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In tempi di crisi è facile diffondere a nostra volta informazioni errate online. Abbiamo chiesto agli esperti suggerimenti su come evitare di farlo, proteggendo in tal modo anche gli altri utenti.

di Abby Ohlheiser

Domenica non c’è stato un blackout delle comunicazioni a Washington, DC, ma #dcblackout ha fatto tendenza su Twitter, grazie ad alcuni tweet estremamente angoscianti che dicevano alla gente che, misteriosamente, non arrivava alcun messaggio dalla capitale della nazione. I tweet, i post di Reddit e i messaggi di Facebook sul “blackout” hanno ottenuto migliaia di condivisioni, accompagnati da richieste di diffondere ampiamente le informazioni e denunce preoccupanti su quanto stava accadendo durante le manifestazioni.

Ma posso dire che non c’è stato un blackout perché vivo a Washington e ho dovuto assicurare i miei amici che Internet funzionava normalmente. Nonostante ciò, l’hashtag è rimasto attivo per ore, con alcune persone scettiche, altre convinte che fosse vero, e nessuno che cercasse di chiarire come si fosse diffusa la voce.

La risposta logica per impedire la diffusione di informazioni potenzialmente dannose su Internet è far capire come valutare da soli la veridicità delle affermazioni. Ma come è possibile farlo  di fronte a una marea di dati e ci si trova mentre nel bel mezzo di una pandemia globale e la polizia in piazza che interviene con forza contro i manifestanti?

“Stiamo replicando gli stessi comportamenti delle altre crisi”, afferma Whitney Phillips, ricercatrice  di comunicazione e studi retorici alla Syracuse University. “Abbiamo una spinta naturale a condividere un messaggio che parla di un’esperienza personale o amplificare le voci degli altri durante una crisi. Sembra ci aiuti a stare meglio”. Ma questo stesso impulso ha delle controindicazioni, soprattutto quando il contenuto che si condivide risulta essere fuorviante o falso.

Ho chiesto a Phillips, che ha scritto sui rapporti tra disinformazione online ed equilibrio mentale, e Shireen Mitchell, fondatrice di Stop Online Violence Against Women, di fornire alcuni consigli per orientarsi in Internet e evitare gli scogli della disinformazione.

Credere in se stessi

“Le persone spesso pensano che le loro opinioni online siano poco importanti poiché non sono influencer né politici e neanche giornalisti”, dice Phillips. Ma gli hashtag di tendenza sono un buon esempio di come il volume, sia dei grandi che dei piccoli account, possa determinare fenomeni di disinformazione. Considerare il proprio contributo come ininfluente, indipendentemente dal numero di follower che si hanno, può essere fuorviante.

“Non importa se si è animati da buone intenzioni”, dice Phillips. “Ritwittando qualcosa che contiene #dcblackout, un gruppo di utenti può fare tendenza e mandare gli altri nel panico”. La buona notizia è che l’ impulso a comunicare una possibile ingiustizia su Internet al fine di migliorare il mondo può avere un impatto positivo ben oltre il conteggio immediato dei follower. Ma significa anche che condividere qualcosa che non è vero, può causare più danni di quanto si pensi.

Prendersi una pausa

La disinformazione sulla violenza razzista può essere particolarmente difficile da valutare perché il contenuto stesso è traumatizzante, in particolare per i neri americani. “Per me, questo è ciò che accade con la nostra comunità. Le persone non ci credono. Quindi quando succede qualcosa di brutto, vuoi che le persone lo condividano”, dice Mitchell. La disinformazione prende di mira questo stesso impulso. L’obiettivo, dice Mitchell, è “evocare un’emozione. Nel momento in cui si sente che il coinvolgimento emotivo è forte, è il momento di prendersi una pausa”.

