Come superare lo stress mentale da pandemia

La diffusione del covid-19 ha creato situazioni difficili da fronteggiare per il nostro equilibrio mentale, dalle quali è possibile uscire solo con la creazione di in un ambiente che presenti il maggior numero possibile di stimoli e interazioni con gli altri.

di Dana Smith

La promiscuità è tornata. O almeno questo è ciò che gli inserzionisti vogliono farci credere. Uno  spot per le gomme da masticare, le  cui vendite sono crollate nel 2020 perché nessuno si cura dell’alito se indossa una mascherina, descrive la fine della pandemia come una bolgia di persone che si abbracciano per le strade e pomiciano nei parchi. 

La realtà è un po’ diversa. Gli americani stanno lentamente uscendo dalla pandemia, ma si ritrovano con una serie di traumi da elaborare. Non sono cambiati solo le famiglie, le comunità e i lavori, ma  anche il nostro modo di pensare. Non siamo le stesse persone che eravamo 18 mesi fa. 

Durante l’inverno del 2020,  oltre il 40 per cento degli americani ha riportato sintomi di ansia o depressione, il doppio rispetto all’anno precedente. Questo numero è sceso al 30 per cento nel giugno del 2021 con l’aumento delle vaccinazioni e la diminuzione dei casi di covid-19, ma ancora quasi un americano su tre è alle prese con problemi per la propria salute mentale. Oltre ai sintomi diagnosticabili, molte persone hanno riferito di aver sperimentato la nebbia cognitiva, ossia dimenticanze, difficoltà di concentrazione e confusione generale. 

Ora la domanda è: il nostro cervello può recuperare lo stress?

Come reagisce il cervello

Ogni esperienza cambia il cervello, con la comparsa di nuove sinapsi, le connessioni tra le cellule cerebrali, o con la perdita di quelle esistenti. Questo fenomeno è noto come neuroplasticità ed è il modo in cui il cervello si sviluppa durante l’infanzia e l’adolescenza. La neuroplasticità è il modo in cui continuiamo a imparare e a creare ricordi anche nell’età adulta, sebbene il nostro cervello diventi meno flessibile man mano che invecchiamo. Il processo è vitale per l’apprendimento, la memoria e l’attività cerebrale sana in generale.

Lo stress, qualcosa che quasi tutti hanno sperimentato durante la pandemia, non solo può distruggere le sinapsi esistenti, ma anche inibire la crescita di quelle nuove con il rilascio di ormoni chiamati glucocorticoidi, in particolare il cortisolo. A piccole dosi, i glucocorticoidi aiutano il cervello e il corpo a rispondere a un fattore di stress, modificando la frequenza cardiaca, la respirazione, lo stato infiammatorio e altro per aumentare le probabilità di sopravvivenza. 

Una volta che il fattore di stress è sparito, i livelli ormonali diminuiscono. Con lo stress cronico, tuttavia, il cervello rimane inondato di sostanze chimiche. A lungo termine, livelli elevati di glucocorticoidi possono causare cambiamenti che possono portare a depressione, ansia, dimenticanza e disattenzione. 

Gli scienziati non sono stati in grado di studiare direttamente questi tipi di cambiamenti fisici del cervello durante la pandemia, ma possono  dedurli  dai numerosi sondaggi sulla salute mentale condotti negli ultimi 18 mesi e da ciò che sanno sullo stress e sul cervello da anni di ricerche precedenti.

Per esempio,  uno studio ha dimostrato che le persone che hanno sperimentato fattori di stress finanziario, come la perdita del lavoro o l’insicurezza economica, durante la pandemia avevano maggiori probabilità di sviluppare la depressione. Una delle aree del cervello più colpite dallo stress cronico è l’ippocampo, importante sia per la memoria che per l’umore. La preoccupazione per le difficoltà economiche avrebbero inondato l’ippocampo di glucocorticoidi per mesi, danneggiando le cellule, distruggendo le sinapsi e, infine,  restringendo la regione. Un ippocampo più piccolo è uno dei segni distintivi della depressione. 

