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Tecnologie migliori, unite a tecniche più precise e alla maggiore condivisione dei dati hanno permesso di condurre esperimenti innovativi o, semplicemente, effettuare un maggior numero di test.

di James Temple

Fino a pochi anni fa si pensava che nessun evento atmosferico estremo fosse riconducibile al cambiamento climatico. Oggi, però, gli scienziati sostengono che l’operato umano possa realmente aver provocato o peggiorato determinate siccità o uragani.

Una delle ragioni principali dietro questo cambiamento sta nel fatto che la scienza dei modelli climatici sta diventando sempre più potente grazie alle innovazioni nelle tecnologie, nelle tecniche e nella condivisione dei dati che permettono ai ricercatori di condurre esperimenti innovativi o, semplicemente, sviluppare un maggior numero di modelli.

I modelli climatici sono sofisticate simulazioni al computer che stimano approssimativamente la reazione del pianeta a varie forze, come un incremento nei livelli di anidride carbonica. Permettono di scomporre oceani, superficie terrestre e atmosfera in blocchi tridimensionali e calcolare come condizioni variabili vengono registrate nell’arco del tempo e dello spazio.

I più semplici incrementi nella capacità di calcolo hanno contribuito a gran parte dei miglioramenti nella qualità dei modelli. Ciascun blocco tridimensionale rappresenta all’incirca 500 km2 del pianeta nel 1990. Per alcuni dei modelli con la più elevata risoluzione, inclusi l’E3SM del DoE, l’MRI del Giappone e l’FGOALS cinese, i blocchi rappresentano una porzione inferiore ai 25 km2. La risoluzione aumenta ulteriormente per alcune applicazioni, quali la modellazione degli uragani.

I primi modelli climatici, risalenti agli anni ’60, si concentravano sull’atmosfera; oggi vengono tenute in considerazione superfici emerse, ghiaccio nel mare, aerosol, ciclo del carbonio, vegetazione e composizione chimica dell’atmosfera. Ultimamente, alcuni modelli hanno cominciato a incorporare il cambiamento nel comportamento degli esseri umani in risposta al cambiamento climatico, migrazione e deforestazione incluse.

Ulteriori progresso nella qualità dei modelli climatici sono il risultato di trent’anni di sforzi effettuati sotto le guide del World Climate Research Programme, che prendono il nome di Coupled Model Intercomparison Project (CMIP). Attraverso questo programma, gli istituti di ricerca sono tenuti a condurre un insieme comune di esperimenti con un insieme comune di input e condividere pubblicamente i risultati così ottenuti.

I petabyte di dati generati durante questi esperimenti hanno permesso ai ricercatori del mondo di condurre studi più approfonditi sui settori di interesse senza doversi affidare esclusivamente alla potenza di calcolo di qualche supercomputer.

L’abbondanza di dati ha anche permesso agli scienziati di comparare i risultati dei molteplici modelli fra loro e con i cambiamenti climatici osservati nel mondo reale. Hanno quindi potuto determinare quali modelli funzionavano meglio e rivelato eventuali difetti nelle loro osservazioni. “Gli istituti di ricerca hanno così testato nuove ipotesi, affinando ulteriormente i modelli e migliorando la loro comprensione dei processi naturali”, spiega Noah Diffenbaugh, un professore di scienza dei sistemi della terra a Stanford.

National Center for Atmospheric Research

Il modello utilizzato al MIT da Kerry Emanuel ha sfruttato dati messi a disposizione da sette modelli distinti per alimentare una simulazione incentrata sugli uragani nel tentativo di calcolare le probabilità che una tempesta della portata dell’Uragano Harvey possa colpire nuovamente il Texas. Esaminando due periodi ventennali attraverso una serie di scenari differenti per le emissioni di gas serra, Emanuel ha scoperto che un evento in grado di manifestarsi una volta ogni 100 anni alla fine del 20° secolo potrebbe arrivare a manifestarsi una volta ogni 5,5 anni entro la fine di questo secolo.

Nonostante tutti questi progressi, persino un blocco da 25 km2 continua a essere troppo grande per catturare processi in scala ridotta quali il comportamento delle singole nuvole; e gli scienziati sono ben consapevoli che i loro modelli non rappresentano i più complessi processi naturali. Per questo motivo tendono a parlare genericamente in termini di possibili scenari per il cambiamento climatico, e gli eventi nel mondo reale possono ancora verificarsi al di fuori dei confini previsti.

“Le proiezioni sono ancora incerte, e la cosa ci disturba profondamente”, dice Emanuel.

(MO)