Come sottrarre i nostri dati alle Big Tech 

Nell’ambito della legalità, si possono intraprendere una serie di azioni per difendere la nostra privacy e cambiare il modo di agire delle grandi aziende tecnologiche. 

di Karen Hao

Ogni giorno, qualsiasi utente lascia una scia di “briciole” digitali che i giganti della tecnologia usano per capire come si muove. Quando si invia un’e-mail, si ordina del cibo, si prenota un biglietto per uno spettacolo, vengono generati preziosi pacchetti di dati per migliorare la comprensione delle preferenze dell’utente, che vengono inseriti negli algoritmi di apprendimento automatico per lanciare annunci e consigli. Google utilizza questi dati per guadagnare oltre 120 miliardi di dollari all’anno di entrate pubblicitarie.

Nel 2019 Kashmir Hill, allora giornalista di Gizmodo, ha cercato di tenere fuori cinque giganti della tecnologia dalla sua vita. Ha passato sei settimane di infelicità, impegnata in una lotta strenua per eseguire le funzioni digitali di base. I giganti della tecnologia, nel frattempo, non ne hanno risentito minimamente.

Ora i ricercatori della Northwestern University stanno suggerendo nuovi modi per correggere questo squilibrio e poter trattare i nostri dati collettivi come una merce di scambio. I giganti della tecnologia possono avere algoritmi fantasiosi a loro disposizione, ma sono privi di significato senza i giusti dati su cui allenarsi.

In un nuovo documento che la prossima settimana sarà presentato alla conferenza Fairness, Accountability, and Transparency dell’Association for Computing Machinery, i ricercatori, tra cui i dottorandi Nicholas Vincent e Hanlin Li, propongono tre modi in cui il pubblico può sfruttare la situazione a proprio vantaggio:

– Scioperi sui dati, che implica la sospensione o l’eliminazione dei dati in modo che un’azienda tecnologica non possa utilizzarli, per esempio lasciando una piattaforma o installando strumenti per la privacy.

– Avvelenamento dei dati, vale a dire la fornitura di dati privi di significato o dannosi. AdNauseam, per esempio, è un’estensione del browser che fa clic su ogni singolo annuncio offerto all’utente, confondendo così gli algoritmi di targeting degli annunci di Google.

– Contributo consapevole dei dati, ossia la fornitura di dati significativi al concorrente di una piattaforma a cui si vuole far arrivare una protesta, per esempio caricando le foto di Facebook su Tumblr.

Le persone usano già alcune di queste tattiche per proteggere la propria privacy. Se si è mai utilizzato un blocco degli annunci o un’altra estensione del browser che modifica i risultati di ricerca per escludere determinati siti Web, si è già intrapresa questa strada. Ma come ha scoperto Hill, azioni individuali sporadiche come queste non inducono i giganti della tecnologia a cambiare i loro comportamenti.

Ma se milioni di persone dovessero coordinarsi per “avvelenare” alla fonte i dati di un gigante della tecnologia? L’effetto potrebbe essere molto differente. Ci sono già alcuni esempi. A gennaio, milioni di utenti hanno cancellato i loro account WhatsApp e sono passati a concorrenti come Signal e Telegram dopo che Facebook ha annunciato che avrebbe iniziato a condividere i dati di WhatsApp con il resto dell’azienda. L’esodo ha indotto Facebook a ritardare i cambiamenti proposti.

Questa settimana, Google ha annunciato che avrebbe smesso di tracciare gli utenti sul Web e di indirizzare loro gli annunci. Sebbene non sia chiaro se si tratti di un cambiamento reale o solo di un rebranding, afferma Vincent, è possibile che il maggiore utilizzo di strumenti come AdNauseam abbia contribuito a tale decisione, indebolendo l’efficacia degli algoritmi dell’azienda. Vincent e Li pensano che queste campagne possano anche vedere la partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori nel movimento per resistere alla Big Tech.

Anche gli esperti di informatica potrebbero svolgere un ruolo importante nella creazione di altri strumenti come AdNauseam, per esempio, che aiuterebbero ad allargare la partecipazione a questo tipo di azioni di contrasto. Anche i politici potrebbero contribuire. Gli scioperi sui dati sono più efficaci se sostenuti da leggi severe sulla privacy dei dati, come il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione europea (GDPR), che offre ai consumatori il diritto di richiedere la cancellazione dei propri dati. Senza tale regolamentazione, è più difficile garantire che un’azienda tecnologica offra la possibilità la possibilità all’utente di pulire i suoi record digitali, anche se rimuove il suo account.

Restano comunque alcune domande a cui rispondere. Di quante persone ha bisogno uno sciopero dei dati per danneggiare l’algoritmo di un’azienda? Che tipo di dati sarebbero più efficaci nell’avvelenare un particolare sistema? In una simulazione che coinvolge un algoritmo di raccomandazione di film, per esempio, i ricercatori hanno scoperto che se il 30 per cento degli utenti scioperasse, potrebbe ridurre la precisione del sistema del 50 per cento. 

Ma ogni sistema di apprendimento automatico è diverso e le aziende li aggiornano costantemente. I ricercatori sperano che più persone nella comunità dell’apprendimento automatico possano eseguire simulazioni simili di sistemi di aziende diverse e identificare le loro vulnerabilità.

Ali Alkhatib, un ricercatore del Center for Applied Data Ethics dell’Università di San Francisco, suggerisce che gli studiosi dovrebbero fare più ricerche su come portare avanti l’azione collettiva sui dati. “Non è semplice”, egli dice. “Far sì che gli utenti agiscano in modo coordinato. Si tratta di tenere insieme un gruppo di persone che magari utilizzano un motore di ricerca per cinque secondi e farle sentire parte di una comunità in lotta per difendere i propri diritti”.

Nel complesso, Vincent, Li e Alkhatib sono ottimisti sul fatto che la leva dei dati potrebbe trasformarsi in uno strumento persuasivo per modellare il modo in cui i giganti della tecnologia trattano i nostri dati e la nostra privacy. “I sistemi di intelligenza artificiale dipendono dai dati e gli utenti hanno solo questa carta da giocarsi per guadagnare potere di contrattazione” conclude Vincent.

Foto: Eric Risberg / AP

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