Skip to main content

Una delle blockchain più grandi del mondo sta testando un nuovo modo per approvare le transazioni che decentralizza il sistema. La mossa ha richiesto molti anni. E non è priva di rischi

di Amy Castor

Lo scorso anno, il mercato degli NFT, certificati di “proprietà” sulle opere digitali, è arrivato a valere 44 miliardi di dollari. Questi valori così alti, hanno attirato molta attenzione su Ethereum, la rete blockchain su cui viene acquistata e venduta la maggior parte degli NFT. Un altro elemento che ha creato un dibattito vivace è l’enorme spreco di energia del mining di criptovalute. 

Le blockchain non hanno un gatekeeper centrale, come una banca, per verificare le transazioni. Invece, sia Bitcoin che Ethereum, le due più grandi piattaforme di criptovalute, si basano su un protocollo chiamato “proof of work” (PoW) che richiede un lavoro da eseguire, una prova, per mantenere un registro delle transazioni ordinato nel tempo. I minatori di criptovalute, cioè i computer partecipanti alla rete, sono al centro di questo processo.

Il decentramento ha un costo elevato. Nel caso della PoW, il prezzo è la potenza di calcolo in quanto mette i minatori l’uno contro l’altro, mentre competono per risolvere un difficile problema di matematica. Il minatore che risolve il problema per primo, aggiorna il libro mastro aggiungendo un nuovo blocco alla catena e riceve in cambio monete appena coniate. Ciò richiede un’enorme quantità di potenza di calcolo e, quindi, elettricità.

Secondo DigiconomistEthereum utilizza 113 terawattora all’anno, la stessa energia consumata dai Paesi Bassi. Una singola transazione Ethereum può richiedere la stessa quantità di energia utilizzata da una famiglia americana media in più di una settimana. Il consumo di energia di Bitcoin è ancora più sostenuto.

In questo momento il mondo sta affrontando una crisi energetica, che è in parte il motivo per cui la Cina ha vietato il mining di criptovalute l’anno scorso e perché paesi come il Kosovo e il Kazakistan, diventati piccoli hub di questo commercio, stanno tagliando l’elettricità ai minatori. Questi paesi hanno bisogno di energia per mantenere le loro attività in funzione e riscaldare le case. Inoltre, la PoW genera anche rifiuti elettronici. I server informatici specializzati utilizzati per il mining di criptovalute diventano spesso obsoleti in 1,5 anni e finiscono nelle discariche.

Il funzionamento di Ethereum ha altri inconvenienti: è terribilmente lento, con una media di 15 transazioni al minuto. E non ha dimensioni di scala. Nel 2017, CryptoKitties, un gioco in cui i si allevano e si scambiano gatti dei cartoni animati, ha causato un accumulo di transazioni sulla rete. Con tutti i soldi che le aziende di venture capital stanno mettendo nella Web3, un modello futuristico in cui le app funzioneranno tutte su blockchain decentralizzate, in gran parte alimentate dalla stessa Ethereum, è arrivato il momento il momento di prendere le distanze dalla PoW.

Nella prima metà del 2022, dovrebbe verificarsi il The Merge, ossia il trasferimento da parte di Ethereum dell’intera rete a un diverso meccanismo di consenso: la proof of stake (PoS), in cui viene  richiesto all’utente di dimostrare il possesso di un certo ammontare di criptovaluta. Questo nuovo sistema promette di utilizzare il 99% di energia in meno e dovrebbe consentire alla rete di agire su scala più vasta ed elaborare 1.000 transazioni al minuto.

Del passaggio di Ethereum al Proof of Stake si parla ormai da anni. “Pensavamo che ci sarebbe voluto un anno per implementare POS… ma in realtà ce ne sono voluti circa sei” , ha detto a “Fortune” il fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin, nel maggio del 2021. 

Come funziona la PoW

Bitcoin è stata la prima blockchain. Il suo creatore voleva eliminare il controllo delle terze parti, spesso grandi banche o stati, sui sistemi finanziari. In una blockchain in cui i partecipanti mantengono un registro condiviso, il creatore di Bitcoin doveva trovare un modo per impedire alle persone di provare a giocare con il sistema e utilizzare due volte le stesse monete. La PoW è stata una mossa intelligente: non era perfetta, ma ha funzionato abbastanza bene.

Richiedendo un investimento iniziale significativo, la “prova di qualcosa” impedisce ai malintenzionati di creare un gran numero di nodi virtuali apparentemente indipendenti e di utilizzarli per ottenere influenza sulla rete. In sostanza, se uno vuole giocare, deve pagare. Nella PoW di Bitcoin, l’investimento è l’hardware. Circa ogni 10 minuti, i minatori di Bitcoin competono per risolvere un enigma. Il vincitore aggiunge il blocco successivo alla catena e rivendica nuovi bitcoin sotto forma di ricompensa del blocco. Ma trovare la soluzione è come cercare di vincere una lotteria. Si devono risolvere problemi matematici in continuazione e più potente è il computer, più ipotesi si possono fare.

Le server farm in tutto il mondo sono interamente dedicate proprio a questo compito, lanciando trilioni di ipotesi al secondo. Inoltre, maggiore è l’operazione di mining, più grande è il risparmio sui costi e, di conseguenza, aumenta la loro quota di mercato. Questo processo va contro il concetto di decentramento perché qualsiasi sistema che utilizza la PoW verrà ricentralizzato naturalmente

Nel caso di Bitcoin, il meccanismo ha permesso a poche grandi aziende di controllare la rete. Fin dall’inizio della storia di Bitcoin, tuttavia, gli appassionati di criptovalute hanno cercato altri meccanismi di consenso che possano preservare un certo grado di decentramento e non siano così dispendiosi e distruttivi per il pianeta come la PoW.

