L’arresto di diversi alti dirigenti di enti per la produzione di semiconduttori potrebbe costringere il governo cinese a reinventare il sistema di investimento nel settore
L’industria cinese della produzione di chip è caduta nel caos la scorsa settimana, quando almeno quattro alti dirigenti associati a un fondo statale per semiconduttori sono stati arrestati con l’accusa di corruzione.
Secondo analisti ed esperti, si tratterebbe di una sequenza di eventi esplosiva che potrebbe costringere il Paese a ripensare radicalmente ai propri investimenti sullo sviluppo di chip.
Il 30 luglio, la principale istituzione anticorruzione cinese ha annunciato che Ding Wenwu, l’amministratore delegato del China Integrated Circuit Industry Investment Fund, soprannominato il “Big Fund“, è stato arrestato per “sospette gravi violazioni della legge”. Ding non è l’unica persona nei guai. Due settimane fa, anche Lu Jun, un ex dirigente dell’istituto di gestione del Big Fund, è stato preso in custodia, insieme ad altri due gestori di fondi, secondo l’agenzia di stampa cinese Caixin.
Istituito nel 2014, il Big Fund aveva lo scopo di utilizzare il denaro del governo per costruire una catena di approvvigionamento di chip prodotti in Cina, riducendo così la dipendenza dagli Stati Uniti e dai suoi alleati. Il fondo incarna la strategia del governo cinese per sostenere un’industria strategica come quella dei semiconduttori.
Otto anni dopo, l’investimento di 30 miliardi di dollari nel settore, con altri 20 miliardi in arrivo, ha prodotto un complicato mix di successi e fallimenti. Il fatto che il fondo fosse guidato da una missione politica e non da interessi finanziari ha aperto le porte alla corruzione e secondo gli analisti, le recenti indagini potrebbero spingere la Cina a gestire i finanziamenti dei semiconduttori con maggiore precisione e presenza professionale.
L’idea del Big Fund era di versare denaro nelle industrie che non ricevevano finanziamenti da percorsi tradizionali come il capitale di rischio. Invece delle startup, il suo primo round di finanziamento da 20 miliardi di dollari, nel 2014, è stato indirizzato alla ricerca di società quotate in borsa e delle loro sussidiarie, spesso nel campo dei materiali semiconduttori e nella produzione, secondo Rui Ma, analista e conduttrice del podcast Tech Buzz China.
Queste aziende trovano più difficile fare soldi perché qualsiasi progresso nella produzione di chip richiede un lungo periodo di tempo e investimenti significativi nella ricerca. Pertanto sono meno attraenti per i venture capitalist, spiega Ma.
Il Big Fund era probabilmente in anticipo sui tempi. Nel 2014, il governo centrale cinese ha deciso di poter utilizzare i finanziamenti pubblici per colmare il divario di capacità nella produzione di chip, mentre diversi governi locali hanno iniziato a sperimentare con fondi più piccoli.
Ma è stato solo nel 2019, quando gli Stati Uniti hanno impedito a Huawei di accedere ai chip realizzati con tecnologie statunitensi, che la situazione si è fatta urgente. L’industria dei semiconduttori si basa tradizionalmente su forniture globali e le aziende tecnologiche cinesi dipendono da fornitori esteri come TSMC di Taiwan, Samsung della Corea o ASML dei Paesi Bassi. Tutti paesi alleati degli Stati Uniti.
L’urgenza si è solo intensificata negli ultimi mesi e anni: gli Stati Uniti stanno sempre più schiacciando la capacità della Cina di accedere a tecnologie di chip avanzate, chiedendo persino alla ASML di interrompere l’esportazione di vecchie macchine litografiche in Cina. Ciò rende il Grande Fondo, e la relativa spinta all’autosufficienza, sempre più importanti.
Il governo cinese deve ancora rivelare il motivo esatto per cui Ding e altre persone sono oggetto di indagine. Ma la maggior parte dei media e degli analisti ha associato il caso a un gruppo di indagini sulla corruzione intorno a Tsinghua Unigroup, una società di semiconduttori in cui il Big Fund ha investito e che negli ultimi anni è fallita clamorosamente.
Fondata nel 1988, Tsinghua Unigroup è una delle più vecchie aziende produttrici di chip in Cina. Ha fatto notizia nel 2015 quando il suo piano per acquisire la società americana Micron Technologies è stato bloccato dal governo degli Stati Uniti. Molte delle sue ambiziose acquisizioni sono state sostenute dal Big Fund, che ha investito almeno 2 miliardi di dollari in Unigroup e nelle sue sussidiarie per sviluppare la produzione di wafer, chip di memoria flash e chip 5G.
Alla fine, il colosso ha rischiato il fallimento nel 2021. Nel luglio 2022, tre ex o attuali dirigenti di Unigroup, incluso il suo presidente in carica da 13 anni, sono stati indagati per accuse di corruzione, sebbene finora non siano state pubblicate accuse pubbliche.
Non è chiaro se il fallimento di Unigroup abbia innescato direttamente il terremoto anticorruzione all’interno di Big Fund. Tuttavia, la strategia adottata da quest’ultimo – buttare massicci investimenti al vento e sperare in bene – è fallita miseramente. Secondo osservatori di lunga data, questo genere di strategia si è rivelato anche il perfetto ecosistema per la corruzione.
“Questa è l’indagine per corruzione meno sorprendente di cui abbia sentito parlare in anni”, afferma Matt Sheehan, membro del think tank statunitense Carnegie Endowment for International Peace. “Non sappia personalmente che Ding Wenwu è corrotto, ma quando una simile somma di denaro sguazza in un singolo settore, sarebbe molto più sorprendente non vedere i protagonisti coinvolti in un grave scandalo di corruzione”.
Una parte significativa del problema sarebbe stata la mancanza di precisione, afferma Sheehan. La Cina sapeva di dover investire nei semiconduttori, ma non sapeva precisamente a quale sottoindustria o azienda dare la priorità. Il paese è stato costretto a imparare per tentativi ed errori, facendosi strada attraverso problemi come il fallimento di Unigroup e il blocco tecnologico in espansione da parte degli Stati Uniti.
I prossimi investimenti dovranno essere più mirati, in società selezionate accuratamente, afferma Sheehan
Ciò potrebbe significare un cambio di dirigenza per il Big Fund, qualcuno che è più esperto nell’ottenere rendimenti finanziari, afferma Paul Triolo, vicepresidente senior presso la società di strategia aziendale Albright Stonebridge, che fornisce consulenza alle aziende che operano in Cina. Molti dei gestori del Big Fund provenivano da ambienti governativi e potrebbero semplicemente non aver avuto l’esperienza specifica necessaria. Ding, che ora è sotto inchiesta, era un direttore di dipartimento presso il Ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione cinese.
“Per gestire questo [Big Fund] servono persone competenti che comprendano il settore e il mondo della finanza, capaci di non finanziare progetti privi di una solida base commerciale”, afferma Triolo.
In definitiva, queste indagini potrebbero finire per essere positive per l’industria dei semiconduttori cinese perché mettono in evidenza la limitazione dei finanziamenti guidati dalla politica e possono spingere il Big Fund a essere gestito a partire dalle leggi di mercato.
L’appetito di Pechino per gli esperimenti sta diminuendo mentre le sue preoccupazioni sull’autosufficienza si intensificano. “Non possono permettersi di sperperare 5 miliardi di dollari in fabbriche che non saranno redditizie”, afferma Triolo.