Lo stress cronico può anche alterare la corteccia prefrontale, il centro di controllo esecutivo del cervello, e l’amigdala, il fulcro della paura e dell’ansia. Troppi glucocorticoidi per un lugo periodo possono compromettere le connessioni sia all’interno della corteccia prefrontale che tra questa e l’amigdala. Di conseguenza, la corteccia prefrontale perde la sua capacità di controllare l’amigdala, lasciando incontrollato il centro della paura e dell’ansia. 

Questo modello di attività cerebrale (troppa azione nell’amigdala e comunicazione insufficiente con la corteccia prefrontale) è comune nelle persone che soffrono di disturbo da stress post-traumatico (PTSD), un’altra condizione che è aumentata durante la pandemia, in  particolare tra il personale sanitario in prima linea.

L’isolamento sociale causato dalla pandemia è stato probabilmente dannoso anche per la struttura e la funzione del cervello. La solitudine è stata collegata a un volume ridotto dell’ippocampo e dell’amigdala, nonché a una minore connettività nella corteccia prefrontale. Non è quindi sorprendente che le persone che hanno vissuto da sole durante la pandemia abbiano sperimentato tassi più elevati di depressione e ansia.

Infine, il danno a queste aree del cervello colpisce le persone non solo a livello emotivo, ma anche cognitivo. Molti psicologi hanno attribuito la nebbia cognitiva all’impatto dello stress cronico sulla corteccia prefrontale, con relative compromissioni della concentrazione e della memoria di lavoro.

E’ il momento di cambiare strada

Ma ci sono anche buone notizie. Per molte persone, il cervello può recuperare spontaneamente la sua plasticità una volta che lo stress se ne va. Se la vita inizia a tornare alla normalità, potrebbe farlo anche il nostro cervello. “In molti casi, i cambiamenti che si verificano con lo stress cronico in realtà diminuiscono nel tempo”, afferma James Herman, professore di psichiatria e neuroscienze comportamentali presso l’Università di Cincinnati. “A livello del cervello, si può vedere un’inversione di molti di questi effetti negativi”. 

Gli ormoni dello stress si ritireranno man mano che le vaccinazioni continueranno e l’ansia di morire per un nuovo virus (o di uccidere qualcun altro) diminuirà. E mentre ci si avventura di nuovo nel mondo, tutte le piccole cose che ci rendevano felice o ci sfidavano in modo positivo lo faranno di nuovo, aiutando il cervello a risanare le connessioni perse che quei comportamenti avevano costruito una volta. Per esempio, mentre l’isolamento sociale fa male al cervello, l’interazione sociale lo aiuta. Le persone con reti sociali più grandi hanno più volume e  connessioni nella corteccia prefrontale, nell’amigdala e in altre regioni del cervello. 

Anche se non si ha ancora voglia di socializzare di nuovo, sarebbe meglio forzarsi a farlo. Nella cura di alcune malattie mentali, c’è una tecnica definita “attivazione comportamentale”, che enfatizza l’uscire e fare le cose anche se non se ne ha voglia. All’inizio, non si provano le stesse sensazioni di gioia o divertimento che si provavano andando al bar o facendo un barbecue in giardino, ma se si è costanti queste attività spesso inizieranno a sembrare più facili e possono aiutare a mitigare la depressione.

Rebecca Price, professore associato di psichiatria e psicologia dell’Università di Pittsburgh, afferma che l’attivazione comportamentale potrebbe funzionare arricchendo l’ambiente che ci circonda e portando, secondo gli scienziati, alla  crescita di nuove cellule cerebrali, almeno nei modelli animali.

