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Da Ferragosto a lunedì 21 agosto la redazione del notiziario quotidiano di MIT Technology Review Italia va in vacanza. Ai nostri Insiders lasciamo però alcune nuove letture interessanti nel campo della genomica e delle terapie geniche

di MIT Technology Review Italia


Il gigante cinese della genomica abbandona l’idea di creare animali da compagnia geneticamente modificati

Michael Standaert

La più grande società genomica cinese si è lanciata sul mercato. Le azioni della BGI sono ora a disposizione degli investitori, ma coloro che fossero stati interessati ad acquistare per 1400 dollari un maialino non più grande di un boccale dovranno attendere. Forse a lungo.
Nel settembre 2015 alcuni rappresentanti della BGI dichiararono al Shenzhen International Biotech Leaders Summit la intenzione di mettere in vendita maialini Bama ridotti della metà, come lancio inaugurale di un mercato di animali da compagnia geneticamente modificati nella forma o nel colore (https://www.nature.com/news/gene-edited-micropigs-to-be-sold-as-pets-at-chinese-institute-1.18448). I mini maialini della BGI vengono cerati grazie a una tecnologia chiamata TALENs con cui gli scienziati inibiscono il funzionamento del gene che governa gli ormoni della crescita. Ne risultano maialini del peso di un cocker.
Tuttavia, secondo Yong Li della BGI, questo progetto non sarà portato a termine, probabilmente a causa delle reazioni della stampa e del pubblico cinese nei confronti dei prodotti OGM, o anche nel dubbio su come il Governo cinese deciderà di regolamentare la produzione di animali geneticamente modificati.
Il gene editing è un sistema veloce per realizzare modifiche in embrioni animali. Comporta spesso la disattivazione di alcuni geni o la modifica del DNA per importare in una razza tratti tipici di un’altra razza della stessa specie. La Cina ha fatto passi avanti particolarmente veloci con questa tecnologia, creando capre dal pelo lungo o cani estremamente muscolosi nei propri laboratori.
Alcuni scienziati speravano che la vendita di animali così geneticamente modificati potesse rimanere svincolata da regole particolari visto che non si tratta più di introdurre DNA di una specie in un’altra. La FDA statunitense ha però fatto sapere lo scorso gennaio che intende categorizzare tali animali come OGM (https://blogs.fda.gov/fdavoice/index.php/2017/01/fdas-science-based-approach-to-genome-edited-products/). Ciò comporterebbe anni di procedure burocratiche e rallentamenti per gli scienziati impegnati nel creare bovini senza corna (https://www.technologyreview.com/s/530416/on-the-horns-of-the-gmo-dilemma/) o cani di razza senza malattie ereditarie (https://www.technologyreview.com/s/603530/a-biohackers-plan-to-upgrade-dalmatians-ends-up-in-the-doghouse/).
Secondo Li, il governo cinese sta assumendo un punto di vista simile con la conseguenza di sospendere qualunque progetto che preveda cani senza problemi genetici o maialini dal pelo colorato. «Il progetto dei mini-maiali è ancora in corso di revisione», ha comunicato Siqi Gong, delle PR BGI. Ma, per quanto i mini-maialini possano non diventare mai un prodotto vero e proprio, la BGI continua a studiarli in un complesso noto con il nome di Arca e sito lungo le coste tropicali a Est di Shenzhen. Secondo Li, la società sta espandendo la popolazione animale e sperimentando metodi riproduttivi che possano condurre ad individui più robusti.
Nata Beijing Genomics Institute, la BGI era inizialmente specializzata nel sequenziamento del DNA e si era fatta un nome sequenziando il DNA del panda gigante, nonché sollecitando i maggiori talenti mondiali a inviare il proprio DNA allo scopo di ricercare le origini genetiche del loro QI (https://www.technologyreview.com/s/511051/inside-chinas-genome-factory/). Si offrì, inoltre, di sequenziare a basso costo il genoma di qualunque accademico del mondo.
Da allora, la società si è rivolta al mercato di applicazioni quali i test genetici prenatali, che rappresentano ora la metà dei suoi introiti. La BGI conferma e consolida il ruolo crescente della Cina nel campo della medicina di precisione (http://www.nature.com/news/china-s-genomics-giant-to-make-stock-market-debut-1.22171).
L’argomento degli organismi geneticamente modificati si è fatto delicato in Cina dopo anni di scandali sul cibo e un clima generale di sfiducia nell’applicazione delle norme di sicurezza. Il governo cinese  ha conferito alla Tsinghua University il compito di condurre un’indagine su come il pubblico percepisca il cibo OGM per determinare come meglio promuoverlo, soprattutto considerato quanto stia stimolando le società coinvolte perché si lancino sul mercato globale (http://www.newyorker.com/tech/elements/can-the-chinese-government-get-its-people-to-like-g-m-o-s).