Come funziona la PoS

La Proof of Stake, proposta per la prima volta l’11 luglio 2011 in un forum online chiamato BitcoinTalk, è stata una delle alternative più popolari. In effetti, avrebbe dovuto essere il meccanismo che proteggeva Ethereum dall’inizio, secondo il Whitepaper che inizialmente descriveva la nuova blockchain nel 2013. Ma, come ha osservato Buterin nel 2014, lo sviluppo di un tale sistema è sembrato talmente complesso da essere considerato quasi impossibile”. Quindi Ethereum è stata lanciata con un modello proof-of-work e si è messa al lavoro sviluppando un algoritmo proof-of-stake.

PoS elimina i minatori e li sostituisce con “validatori”. Invece di investire in server farm ad alto consumo energetico, si capitalizza nelle monete native del sistema. Per poter diventare dei validatori è necessario depositare una quota delle proprie criptovalute all’interno del network, impegnandola come una sorta di garanzia o deposito cauzionale. La quota depositata non può essere utilizzata o spesa. 

Nel sistema proof-of-stake verso il quale Ethereum si sta lentamente spostando, si devono accumula 32 ether, l’equivalente attuale di 100.000 dollari. Se non si dispone di questa somma, e non molte persone ce l’hanno, ci si può unire a uno staking servicein cui i partecipanti fungono da validatori insieme.

Un algoritmo seleziona un pool di validatori in base alla quantità di fondi che hanno depositato. Più si è investito, maggiori sono le possibilità di “vincere alla lotteria”. Se si viene scelto e il blocco di transazione è accettato da un comitato di attestatori – un gruppo di validatori scelti casualmente da un algoritmo – viene assegnato l’ether appena coniato.

I sostenitori di Ethereum affermano che un vantaggio chiave offerto dal PoS rispetto al PoW è l’incentivo economico a rispettare le regole. Se un nodo convalida transazioni o blocchi non validi, i validatori devono affrontare il “taglio”, il che significa che tutta la loro moneta digitale viene “bruciata”, ossia viene inviata a un indirizzo di portafoglio inutilizzabile in cui nessuno ha accesso alla chiave, rendendola effettivamente inutile per sempre.

Secondo i fautori del PoS, il sistema garantirebbe anche una maggiore sicurezza. Per attaccare una catena PoW, si deve disporre di più della metà della potenza di calcolo nella rete. Al contrario, con PoS, si deve controllare più della metà delle monete nel sistema. Di certo, un’impresa più problematica, anche se non impossibile. Il sistema PoS di Ethereum è già in fase di test sulla Beacon Chain, lanciata il primo dicembre del 2020. Finora sono stati puntati 9.500.000 ETH (37 miliardi di dollari al valore attuale). Il piano è di fonderlo con la catena principale di Ethereum nei prossimi mesi.

Dopo la fusione delle blockchain, Ethereum introdurrà lo sharding, un metodo per scomporre la singola blockchain di Ethereum in 64 catene separate, che saranno tutte coordinate dalla Beacon Chain. Le catene decentrate consentiranno l’elaborazione parallela, quindi la rete può agire su una scala maggiore e supportare molti più utenti di quanto non faccia attualmente.

Molti prevedono che ciò accadrà con il completamento ufficiale dell’aggiornamento di Ethereum 2.0, ma al momento non è previsto fino al 2023. Successivamente, una tecnica chiamata “rollup” accelererà le transazioni eseguendole fuori catena e inviando i dati alla rete principale di Ethereum.

Una mossa rischiosa

Niente di tutto questo avviene senza rischi. Il passaggio di Ethereum al PoS è un’impresa molto complessa. Migliaia di smart contract esistenti operano sulla catena Ethereum, con miliardi di dollari di asset in gioco. Inoltre, anche se lo staking non rappresenta un danno diretto per il pianeta come le server farm, i critici sottolineano che PoS non è più efficace di PoW nel mantenere il decentramento. Coloro che scommettono più soldi guadagnano di più.

Inoltre, PoS non ha raggiunto ancora le dimensioni di scala delle piattaforme di PoW. Bitcoin è in circolazione da oltre un decennio. Diverse altre catene utilizzano la PoW, tra cui Algorand, Cardano e Tezos, ma questi sono piccoli progetti rispetto a Ethereum. Quindi nuove vulnerabilità potrebbero emergere una volta che il nuovo sistema sarà in versione estesa.

Mentre Ethereum passa al suo nuovo protocollo, un altro rischio è che un gruppo di minatori scontenti possa decidere di creare una catena concorrente. Tutti i contratti intelligenti, le monete e gli NFT esistenti sulla catena corrente verrebbero automaticamente riproposti sulla catena duplicata. Qualcosa di simile è successo nel 2016, dopo che gli sviluppatori di Ethereum hanno ripristinato la blockchain per rispondere a un serio attacco informatico. 

Si crearono due Ethereum: Ethereum Classic e quella che abbiamo oggi. Se succede di nuovo, il successo (e il potere minerario) dietro qualsiasi versione concorrente di Ethereum dipenderà dal valore della sua moneta nei mercati aperti. La domanda è: il suo nuovo sistema manterrà tutte le promesse? E quanto sarà davvero decentralizzato? Se una blockchain pubblica non è decentralizzata, che senso ha consumare enormi quantità di energia o investire dei capitali, per mantenere in vita un’illusione.

(rp)