“Il cervello reagirà all’ambiente che lo circonda, quindi se si trova in un ambiente deprivato perché si è rimasti bloccati a casa da soli, ciò probabilmente causerà alcune diminuzioni nei percorsi disponibili”, spiega Price. “Se si crea per se stessi un ambiente con più input, interazioni e stimoli possibili, allora la risposta del cervello sarà positiva. Quindi alzatevi dal divano e andate a visitare un museo, un giardino botanico o partecipate a un concerto all’aperto. Il cervello vi ringrazierà”.

Anche l’esercizio fisico può aiutare. Lo stress cronico riduce i livelli di un’importante sostanza chimica chiamata fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), che aiuta a promuovere la neuroplasticità. Senza BDNF, il cervello è meno in grado di riparare o sostituire le cellule e le connessioni perse a causa dello stress cronico. L’esercizio fisico aumenta i livelli di BDNF, specialmente nell’ippocampo e nella corteccia prefrontale, il che spiega almeno in parte perché l’esercizio può migliorare sia l’attenzione che l’umore. 

Il BDNF non solo aiuta la crescita di nuove sinapsi, ma può anche aiutare a produrre nuovi neuroni nell’ippocampo. Per decenni, gli scienziati hanno pensato che la neurogenesi nell’uomo si fermasse dopo l’adolescenza, ma recenti ricerche hanno mostrato segni di crescita dei neuroni anche in età avanzata (sebbene la scoperta sia ancora contestata).

Indipendentemente dal fatto che funzioni o meno attraverso la neurogenesi, è stato dimostrato più volte che l’esercizio migliora l’umore, l’attenzione e la cognizione delle persone; alcuni terapisti lo prescrivono persino per curare la depressione e l’ansia. È ora di uscire e iniziare a sudare.

La terapia aiuta

Ci sono molte variazioni nel modo in cui il cervello delle persone si riprende dallo stress e dai traumi, e non tutti si riprenderanno così facilmente dalla pandemia. “Alcune persone sembrano essere più vulnerabili a entrare in uno stato cronico in cui rimangono bloccate in qualcosa di simile alla depressione o all’ansia”, afferma Price. In queste situazioni, potrebbe essere necessaria una terapia o un farmaco.

Alcuni scienziati ora pensano che la psicoterapia per la depressione e l’ansia funzioni almeno in parte  modificando l’attività cerebrale e attivando nuovi schemi. Un articolo scientifico  che ha valutato la psicoterapia per diversi disturbi d’ansia ha scoperto che il trattamento era più efficace nelle persone che mostravano più attività nella corteccia prefrontale dopo diverse settimane di terapia rispetto a prima, in particolare quando l’area esercitava il controllo sul centro della paura del cervello. 

Altri ricercatori stanno cercando di modificare l’attività cerebrale delle persone usando i videogiochi. Adam Gazzaley, professore di neurologia dell’Università della California, a San Francisco, ha sviluppato il primo gioco di allenamento del cervello a ricevere l’approvazione della FDA per la sua capacità di trattare l’ADHD nei bambini. È stato anche dimostrato che il gioco  migliora la capacità di attenzione  negli adulti. Inoltre, gli studi EEG hanno rivelato una maggiore connettività funzionale che coinvolge la corteccia prefrontale, suggerendo un aumento della neuroplasticità nella regione.

Ora Gazzale vuole usare il gioco per curare le persone che presentano sintomi di nebbia cognitiva post virus. “Pensiamo che in termini di ripresa dal covid siamo di fronte a un’incredibile opportunità”, dice. Mentre gli effetti dei giochi di allenamento del cervello sulla salute mentale e sulla neuroplasticità sono ancora oggetto di dibattito, ci sono abbondanti prove dei benefici dei farmaci psicoattivi. 

Nel 1996, la psichiatra Yvette Sheline, ora professoressa all’Università della Pennsylvania, fu la prima a dimostrare che le persone con depressione avevano ippocampi significativamente più piccoli rispetto alle persone non depresse e che la dimensione di quella regione del cervello era correlata a quanto tempo e quanto gravemente erano stati depressi. Sette anni dopo, ha scoperto che se le persone con depressione assumevano antidepressivi, avevano una minore perdita di volume nella regione.

