottata nella sua fattoria di 400 acri nel Tennessee. Un grande consorzio che include Indigo Ag ha già raccolto oltre 20 milioni di dollari per costruire un mercato per vendere crediti di carbonio per le coltivazioni.

Alcuni vedono già la formazione di una bolla di mercato. Il cofondatore del progetto Drawdown, Jonathan Foley, ha recentemente dichiarato a “Mother Jones” che è preoccupato che si sia iniziato a virare verso un “hype cicle della Silicon Valley”, vale a dire quella sequenza prevedibile in cui la tecnologia invade un campo e annuncia piani per rivoluzionarlo, ma in breve “tutti si rendono conto che le capacità di intervento sono sopravvalutate e non funzionerà.

Wick odia il pressapochismo. L’approccio del Marin Carbon Project è meticolosamente basato sui dati: Wick adora le tecniche mnemoniche “Misurare, mappare, modellare e monitorare da manager”. Al di là delle campagne pubblicitarie, mi ha detto, se “non misuri ogni forma di carbonio dentro e fuori dal sistema” difficilmente si può capire se quello che si sta facendo è buono o cattivo. Ma nessuno vuole sentirlo dire”.

Zero Foodprint offre strumenti per una maggiore precisione, egli continua. Elargisce agli agricoltori sovvenzioni per migliorare le loro capacità tecniche e ottenere l’accesso ad esperti che insegnano la metodologia. “Anthony è un genio”, mi ha detto. “Ha creato due percorsi davvero interessanti che permettono a ristoranti e avventori di partecipare attivamente a un movimento basato sulla scienza, supportato dal governo e implementato in tempo reale”.

Ma tornando al lato aziendale, Zero Foodprint suscita una risposta mista. Ci sono stati colloqui con grandi catene di ristoranti e aziende tecnologiche, e successi come gli accordi con Salesforce e Square. Ma altri hanno rifiutato. L’anno scorso, una delle aziende agricole associate a Zero Foodprint, Markegard Family Grass Fed, ha preso parte a un progetto pilota per la fornitura di carne bovina a emissioni di carbonio negative agli uffici del centro di San Francisco di Google, le cui mense preparano 7.000 pasti al giorno. 

“Alla gente piaceva che ci fosse una storia dietro”, ricorda uno dei proprietari Doniga Markegard. Ma il progetto è durato solo quattro settimane e Google ora afferma che ai dipendenti non verrà chiesto di tornare in ufficio almeno fino all’estate del 2021.Tutto ciò ha costretto Myint a riconsiderare i suoi piani. Oggi, la collaborazione di cui sembra più entusiasta non è con un’azienda da miliardi di dollari. È con il paese stesso.

“Un’enorme operazione di crowdfunding”

Zero Foodprint crede di poter costruire una cassa comune che – in teoria, comunque – finanzierà tutta la coltivazione del carbonio per cui c’è richiesta. Il piano prende il via dalla California e per questa ragione sono finito nel Mission District poco prima che entrasse in vigore il lockdown, nello showroom gremito di Bernal Cutlery, un lodato negozio di coltelli. I ristoratori e i responsabili della politica ambientale statale stavano mangiando ostriche mentre il resto di noi lottava per i gettoni di birra gratuiti a un gioco a quiz sul clima. 

Mi trovavo alla festa inaugurale di Restore California, la nuova iniziativa dello stato per la salute del suolo, parte del programma del governatore Gavin Newsom per far diventare il paese a emissioni zero entro il 2045. Il primo programma del suo genere negli Stati Uniti, raggruppa la soprattassa dell’1 per cento raccolta dai partner in tutto lo stato e utilizza i soldi per finanziare l’agricoltura rigenerativa nelle fattorie della California.

A metà serata Leibowitz è salita su una sedia sotto un muro di coltelli molto grandi. Come neofita del settore, ha detto, ho imparato rapidamente che fino alla metà delle emissioni di gas serra sono legate al sistema alimentare. “La notizia sorprendente”, ha aggiunto, “è che ci sono modi per coltivare cibo che assorbono questi gas. Ma ci vogliono soldi perché gli agricoltori apportino questi cambiamenti. Quindi abbiamo concepito una gigantesca operazione di crowdfunding per indirizzare il denaro all’adozione di soluzioni climatiche”.