Falene geneticamente modificate per i campi di cavolo

Emily Mullin

Le falene diamondback provocano danni all’agricoltura in tutto il mondo nutrendosi di verdure come cavoli, broccoli e cavolfiori. Lo US Department of Agriculture ha approvato una proposta della Cornell University che vorrebbe rilasciare in una piccola area dello stato di New York falene geneticamente modificate (https://www.aphis.usda.gov/aphis/ourfocus/biotechnology/brs-news-and-information/final_diamondback_moth).
Gli insetti modificati potrebbero divenire uno strumento per prevenire i danni provocati ai raccolti, senza l’utilizzo di pesticidi. Il Dipartimento federale ha dato il via libera all’esperimento perché convinto che l’esperimento difficilmente comporterà rischi per l’ambiente o per la salute umana (https://www.aphis.usda.gov/brs/aphisdocs/16_076101r_fonsi.pdf).
Gli scienziati hanno cominciato a creare insetti sterili negli anni Cinquanta, esponendoli a radiazioni per ridurre le popolazioni nei campi. Questo esperimento – sarà il primo a rilasciare insetti geneticamente modificati senza l’uso di radiazioni – è indice dell’interesse, e dell’ansia, crescente per l’utilizzazione sempre più diffusa della manipolazione genetica nel campo dell’agricoltura, dove si stanno applicando le nuove tecnologie su piante ed insetti. Le falene sono prodotte dalla britannica Oxitec, di proprietà di Intrexon (https://www.technologyreview.com/search/?s=intrexon).
La società ha progettato maschi di falene diamondback portatori del gene “auto-limitante”. Questo gene fa sì che la loro progenie muoia prima di raggiungere l’età riproduttiva, ponendo quindi un limite alla diffusione della specie nell’area. Le falene sono anche dotate di una proteina fluorescente che permette di monitorarne l’andamento. I danni ai raccolti sono causati dalle larve, non dalle falene adulte. La Oxitec ritiene che il rilascio di individui adulti non dovrebbe danneggiare l’agricoltura. La Oxitec usa la stessa tecnologia sulle zanzare Aedes aegypti, nella speranza di prevenire la diffusione di malattie quali zika, chikungunya e febbre gialla (https://www.technologyreview.com/s/600821/inside-the-mosquito-factory-that-could-stop-dengue-and-zika/).
Secondo Anthony Shelton, entomologo della Cornell University, il quale ne è responsabile, l’esperimento è necessario a raccogliere informazioni aggiuntive sulle possibili utilizzazioni di questi insetti. Shelton e la sua squadra, che condurrà l’esperimento in un campo della Cornell University di Geneva, New York, potranno rilasciare fino a 10mila falene di sesso maschile OGM alla volta, per un massimo di 30mila alla settimana, in un periodo di circa tre mesi.
Secondo Shelton, gli studi condotti in ambienti controllati hanno dimostrato l’efficacia degli insetti nel ridurre la popolazione. Gruppi sia locali, sia nazionali, che si oppongono all’esperimento, sottolineano come questi risultati non siano stati ancora pubblicati e sottoposti a revisione. Secondo Jaydee Hanson, analista del Center for Food Safety di Washington, le associazioni dei consumatori dubitano che queste falene OGM ridurranno la utilizzazione dei pesticidi: «Le falene non sono gli unici insetti che si nutrono delle verdure in questione, per cui gli insetticidi sarebbero ancora necessari».
La Oxitec ha già condotto gli stessi esperimenti con le zanzare in Brasile, Grand Cayman, e Panama, dove le Aedes aegypti sarebbero ora in declino. Nel 2015, la USDA concesse a Shelton un permesso per un esperimento simile che venne successivamente ritirato in quanto non era stata resa pubblica la valutazione sul suo impatto ambientale. L’anno scorso è stato sospeso il permesso per il rilascio delle zanzare OGM della Oxitec (https://www.technologyreview.com/s/602823/florida-vote-spells-uncertain-fate-for-genetically-engineered-mosquitoes/).

