Come l’Ebola ha aiutato la Liberia a prepararsi per il covid

Francis Kateh, Vice Ministro della Salute e responsabile sanitario per la Liberia, racconta come il suo ministero combatte l’idea che il covid sia una montatura.

di Krithika Varagur

Il Covid-19 è stata la seconda pandemia del decennio per la Liberia, devastata dall’Ebola solo cinque anni fa. Un responsabile della sanità pubblica, che ha studiato negli Stati Uniti e che ha prestato servizio in entrambe le emergenze, spiega come sono state trasferite alcune conoscenze istituzionali e come il virus è entrato nel paese nonostante le considerevoli precauzioni.

Questa storia fa parte di una serie di interviste con persone in prima linea nella risposta al coronavirus nei paesi di tutto il mondo.

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Morti di Covid al 24 agosto 2020. Fonte: Wikipedia

Nel momento in cui abbiamo saputo che c’era questa nuova malattia in Cina, sapevamo che sarebbe stato inevitabile che arrivasse in Liberia. La domanda era solo: quando sarebbe successo? Quindi abbiamo iniziato a prepararci. A gennaio, la Liberia è diventata uno dei primi paesi al mondo ad avviare lo screening per il covid-19 negli aeroporti, sulla base della nostra esperienza contro l’Ebola e della consapevolezza che il nostro sistema sanitario non avrebbe retto l’urto. 

Coloro che provenivano da un paese esposto al contagio in quel momento, vale a dire con oltre 200 casi registrati, dovevano essere messi in quarantena nel nostro Centro di osservazione precauzionale per 14 giorni all’arrivo nel paese. I controlli sui viaggiatori venivano effettuati due o tre volte al giorno.

La nostra strategia iniziale era impedire che il covid arrivasse in Liberia. Sapevamo che sarebbe dovuto passare dall’aeroporto. Il nostro ragionamento era il seguente: se riusciamo a coinvolgere in modo proattivo chi arriva da un’area ad alto rischio e gli facciamo rapidamente il test, nel caso risulti positivo, non sarà necessario il ciclo dei tracciamenti dei contatti, poiché questa persona è già in isolamento.

Waterside Market, Monrovia. Getty

Ho prestato servizio nella sanità pubblica durante la guerra civile liberiana e successivamente durante l’uragano Katrina negli Stati Uniti. Ero l’ufficiale sanitario nella contea di Anson, nella Carolina del Nord. Ho imparato molto su come ci si prepara alle catastrofi quando sono andato ad aiutare in Louisiana. 

Durante la crisi dell’Ebola (del 2014-2015) in Liberia, ero il vicedirettore che si occupava della gestione degli incidenti, responsabile della risposta medica e della pianificazione. Una volta arrivato il covid-19, abbiamo messo in pratica le lezioni che avevamo imparato dall’Ebola, perché le persone ne erano ancora consapevoli: misure preventive di base come il lavaggio delle mani e il distanziamento sociale. Ma quando le persone hanno iniziato a rendersi conto che il covid-19 non è grave come l’Ebola, hanno cominciato a sorgere i primi dubbi. Poi sono iniziate le fake. 

Il nemico più grande che stiamo combattendo è l’idea che il coronavirus non sia reale, che il governo e le organizzazioni internazionali lo stiano facendo per fare profitti. Un altro problema è il fatto che anche coloro che sono risultati positivi, se non mostrano alcun sintomo importante, a volte non credono di averlo. Quindi, se sei in ospedale e dici ai tuoi parenti e familiari che non ti sta succedendo nulla, le persone non pensano che sia una malattia seria. 

La differenza tra covid ed Ebola è che con la febbre emorragica ho potuto vedere con i miei occhi, anche prima che arrivasse il risultato del test, che una persona aveva quel virus, perché chi ha l’Ebola non riesce a mantenere il proprio peso corporeo. E quando abbiamo effettuato ricerche di casi attivi, è stato molto, molto facile identificare rapidamente coloro che erano stati infettati. 

Con il covid, ci sono persone che sono completamente asintomatiche. Abbiamo iniziato a istruirli, ricordando che il problema non riguardava solo loro, ma la possibilità che contagiassero i parenti. Quando è arrivato il covid, avevamo un solo respiratore nel paese, ma ora ne abbiamo tre, grazie alle donazioni. Finora siamo stati fortunati a non averli utilizzati. Ciò significa, ovviamente, che i casi nel nostro paese finora non sono stati troppo gravi. Ma la situazione può cambiare in breve tempo.  

Immagine: Waterside Market, Monrovia. Getty

(rp)

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