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Il carburante rinnovabile ideale

di Kevin Bullis

Quando Noubar Afeyan, amministratore delegato di Flagship Ventures, a Cambridge, in Massachusetts, ha deciso di inventare il combustibile rinnovabile perfetto, è stato radicale. I biocarburanti, in definitiva, derivano da anidride carbonica e acqua; perché allora insistere a produrli dalle biomasse, siano mais o erba paglia o alghe? La domanda centrale per Afeyan è: «Siamo in grado di realizzare un sistema che converta direttamente l’anidride carbonica nel tipo di carburante che stiamo cercando?».

La risposta sembra essere affermativa, secondo Joule Biotechnologies, l’azienda fondata (sempre a Cambridge) da Afeyan per progettare il nuovo combustibile. Ideando e manipolando geni, Joule ha creato per la prima volta microrganismi fotosensibili, che sfruttano la luce solare per convertire efficacemente l’anidride carbonica in etanolo o gasolio. Joule fa crescere i microbi in fotobioreattori che non impiegano acqua dolce e occupano solo una frazione del terreno necessario per la produzione di biomasse. I microbi secernono combustibile in continuazione, rendendo semplice la raccolta. Gli esami di laboratorio e le prime sperimentazioni inducono Afeyan a ritenere che questo processo permetterà di produrre 100 volte più combustibile per ettaro della fermentazione del mais per la produzione di etanolo e 10 volte di più di fonti come i rifiuti agricoli. A suo parere, i costi potrebbero essere competitivi con quelli dei combustibili fossili.

Se Afeyan ha ragione, questi biocombustibili potrebbero diventare un’alternativa al petrolio su scala ancora più grande di quanto si sia mai ipotizzato. La fornitura di biocombustibili tradizionali, come quelli derivati dal mais, è limitata dalla grande quantità di acqua e terreno agricolo necessari alle piante che servono per la loro produzione. Inoltre, anche se i biocombustibili avanzati richiedono meno acqua e non hanno bisogno di un terreno di buona qualità, il loro potenziale è limitato dal sistema di operazioni complesse e costose necessarie per arrivare al prodotto finale. In definitiva, l’International Energy Agency stima che nel 2050 il biodiesel e l’etanolo soddisferanno solo il 26 per cento della domanda mondiale di carburante per trasporto.

I bioingegneri di Joule hanno dotato i loro microrganismi di un interruttore genetico che ne limita la crescita. Gli scienziati permettono loro di moltiplicarsi solo per un paio di giorni prima di attivare l’interruttore per indirizzare l’energia degli organismi dalla crescita alla produzione di combustibile. Mentre altre aziende sono impegnate a produrre quanta più biomassa è possibile, Afeyan sostiene di volere perseguire la linea opposta. A uno sguardo retrospettivo, l’approccio appare quasi ovvio. In effetti, anche la startup Synthetic Genomics e un gruppo del BioTechnology Institute dell’Università del Minnesota stanno lavorando alla produzione di combustibili direttamente dall’anidride carbonica. Joule spera di avere successo nello sviluppo, a partire da zero, dei suoi organismi e del suo fotobioreattore, in modo da integrarli perfettamente.

Si tratta, comunque, di una strategia rischiosa, perché prende le mosse da processi consolidati. In genere, una startup parte con la determinazione di fare qualcosa di nuovo, sostiene James Collins, professore di ingegneria biomedica alla Boston University e membro del comitato di consulenza scientifica di Joule, «e ritorna velocemente sui suoi passi per provare a fare qualcosa che funziona… un qualcosa di già conosciuto che si sia ben consolidato». Afeyan, in realtà, ha stimolato l’azienda a essere innovativa. Questa estate, Joule andrà oltre il semplice lavoro di laboratorio: un impianto pilota è già in costruzione a Leander, nel Texas.

Da esperto di tecnologie e di investimenti finanziari – ha ricevuto il suo PhD in ingegneria chimica dal MIT nel 1987 – Afeyan è profondamente cosciente delle difficoltà di attivare un nuovo processo valido economicamente e che allo stesso tempo consenta la produzione di combustibili in grandi quantità. Per ridurre al minimo i rischi finanziari, Afeyan ha indirizzato Joule verso un sistema modulare, che non richiede impianti dimostrativi costosi e di grandi dimensioni.

«Non sto dicendo che sarà facile o che avverrà in tempi rapidi, perché sono in questo settore da tanti anni», spiega Afeyan, secondo cui comunque Joule ha messo le mani su qualcosa di grande: un combustibile rinnovabile in grado di competere con i combustibili fossili sia dal punto di vista dei costi sia da quello della produzione su larga scala. Conclude Afeyan: «Abbiamo tutti gli elementi di una tecnologia potenzialmente rivoluzionaria».