Come mai non funzionano tante cure contro l’Alzheimer? Una nuova scoperta potrebbe spiegarlo

Nature descrive un circolo vizioso alle radici del morbo di Alzheimer portato alla luce da recenti studi.

di MIT Technology Review Italia

Ricercatori del King’s College London hanno individuato un sistema di retroregolazione, alle radici del processo degenerativo dell’Alzheimer, che potrebbe spiegare come mai tante medicine hanno fallito. In uno studio pubblicato da Nature, la squadra descrive il farmaco capace di
interrompere questo feedback e proteggere modelli animali dalla perdita di memoria.

A fronte della stretta correlazione identificata tra un’eccessiva produzione di beta-amiloidi e lo sviluppo del morbo di Alzheimer, la ricerca di una cura efficace si concentra da tempo sul tentativo di controllare queste proteine capaci di distruggere le sinapsi che connettono tra loro i neuroni e condurre a perdita di memoria, demenza e decesso.

Secondo il nuovo studio, quando le proteine beta-amiloidi distruggono una sinapsi, le cellule neuronali producono nuovi quantitativi delle stesse proteine, con il risultato di accelerare la distruzione della fitta rete di connessioni che compone il sistema nervoso centrale.

Richard Killick, dell’Institute of Psychiatry, Psychology & Neuroscience, uno degli autori dello studio, crede che i risultati della ricerca dimostrino come sia inutile cercare di agire a livello della produzione di beta-amiloidi una volta che questo circolo vizioso si sia innestato. La Dr Christina Elliott, sempre del PPN ed autrice dello studio, sottolinea quanto la ricerca fatta enfatizzi l’importanza di agire sul morbo il prima possibile. Lo studio ha approfondito il ruolo centrale di una proteina denominata Dkk1. Identificata in ricerche passate dal Dr Killick, la Dkk1 è quasi inesistente nei cervelli giovani, ma si fa più quantificabile con il progredire dell’età. Il nuovo studio la identifica come uno stimolo importante nella produzione di beta-amiloidi e nella creazione del feedback fatale.

I ricercatori suggeriscono che controllare la produzione di Dkk1, piuttosto che di beta-amiloidi, potrebbe dare risultati migliori nella lotta contro l’Alzheimer. Di più, la squadra ha testato su topi affetti da Alzheimer un farmaco chiamato fasudil, utilizzato in Cina e Giappone contro l’ictus, e dato prova della sua efficacia nel proteggere sinapsi e memorie degli animali, nonché nel ridurre in tempi brevi il quantitativo di beta-amiloidi nel loro cervello.

Finanziati sinora dal Medical Research Council, i ricercatori stanno raccogliendo nuovi fondi per promuovere test clinici di questo farmaco, già certificato come sicuro, in pazienti umani ai primissimi stadi di sviluppo del morbo, nella speranza che possa dimostrarsi non meno efficace sugli umani che nei topi.

(lo)

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