Questa scoperta ha  cambiato le prospettive di molti ricercatori  su come gli antidepressivi tradizionali, in particolare gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI), aiutano le persone con depressione e ansia. Come suggerisce il nome, gli SSRI prendono di mira la serotonina neurochimica, aumentandone i livelli nelle sinapsi. La serotonina è coinvolta in diverse funzioni corporee di base, tra cui la digestione e il sonno.

Aiuta anche a regolare l’umore, e gli scienziati da tempo pensavano che fosse così che i farmaci funzionavano come antidepressivi. Tuttavia, ricerche recenti suggeriscono che gli SSRI possono anche avere un effetto neuroplastico, aumentando il BDNF, specialmente nell’ippocampo, che potrebbe aiutare a ripristinare la funzione cerebrale sana nell’area. Uno dei più recenti antidepressivi approvati negli Stati Uniti, la ketamina, sembra anche aumentare i livelli di BDNF e promuovere la crescita delle sinapsi nel cervello, fornendo ulteriore supporto alla teoria della neuroplasticità. 

La prossima frontiera della ricerca farmaceutica per la malattia mentale coinvolge gli psichedelici sperimentali come l’MDMA e la psilocibina, l’ingrediente attivo dei funghi allucinogeni. Alcuni ricercatori pensano che questi farmaci aumentino a loro volta la plasticità nel cervello e, se abbinati alla psicoterapia, possano essere un trattamento potente.

Non tutti i cambiamenti al nostro cervello dell’anno passato sono negativi. Il neuroscienziato David Eagleman, autore del libro  Livewired: The Inside Story of the Ever-Changing Brain, afferma che alcuni di questi cambiamenti potrebbero effettivamente essere stati utili. Spingendoci fuori dalle nostre routine, la pandemia potrebbe aver causato l’adattamento e la crescita del nostro cervello in modi nuovi.

Se non avessimo vissuto il 2020, dice Eagleman, avremmo ancora un vecchio modello interno del mondo e non avremmo spinto il nostro cervello a fare i cambiamenti che si sono verificati. Dal punto di vista delle neuroscienze, questa è la cosa più importante che può accadere: una sfida costante, la costruzione di nuovi percorsi, la scoperta di prospettive diverse del mondo”.

Sei consigli per stare meglio

Mentre il cervello di ognuno è diverso, provate queste attività per dare al cervello le migliori possibilità di riprendersi dalla pandemia.

1. Uscire e socializzare. Le persone con reti sociali allargate hanno più volume e  connettività nella corteccia prefrontale , nell’amidgala e in altre regioni del cervello.

2. Provare ad allenarsi. L’esercizio aumenta i livelli di una proteina chiamata BDNF che aiuta a promuovere la neuroplasticità e può anche contribuire alla crescita di nuovi neuroni.

3. Parlare con un terapeuta. La terapia può aiutare a vedere se stessi da una prospettiva diversa e cambiare gli schemi di pensiero insieme agli schemi cerebrali.

4. Arricchire l’ambiente. Spezzare la routine pandemica e stimolare il cervello con una gita al museo, una visita al giardino botanico o un concerto all’aperto.

5. Prendere dei farmaci, ma dietro prescrizione. Si ritiene che sia i classici farmaci antidepressivi, come gli SSRI, sia quelli più sperimentali come la ketamina e gli psichedelici, agiscano in parte aumentando la neuroplasticità.

6. Rafforzare la corteccia prefrontale esercitando l’autocontrollo. Se non si ha accesso a un videogioco per aumentare l’attenzione (approvato dalla FDA), la meditazione può avere un beneficio simile. 

Immagine di: Nicolas Ortega

(rp)

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