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In prossimità dell’incontro di Parigi, le scoraggianti previsioni atmosferiche abbattono l’ottimismo verso gli impegni presi dai vari paesi.

di Richard Martin

Con l’imminente incontro fra diplomatici e politici, fissato il 30 novembre a Parigi, il prossimo round di negoziazioni internazionali sul tema del cambiamento ambientale sembra presentare un nuovo elemento: ottimismo. Per la prima volta dall’adozione del Protocollo di Kyoto nel 1997, molti analisti e stakeholder credono che si possa realmente giungere ad un accordo preciso per ridurre le emissioni di gas serra che già stanno provocando drammatici cambiamenti nel clima del pianeta.

Questa fiducia nasce, in parte, dagli impegni volontariamente presi da alcuni dei paesi che parteciperanno al summit. Essendo il 21° incontro fra nazioni dal lancio del Framework on Climate Change delle Nazioni Unite nel 1994, il summit di Parigi dovrebbe portare ad un accordo per la definizione di limiti concreti alle emissioni di gas serra dei paesi partecipanti – una pietra miliare, anche se non nella forma di un trattato vincolante dal punto di vista legale.

Eccezion fatta per l’India, i principali paesi del mondo hanno annunciato traguardi per la riduzione delle proprie emissioni di anidride carbonica. Conosciuti come gli “intended nationally determined contributions”, o INDC, questi impegni sono stati presi da 161 paesi che, assieme, coprono all’incirca il 93 percento delle emissioni globali.

Sfortunatamente, questi impegni non bastano a limitare l’aumento delle temperature globali di 2 °C – la soglia entro la quale occorrerà rimanere per scongiurare catastrofiche conseguenze economiche e sociali, stando all’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite. I contributi nazionali “fletteranno la curva delle emissioni fino a un incremento delle temperature di circa 3 °C entro la fine del secolo”, ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon in occasione del Gruppo dei 20, il forum internazionale per le principali economie del mondo. “Questo è certamente un progresso significativo, ma non basta”.

Stando al Climate Scoreboard prodotto dalla Climate Interactive, un gruppo di ricerca no profit e nonpartisan di Washington, D.C., gli impegni nazionali dovrebbero limitare di 3.5 °C il riscaldamento da qui al 2100, pressappoco la metà rispetto alle previsioni effettuate nel caso in cui dovessimo procedere senza interventi.

“Possiamo immaginare come un accordo a Parigi potrebbe avvicinarci al traguardo, e come le conferenze successive ed ulteriori progressi potrebbero davvero portarci al target dei 2 °C”, dice lo scienziato climatico Michael Mann, direttore del Earth Systems Science Center della Penn State University.

Questa è la visione ottimistica. Esiste però un piccolo problema riguardo gli impegni presi dai vari paesi: sono, di fatto, impegni presi senza alcun trattato vincolante o penalità per incentivarne il mantenimento. Questo difetto fondamentale è stato evidenziato dal segretario di stato degli Stati Uniti, John Kerry, che in una intervista della scorsa settimana con il Financial Times ha precisato come un qualunque accordo preso a Parigi “non sarà in alcun modo un trattato”, e non includerà traguardi marcati da vincoli legali. I leader europei, che in risposta all’opposizione da parte dei paesi in via di sviluppo e degli Stati Uniti hanno richiesto piani esecutivi, si sono allarmati a seguito delle dichiarazioni di Kerry.

Ciononostante, la disponibilità di paesi come Cina, Stati Uniti e Russia ad agire per ridurre le proprie emissioni costituisce una opportunità per andare oltre le discussioni che ad oggi hanno rallentato il progresso sul tema del cambiamento climatico. “Uno degli aspetti positivi, almeno, è che le persone stanno parlando di numeri precisi, cosa che non era mai stata fatta in precedenza”, dice Martin Weitzmann, un professore di economia ad Harvard che studia le conseguenze ambientali ed economiche del cambiamento climatico. “I paesi stanno per impegnarsi a ridurre le emissioni di gas serra. Questo è il primo passo per qualunque cosa”.

(MO)