Due nuovi studi promettenti per i vaccini personalizzati contro il cancro

Emily Mullin

Un vaccino che insegna al corpo come distruggere selettivamente le cellule tumorali è il sogno di decenni di ricerca. Ora due approcci per la realizzazione di vaccini personalizzati contro il cancro sembrano essere riusciti a prevenire ricadute in una dozzina di pazienti affetti da cancro alla pelle in stadio avanzato.
Negli ultimi anni, gli scienziati hanno realizzato che il tumore di ogni paziente è portatore di un singolare set di caratteristiche genetiche, o mutazioni. Perché i vaccini contro il cancro possano risultare efficaci, dovranno probabilmente essere altrettanto singolari. Due test clinici descritti da “Nature” dimostrano quanto ciò sia possibile. In un caso, 8 di 13 pazienti, già affetti da melanoma e trattati con il vaccino personalizzato anti-cancro, hanno evitato ricadute dopo due anni dal trattamento. Nel secondo caso, 4 su 6 pazienti trattati non hanno subito ricadute a due anni di distanza dal trattamento. Il tumore di ogni paziente era stato rimosso chirurgicamente prima della somministrazione del vaccino.
Secondo Fred Ramsdell, vicepresidente per la ricerca del Parker Institute for Cancer Immunotherapy ed estraneo agli studi citati, i risultati dimostrerebbero che è possibile utilizzare il sistema immunitario del paziente stesso per individuare il cancro: «In sostanza, gli autori dello studio massimizzano la probabilità di una reazione forte ed efficace a proteine tipiche solo delle cellule tumorali del paziente. È come farsi vaccinare contro una influenza che colpisce solo te».
I vaccini su misura fanno parte di una classe emergente di terapie che fanno uso di neo-antigeni, proteine tipiche dei tumori e specifiche per ogni paziente. Il vaccino viene realizzato a partire dal sequenziamento di DNA e RNA estratti dal tumore. Le mutazioni di ogni tumore vengono analizzate grazie ad algoritmi. I risultanti vaccini personalizzati conterranno fino a 20 di questi neo-antigeni. I vaccini vengono somministrati più volte ai paziente nel corso di vari mesi.
Parecchie società sono state recentemente create allo scopo di realizzare terapie basate su nao-antigeni. Tra queste, la BioNTech, la Advaxis, la Gritstone Oncology e la Neon Therapeutics, fondata da Catherine Wu del Dana Farber Institute, responsabile del secondo studio descritto. I neo-antigeni sono anche protagonisti di un progetto varato l’anno scorso dall’istituto di Ramsdell, a San Francisco, per scoprire come creare vaccini anti-cancro personalizzati.
Questi vaccini sono studiati per mobilitare il sistema immunitario del paziente contro il cancro. Come altri vaccini, stimolano il sistema immunitario a riconoscere cellule estranee al corpo e distruggerle. Il fatto che le cellule tumorali appartengano tecnicamente al corpo rende difficile insegnare al sistema immunitario come distinguerle. L’utilizzo dei neo-antigeni potrebbe essere la risposta.
Come accade per altre forme di immunoterapia, i ricercatori stanno scoprendo che i vaccini non funzionano per tutti i pazienti (https://www.technologyreview.com/s/604086/immunotherapy-pioneer-james-allison-has-unfinished-business-with-cancer/). L’approccio dipende dalla identificazione delle mutazioni del tumore di un paziente. Secondo Wu, più mutazioni ci sono meglio sembra funzionare la terapia. Anche secondo Ugur Sahin, oncologo del University Medical Center of Johannes Gutenberg University in Germania e CEO della BioNTech, responsabile del primo studio, « l’immunoterapia funziona, ma per ora solo in pazienti con tumori caratterizzati da numerose mutazioni».
Nel caso dei due studi sopra descritti, i ricercatori hanno creato i vaccini in modo che fossero portatori di numerosi neo-antigeni specifici per ogni paziente. Poiché i neo-antigeni compaiono solo nelle cellule tumorali e non in cellule sane, i ricercatori sono convinti che un’iniezione di neo-antigeni dovrebbe risultare aliena al sistema immunitario provocando quindi un attacco contro le cellule cancerogene. Secondo Michel Sadelain, direttore del Center for Cell Engineering al Memorial Sloan Kettering Cancer Center, i risultati «confermano l’efficacia di questo approccio altamente personalizzato, almeno su piccola scala».
Sempre secondo Sadelain, non coinvolto nei due studi, questi approcci altamente tecnologici sono molto promettenti e forse il modo per ottenere risultati sempre migliori potrebbe essere quello di migliorare ulteriormente gli algoritmi con cui vengono scelti i neo-antigeni da includere nel vaccino.
Ci si chiede quanto i vaccini personalizzati possano risultare applicabili su larga scala, visto che ciascuno di essi è prodotto per un singolo paziente. Secondo sia Sahin, sia Wu, la creazione di ogni vaccino ha richiesto inizialmente dai 3 ai 4 mesi. Oggi sono sufficienti 6 settimane scarse. I pazienti affetti da cancro iniziano solitamente le cure tradizionali a partire da 3-6 settimane dalla diagnosi, spiega Wu. Perciò si propone di trattare i pazienti con il vaccino proprio in quel lasso di tempo.