Il pericolo è ancora più acuto durante una protesta. Se si diffonde una voce ingannevole o falsa sui social media, i manifestanti hanno mezzi limitati per esaminare tali informazioni al volo, in particolare in un ambiente che potrebbe non essere sicuro.  Mitchell raccomanda di allontanarsi dal centro della protesta, se possibile, ed esaminare la veridicità della fonte. “Se ci si accerta che non è vero, si fa subito sapere agli altri cosa si è scoperto.

Pensare lateralmente

Mitchell, come molti esperti di disinformazione, ha imparato a gestire le situazioni attraverso anni di pratica. Ma ci sono modi per migliorare rapidamente. Uno di questi è imparare a pensare lateralmente a un singolo contenuto, ovvero fare ricerche prima di condividere qualcosa.

Mike Caulfield, un esperto di alfabetizzazione digitale, ha sviluppato quello che chiama l’approccio SIFT per guardare le informazioni: “Stop, investiga la fonte, trova una migliore copertura e traccia reclami, citazioni e servizi dei media nel contesto originale”. Caulfield ha affermato che il suo metodo è stato adattato da uno studio di Stanford del 2017 su come i verificatori di fatti professionisti valutano le informazioni digitali. 

Molti degli studenti e degli storici che hanno partecipato allo studio sono caduti nella trappola del tentativo di valutare la potenziale disinformazione cercando principalmente indizi sulla sua affidabilità. Chi verifica i fatti, inclusa me, esegue ricerche su Google, legge altre notizie e cerca nuovi dati.

Il metodo di Mitchell è simile. “Ogni volta che mi imbatto in un hashtag di tendenza, mi fermo e approfondisco la questione sollevata. Per esempio, Mitchell ha visto un paio di video che mostravano manifestanti che agivano violentemente. Innanzitutto, ha esaminato la fonte dei video: chi li ha pubblicati? Questo video è originale o una clip modificata? La fonte è realmente chi dice di essere

Quindi ha guardato da chi sono stati condivisi e poi ha cercato altri video che riprendessero la stessa scena; ha esaminato se il testo che accompagnava il video era in linea con quanto stava accadendo. Alla fine ha scoperto che “The Intercept” aveva già denunciato che uno di quei video era stato modificato per ingannare chi lo vedeva.

Comprendere che la disinformazione può essere più “reale” del reale

Molti degli esperti di disinformazione più citati sono bianchi. Durante il controllo delle informazioni sulle comunità di colore, questi esperti rischiano di fare confusione, indipendentemente dalle loro intenzioni.

“La maggior parte dei bianchi non crede a quanto raccontiamo”, dice Mitchell. Entrando in una conversazione per dire a qualcuno che ha appena condiviso un video fuorviante, si può anche implicitamente “dire ai neri che la loro esperienza non è vera”. Questo problema è particolarmente sentito quando si gestiscono forme di disinformazione condivisa legate al vissuto dei neri americani.

Ma non dire nulla crea altrettanti disagi, sostiene Mitchell. Tuttavia, se ci si confronta con la disinformazione virale, non si può dare per scontato che l’esperienza personale debba essere creduta e ascoltata né sorprendersi se quanto si afferma viene verificato. Tutti si preoccupano delle motivazioni delle persone, specialmente quando istituzioni autorevoli hanno diffuso informazioni inesatte sulle proteste o hanno contribuito a diffonderle. Phillips sostiene di provare a pensare in termini di informazioni “vere” vs “reale”. Una affermazione può essere empiricamente falsa e fare riferimento a qualcosa  che è reale. 

Prendere in considerazione la disconnessione

Esaminare la disinformazione può essere un duro lavoro soprattutto quando i contenuti sono di per sé traumatizzanti. Questo vale anche per gli esperti. “Siamo costretti a navigare in un territorio assolutamente inesplorato”, afferma Phillips. “Alcuni di noi lo fanno da anni. Siamo le persone più attrezzate, con strumenti di alfabetizzazione mediatica e profonde riserve emotive, ma non è detto che sia abbastanza.

(rp)