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Un nuovo comitato della Harvard prenderà in considerazione l’efficacia di esperimenti da condursi all’aperto e potrebbe porre le basi per una nuova generazione di studi.

di James Temple

Da anni, diversi scienziati del clima alla Harvard si preparano a lanciare un pallone in grado di spruzzare particelle riflettenti nell’atmosfera, nella speranza di imparare di più sulla nostra capacità di contrastare il riscaldamento globale.

Il fatto che una prestigiosa università abbia intenzione di condurre un esperimento all’aperto è una pietra miliare per il settore della geoingegneria. Non mancano le polemiche. I critici temono che un tale passo possa legittimare l’idea che gli esseri umani siano in grado di riavviare la meccanica del clima terrestre, né mancano i timori che questi esperimenti possano aprire le porte alla creazione di strumenti di incredibile potenza. 

A dispetto delle critiche, la Harvard farà oggi un significativo passo avanti, avendo annunciato la formazione di un comitato per garantire che i ricercatori prendano le misure appropriate contro i rischi per la salute e per l’ambiente, siano aperti a input esterni e operino in maniera trasparente. Si tratta di un passo che potrebbe creare un modello su cui impostare le ricerche di geoingegneria del futuro e forse spianare la strada a nuovi esperimenti.

Uno dei motivi per cui la Harvard ha dovuto compiere il passo insolito di creare un comitato consultivo è che non esiste un programma di ricerca finanziato dal governo degli Stati Uniti in questo settore, nè un ente di controllo pubblico incaricato di valutare le complessità di una simile proposta. Sarà presidente del comitato Louise Bedsworth,  già consigliere per il clima dell’ex governatore della California e direttrice esecutiva del California Strategic Growth Council. 

“Il comitato consultivo svilupperà e implementerà un quadro per garantire che il progetto SCoPEx sia condotto in modo trasparente, credibile e legittimo”, scrive Louise Bedsworth. “Ciò includerà stabilire aspettative e mezzi che permettano di prendere in considerazione più prospettive, voci e stakeholder.” Katharine Mach, membro del comitato e direttrice della Stanford Environment Assessment Facility, ha dichiarato in un’intervista che il comitato mira a creare un modello replicabile che altre istituzioni o nazioni possano impiegare per condurre ulteriori ricerche in questo ambito. Il comitato è appena all’inizio del processo, ma intende andare oltre una revisione scientifica dei rischi ambientali e della sicurezza, esplorando anche l’efficacia di ricerche di geoingegneria contro le emissioni climatiche.

C’è però chi crede che, nel creare il comitato, l’università stia bypassando il dibattito pubblico e politico sul tema della geoingegneria. “Si tratta di un’istituzione molto influente, che ha deciso di non attendere la conferma degli enti regolatori”, afferma Wil Burns, condirettore dell’Institute for Carbon Removal Law and Policy presso l’American University. 

Da un punto di vista tecnico, la squadra sarà pronta a condurre un volo di prova iniziale entro i prossimi sei mesi. Il programma prevede che il lancio avvenga nel New Mexico. I ricercatori si sono però dichiarati pronti ad interrompere l’esperimento fino a quando il comitato non avrà completato la propria revisione e avrà dato il via libera. 

L’idea alla base della geoingegneria solare è che potremmo usare aerei, palloni aerostatici o anche lunghi tubi per disperdere determinate particelle nell’atmosfera, da dove potrebbero riflettere abbastanza luce solare nello spazio per raffreddare moderatamente il pianeta. La maggior parte della ricerca finora condotta ha utilizzato simulazioni climatiche o esperimenti di laboratorio. Nonostante i modelli prevedano che la tecnica possa abbassare le temperature, alcuni hanno scoperto che è sono altrettanto probabili impatti ambientali imprevisti, con un impatto sui cicli di produzione del cibo.

Si conoscono solo due esperimenti di geoingegneria solare condotti finora. Ricercatori dell’Università della California, San Diego, hanno spruzzato fumo e particelle di sale al largo delle coste della California nel 2011, e scienziati russi hanno disperso aerosol da un elicottero e da un’auto nel 2009. I piani per un esperimento all’aperto proposto nel Regno Unito, noto come progetto SPICE, vennero abbandonati nel 2012, tra critiche pubbliche e accuse di conflitto di interessi.