Le malattie degli animali domestici potrebbero essere curati dalla terapia genetica

Emily Mullin

Per Courtney Seymour, il suo cane Greta è parte della famiglia. Quando scoprì che Greta era affetta da mielopatia degenerativa, che causa una progressiva paralisi e una lenta, dolorosa morte, ne fu devastata.
La speranza giunse da uno dei nuovi approcci terapeutici più promettenti, seppure estremi, contro le malattie genetiche. Uno studio della Tufts University stava cercando cani affetti dalla malattia per testare un trattamento sperimentale di terapia genetica. Da decenni, infatti, la terapia genetica promette una possibilità terapeutica con l‘introduzione di materiale genetico nel DNA degli individui malati (https://www.technologyreview.com/s/603498/10-breakthrough-technologies-2017-gene-therapy-20).
Alcune di queste terapie sono state prima testate su cani, dotati di sistemi immunitari non dissimili da quello umano e affetti da molte delle stesse malattie. Ora potrebbero venire introdotte sul mercato per quanti desiderano curare i cani di famiglia.
Dominik Faissler, neurologo veterinario della Tufts University, alla direzione della ricerca, sta studiando una terapia genetica contro la mielopatia degenerativa canina con l’obbiettivo di arrivare eventualmente ad una cura per le persone.
Una mutazione del gene SOD1 è considerata responsabile della malattia nei cani. Un errore dello stesso gene viene associato allo sviluppo della malattia di Lou Gehrig negli umani. Il trattamento sviluppato dai ricercatori si presenta in forma di una singola iniezione per il fluido spinale contenente virus modificati in grado di infettare il sistema nervoso e depositare materiale genetico capace di annullare gli effetti del gene difettoso. Faissler spera che la terapia possa venire testata sugli esseri umani in caso di successo nei cani.
Secondo Faissler, la terapia si è dimostrata sicura sui cani, ma è ancora presto per sapere se sarà capace di bloccare o rallentare o invertire il corso della malattia. È possibile che i cani debbano venire trattati prima per ottenere dei risultati migliori. I ricercatori stanno anche trattando cani affetti da emofilia, un disturbo di origine genetica che colpisce anche gli umani. Nel caso dell’emofilia, una mutazione genetica impedisce al corpo di produrre le proteine necessarie alla coagulazione del sangue. Terapie geniche come quelle studiate dalla squadra di Valder Arruda della University of Pennsylvania, utilizzano virus modificati contenenti una versione corretta del gene. La squadra di Arruda cominciò a trattare cani affetti da emofilia A e B nel 2012, a costo zero per i proprietari.
Alcuni dei cani trattati hanno raggiunto una capacità coagulante del 90 per cento e tutti i cani trattati sono ancora in vita. È già disponibile sul mercato una terapia genetica contro il melanoma dei cani chiamata Oncept, un vaccino al DNA contenente geni umani capaci di produrre una proteina tipica delle cellule del melanoma. Il sistema immunitario del cane impara a riconoscere la proteina e ad attivarsi contro di essa. Circa il 60 per cento dei cani che assumono il farmaco, ne traggono beneficio.
Bruce Smith, ricercatore di terapie genetiche alla Auburn University in Alabama, in collaborazione con la University of Washington, St. Louis, e il francese Institut Pasteur stanno studiando un tipo di terapia genetica che fa uso di virus oncolitici contro l’osteosarcoma, un cancro delle ossa, più frequente nei cani che negli esseri umani. I virus modificati si diffonderebbero per tutto il corpo infettando e uccidendo solo le cellule cancerogene. Le cellule cancerogene infettate e distrutte rilascerebbero a loro volta nuove dosi di virus per proseguire la lotta.
La terapia si è dimostrata sicura negli studi iniziali, ma i cani trattati non hanno vissuto più a lungo di quelli trattati con cure classiche. La squadra sta ora studiando come rendere la cura più efficace. Smith fa notare che il mercato delle medicine per i cani sta migliorando velocemente. Rimane il problema del costo di queste terapie. L’Oncept costa circa 3mila dollari per 4 iniezioni. Le cure contro le malattie ereditarie potrebbero costare ancora di più (https://www.technologyreview.com/s/602113/gene-therapy-cure-has-money-back-guarantee/).
Nel frattempo, Greta non sta manifestando grandi miglioramenti. Ciononostante, secondo i ricercatori, cani come Greta sono fondamentali per il progresso della tecnologia che potrebbe portare a benefici sia per gli umani che per i cani.