Myint, che si trovava sulla sedia accanto, ha paragonato l’idea ai contributi per l’energia rinnovabile, in cui le società di servizi addebitano ai clienti 5 dollari al mese per migliorare l’insieme della rete elettrica. “In un paio d’anni, si è arrivati al 100 per cento di energia rinnovabile e questo rapido cambiamento non sarebbe mai accaduto senza il sistema in atto”, ha detto. “Restore California segue la stessa logica, solo che i partner addebitano un 1 per cento e lo utilizzano per migliorare la rete alimentare”.

Solo la soprattassa di Mission Chinese aveva già generato oltre 50.000 dollari. Quella notte Myint disse alla folla che un caseificio locale stava ricevendo una sovvenzione di 25.000 dollari che poteva potenzialmente portare 100 tonnellate di carbonio fuori dall’atmosfera ogni anno. Ma i commensali californiani non sono iscritti automaticamente a Restore California come invece accade nel caso della rete di energia. 

Zero Foodprint ha cercato di consolidare le partnership con i governi locali in tutto lo stato per colmare questa lacuna. Le discussioni con la contea di Sonoma sono iniziate a dicembre; i due distretti locali di conservazione hanno già in atto 18 piani di coltivazione del carbonio, “quindi essenzialmente c’è già un’unità d’intenti per utilizzare da subito i fondi”, dice Myint. 

Mentre i colloqui in corso con Sonoma e altre contee sono stati interrotti alla luce della pandemia, la contea di Boulder in Colorado ha appena lanciato un programma in collaborazione con Zero Foodprint modellato su Restore California. Chiamato Restore Colorado, si è trasformato in un “table-to-farm”, vale a dire in tavolate nelle fattorie, il progetto ha ricevuto una delle prime sovvenzioni per il compost e la conservazione.

Qualunque cosa accada, l’interesse di Myint e Leibowitz per l’agricoltura rigenerativa era, come la maggior parte di quanto intrapreso da loro, in anticipo sui tempi. Peter Freed, uno dei cofondatori di Zero Foodprint, afferma di aver potuto vedere gli ingranaggi scattare nella testa di Myint mentre lo chef lavorava sul foglio di calcolo che valutava l’impronta climatica di Mission Chinese Food.

Qualsiasi progresso deve ora avvenire sullo sfondo della pandemia di coronavirus, che ha devastato l’industria della ristorazione. Nuovi dati appena diffusi dalla National Restaurant Association mostrano che un sesto dei ristoranti statunitensi ha chiuso. Il quaranta per cento afferma di non poter durare altri sei mesi senza l’aiuto del governo, e per il resto sarà una strada ardua verso la ripresa. 

Una delle ultime vittime è l’avamposto newyorkese di Mission Chinese. Danny Bowien, che lo ha co-fondato con Myint e Leibowitz e ne è stato chef e proprietario, ha da poco annunciato che chiuderà definitivamente alla fine di settembre.

Ma forse il covid-19 è stato il catalizzatore perfetto per il cambiamento. Dopo l’inizio del lockdown californiano, ho chiesto a Myint come avrebbero gestito il periodo di crisi. Ha risposto che queste le situazioni difficili hanno un lato positivo: “non si deve aver paura del cambiamento”. Zero Foodprint ha trovato cinque nuovi partner ed è in stretto contatto con un gruppo di ristoranti a Denver. “Il settore sta partendo da zero”, conclude Myint. “ma le persone sono pronte a farsi carico degli impegni futuri”.

Foto: Karen Leibowitz e Anthony Myint al Mission Chinese Food di San Francisco. Il loro desiderio di affrontare il cambiamento climatico è aumentato dopo la nascita della figlia nel 2012.Christie Hemm KlokKaren Leibowitz e Anthony Myint al Mission Chinese Food di San Francisco. Il loro desiderio di affrontare il cambiamento climatico è aumentato dopo la nascita della figlia nel 2012. Christie Hemm Klok

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