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Con la progressiva ripresa delle relazioni interpersonali, che erano state congelate dal Coronavirus, abbiamo chiesto al mediologo Derrick de Kerkhove una valutazione di quanto sta avvenendo, con riferimento ai problemi connessi alla digitalizzazione della comunicazione.

di Derrick de Kerckhove

Alla fine di marzo, poco dopo l’inizio del cosiddetto “distanziamento” conseguente alla epidemia di Coronavirus, abbiamo pubblicato un preoccupato intervento di Derrick de Kerkhove, già collaboratore di Marshall McLuhan e docente delle Università di Toronto e di Napoli Federico II, in merito ai rischi del “distacco sociale” che «sta riorganizzando le nostre vite sensoriali riducendo la necessità di contatto, di mobilità, di trasporto». A distanza di oltre due mesi da quel primo intervento, e con la progressiva ripresa delle relazioni faccia a faccia, sia nel lavoro, sia nel tempo libero, gli abbiamo chiesto una ulteriore valutazione di quanto è avvenuto nel frattempo. Questa è la sua risposta, con specifico riferimento ai nuovi mezzi e metodi di interfacciamento digitale, che se da un lato tengono a distanza, dall’altro lato creano nuove opportunità di relazione e di confronto.

Oltre a incoraggiare incontri faccia-a-faccia più frequenti e più piacevoli con amici che per anni non si ritrovano mai, ho avuto l’impressione con Zoom o Teams e anche con Skype (però meno usato per conferenze e corsi) di trovarmi in contatto professionale, intellettuale o amicale spesso più stretto e più individuale (più civile, rispettoso e mutuale) che in aula.

Con Zoom si realizza un contatto visivo con 25 persone allo stesso tempo, migliore che con 15 persone in aula. Inoltre, tutto il tempo che si perderebbe per andare a tenere corsi di qua e di là, può venire utilizzato per incontri personali o professionali più pertinenti.

Non sto svalutando la importanza delle relazioni faccia a faccia, però appare chiaro come ogni modo di comunicazione presenti i suoi vantaggi, che sono diversi e non reciprocamente esclusivi.

Perciò in futuro conto sulla possibilità d’insegnare combinando il modo “in presenza” e il modo “a distanza”, senza considerarmi un profeta della trasformazione digitale in corso, che comunque considero inevitabile e non completamente priva di ragioni.

(gv)