L’esperimento della Harvard risale al 2014 e prevede il lancio di un pallone scientifico dotato di eliche e sensori a circa 20 Km sopra la Terra. Il velivolo rilasciare tra i 100 g e 2 Kg di particelle di carbonato di calcio di dimensioni submicrometriche, una sostanza naturalmente presente in conchiglie e calcare. Il pallone attraverserà lo sbuffo lungo circa un chilometro per consentire ai sensori di misurare dati come la dispersione delle particelle, il modo in cui interagiscono con altri composti nell’atmosfera e quanto sono riflettenti. I ricercatori sperano che queste osservazioni possano aiutare a valutare e perfezionare le simulazioni climatiche e altrimenti informare il dibattito in corso sulla fattibilità e sui rischi di vari approcci alla geoingegneria.

Il progetto è finanziato da sovvenzioni della Harvard. L’organizzazione ha raccolto oltre $16 milioni grazie a Bill Gates, la Hewlett Foundation, la Alfred P. Sloan Foundation e altri gruppi e individui filantropici. I ricercatori sostengono che l’esperimento non presenta rischi significativi per la salute o l’ambiente e non costituisce di per sé un atto di geoingegneria, in quanto la quantità di materiale coinvolto sarà irrilevante rispetto ai livelli necessari a modificare il clima.

Ci sono dubbi su come la squadra di Harvard sta conducendo gli esperimenti. “Non rappresenta un rischio fisico, ma rappresenta un considerevole rischio sociale e politico in quanto primo passo verso lo sviluppo dell’effettiva tecnologia”, spiega Raymond Pierrehumbert, professore di fisica dell’Università di Oxford. “Il valore dei dati raccolti sarà limitato rispetto alla prodezza che romperà il ghiaccio e normalizzerà l’idea di condurre esperimenti in campo aperto.”

C’è anche chi si domanda quanto il nuovo comitato sia veramente indipendente, dato il coinvolgimento della Harvard nel processo di selezione. Numerosistudi hanno sostenuto la necessità di creare comitati consultivi governativi per la supervisione della ricerca sulla geoingegneria, a garanzia di una responsabilità pubblica del comitato. 

Secondo alcuni, il fatto che gli enti governativi non abbiano ancora istituito un gruppo di questo tipo o fornito fondi di ricerca per la geoingegneria, significa che non esiste un consenso pubblico o politico sufficiente a procedere con gli esperimenti. Secondo altri, il sistema politico americano è impotente sul tema del riscaldamento globale. L’incapacità di raccogliere fondi pubblici per la ricerca dipenderebbe dalla politica avvelenata sui cambiamenti climatici, spiega Jane Long, ex direttore associato del Lawrence Livermore National Laboratory, parte del comitato di ricerca. 

Il comitato è composto da un mix di scienziati ed esperti legali e tecnici, mancano però rappresentanti del pubblico, per esempio del New Mexico, o sinceri critici dei processi di geoingegneria. È anche degno di nota il fatto che tutti siano residenti degli Stati Uniti. I fautori della geoingegneria sono stati criticati per non aver coinvolto voci dalle nazioni in via di sviluppo

In un articolo pubblicato su Proceedings of National Academy of Sciences all’inizio di quest’anno, Douglas MacMartin, ricercatore associato in ingegneria meccanica e aerospaziale presso la Cornell, specializzato in geoingegneria, e un collega, hanno notato che gli scienziati non avrebbero che scalfito la superficie di ciò che si potrebbe imparare dalle simulazioni al computer. MacMartin è convinto che sarebbe logico concentrarsi sui dubbi sollevati dai modelli esistenti per meglio comprendere meglio i processi di geoingegneria e utilizzare tali dubbi per formulare esperimenti all’aperto su piccola scala più rilevanti. Passare troppo rapidamente ad esperimenti nel mondo reale potrebbe inoltre provocare un contraccolpo pubblico. 

David Keith, professore di Harvard e figura chiave dell’esperimento, riconosce sia le difficoltà sull’argomento dell’indipendenza del comitato sia la necessità di proseguire gli studi sui modelli, ma sostiene che è fondamentale testare le simulazioni con osservazioni dirette. 
Aggiunge che per quanto possibile che un esperimento generare una reazione negativa da parte del pubblico, uno studio della Yale ha anche evidenziato che le persone esposte alle informazioni sulla geoingegneria hanno iniziato a prendere più sul serio i pericoli del cambiamento climatico. 
In definitiva, spiega Keith, esiste una reale possibilità che la geoingegneria possa ridurre sostanzialmente i rischi climatici nei prossimi decenni. È quindi necessario capire il più chiaramente possibile cosa si può fare, quali sono i loro limiti e quali tipi di rischi comporta.

Immagine: Rendering a cura di MIT TechnologyReview