Skip to main content

‘L’interruttore fotosensibile’ geneticamente modificato di Karl Deisseroth, che consente agli scienziati di attivare e disattivare determinate aree cerebrali, è un passo avanti nelle terapie per la depressione e altre malattie.

di Emily Singer

Nella sua esperienza psichiatrica allo Stanford Medical Center, Karl Deisseroth si è talvolta trovato di fronte a pazienti che non vogliono camminare, parlare o mangiare. Le terapie intensive, come quella elettroconvulsiva, possono letteralmente salvare le vite di questi pazienti, ma spesso al costo di perdita della memoria, mal di testa e altri seri effetti collaterali. Deisseroth, che è medico e bioingegnerie, pensa di avere in mano una soluzione migliore: un nuovo, elegante metodo per controllare le cellule neurali con flash luminosi. La tecnologia potrebbe in futuro portare a terapie specifiche per malattie neurologiche e psichiatriche; una maggiore precisione potrebbe significare più efficacia e meno effetti collaterali.

Mentre gli scienziati sono consapevoli della presenza di squilibri chimici sottostanti alla depressione, non è ancora chiaro esattamente quali cellule, o rete di cellule, ne siano responsabili. Per identificare i circuiti coinvolti in queste malattie, gli scienziati devono poter attivare e disattivare i neuroni. I metodi tradizionali, come gli elettrodi che attivano i neuroni con scariche elettriche, non sono sufficientemente accurati per questo compito, pertanto Deisseroth, Ed Boyden (un ricercatore del MIT con titolo di specializzazione; si veda Engineering the Brain, pag. 34) e lo studente laureato Feng Zhang hanno creato un controllore neurale che può attivare specifici gruppi di neuroni.

Essi hanno indotto una proteina di un’alga verde ad agire come un interruttore prodotto dai neuroni geneticamente modificati (si veda Artificially Firing Neurons, TR35, September/October 2006). Se il neurone è esposto alla luce, la proteina innesca l’attività elettrica nella cellula che la trasmette al neurone successivo nel circuito. I ricercatori possono quindi usare la luce per attivare determinati neuroni e osservare le specifiche risposte: una contrazione muscolare, un aumento di energia, un’onda di attività in una differente area del cervello.

Deisseroth sta utilizzando questi interruttori genetici sensibili alla luce per studiare le basi biologiche della depressione. Lavorando con un gruppo di ratti che mostrano sintomi simili a quelli visti nella depressione umana, i ricercatori del suo laboratorio hanno inserito l’interruttore nei neuroni di diverse aree del cervello implicate nella depressione. Hanno poi usato una fibra ottica per illuminare queste cellule, alla ricerca di schemi di attività che alleviassero i sintomi. Deisseroth sostiene che le scoperte dovrebbero aiutare gli scienziati a migliorare la qualità degli antidepressivi: se si conoscono esattamente le cellule bersaglio, si possono scovare molecole o sistemi di distribuzione destinati specificamente a queste cellule. < >, egli afferma. Ciò spiega in parte perché questo farmaco abbia così tanti effetti collaterali.

Lo scorso anno Deisseroth ha inviato il suo interruttore a più di 100 laboratori di ricerca. I ricercatori lo stanno applicando a diversi tipi di animali, tra cui topi, vermi, mosche e pescezebra, egli continua. Gli scienziati stanno usando questo e altri interruttori simili per studiare ogni cosa, dal movimento alla dipendenza, all’appetito. Queste tecnologie ci permettono di passare dall’osservazione all’intervento attivo e al controllo, sostiene Gero Miesenbock, un neuroscienziato della Yale University. Provocando direttamente sensazioni o movimenti, egli spiega, si può stabilire un collegamento molto più stretto tra attività mentale e comportamento.

Deisseroth spera che la sua tecnologia diventerà un giorno non solo uno strumento di ricerca, ma una terapia, da utilizzare accanto a quelle già esistenti che stimolano elettricamente vaste aree del cervello per curare la depressione o il morbo di Parkinson. Coinvolgendo solo determinati neuroni, l’interruttore sensibile alla luce geneticamente modificato potrebbe limitare gli effetti collaterali di queste terapie. Naturalmente, i ricercatori dovranno prima risolvere alcuni problemi: tra tutti, trovare metodi sicuri di terapia genica per far arrivare l’interruttore alle cellule bersaglio e illuminare in profondità il cervello. E’ un obiettivo lontano, conclude Deisseroth, ma gli ostacoli non sono insormontabili. Nel frattempo, i neuroscienziati hanno a disposizione un nuovo, potente strumento per scoprire i segreti del cervello.