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Nuovi studi suggeriscono che la semplice aggiunta di minerali alle acque oceaniche potrebbe non ottenere i risultati voluti o rivelarsi un procedimento troppo costoso e a sua volta inquinante per rimuovere l’anidride carbonica

di James Temple

Gli oceani del mondo sono incredibili spugne di carbonio. Catturano già un quarto dell’anidride carbonica prodotta dall’uomo quando le acque superficiali reagiscono con i gas serra nell’aria o con gli organismi marini che la “divorano” mentre crescono. La loro efficacia ha suscitato crescenti speranze che potessimo in qualche modo accelerare questi processi naturali per aumentare la quantità di assorbimento degli oceani, contribuendo a rallentare il cambiamento climatico.

Un’idea che sta guadagnando attenzione e investimenti è quella di aggiungere minerali che potrebbero bloccare il carbonio disciolto negli oceani. Ma un recentissimo studio su “Frontiers in Climate” indica che potrebbero esserci dei limiti a questa strategia, che si basa su un minerale vulcanico noto come olivina. In teoria, l’aggiunta di olivina macinata dovrebbe aumentare l’alcalinità dell’acqua di mare, aiutando a convertire il carbonio nell’acqua in una forma stabile e consentendo agli oceani di assorbire più anidride carbonica dall’atmosfera.

I ricercatori del GEOMAR Helmholtz Center for Ocean Research in Germania hanno recentemente sciolto nell’acqua di mare artificiale sabbia a grana fine costituita principalmente da olivina. Nell’arco di 134 giorni, hanno scoperto, che l’alcalinità dell’acqua è in realtà diminuita.
Secondo i ricercatori, questo e altri fattori hanno ridotto la quantità di carbonio rimossa di un fattore cinque rispetto al potenziale teorico dell’olivina.

Sempre lo studio riporta però che altri gruppi di ricerca hanno recentemente scoperto che la dissoluzione dell’olivina nell’acqua di mare filtrata e artificiale ha prodotto un aumento dell’alcalinità inferiore al previsto. Una recente ricerca, ancora in fase di prestampa, ha trovato risultati altrettanto contraddittori per altri minerali che avrebbero dovuto aumentare l’alcalinità oceanica.

Nel frattempo, diversi studi hanno recentemente sollevato dubbi su un diverso approccio nelle acque oceaniche: la coltivazione e l’inabissamento delle alghe per aspirare e immagazzinare carbonio. Trovare modi praticabili per abbattere i gas serra sarà fondamentale nei prossimi decenni. Un rapporto delle National Academies di dicembre sulla rimozione del carbonio dagli oceani ha rilevato che il mondo potrebbe aver bisogno di aspirare altri 10 miliardi di tonnellate all’anno entro la metà del secolo per limitare il riscaldamento a 2 ˚C.

Secondo il gruppo di ricerca Ocean Visions, il solo aumento dell’alcalinità oceanica potrebbe teoricamente rimuovere decine di miliardi di tonnellate di CO2, ma il panel delle National Academies ha notato che gli interventi per ottenere questo risultato richiederanno l’estrazione, la macinazione e la spedizione di rocce su scale più o meno simili, il che avrebbe anche sostanziali conseguenze ambientali.

I nuovi studi non hanno fornito la parola finale e definitiva sul fatto che qualcuno di questi metodi sarà un modo fattibile per aiutare a raggiungere gli obiettivi di rimozione del carbonio. Michael Fuhr, di Geomar, è uno degli autori dello studio sull’olivina e sostiene che questo approccio “potrebbe funzionare bene solo in alcuni luoghi in cui la chimica oceanica è giusta, vale a dire aree in cui le acque sono a bassa salinità ma ricche di sedimenti organici, che aumenteranno l’acidità”.

Fuhr e altri affermano che saranno necessari ulteriori esperimenti di laboratorio e lavoro sul campo per determinare quanto bene questo metodo funziona nel mondo reale, quali sono le condizioni ideali o se altri materiali sono più promettenti. Maria-Elena Vorrath, ricercatrice dell’Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research, ha affermato in un’e-mail che lo studio mostra che il processo dell’olivina non funziona come si pensava, anche se il minerale rimane “uno dei metodi più promettenti in natura”.

Un’azienda, Project Vesta, ha in programma da diversi anni di condurre una prova sul campo nei Caraibi, che comporterebbe la diffusione di sabbia olivina lungo le spiagge o in acque poco profonde. Ha anche condotto esperimenti di laboratorio, test tossicologici e pianificazione di prove sul campo sulla costa orientale degli Stati Uniti, come afferma Tom Green, amministratore delegato dell’azienda.

Project Vesta è nata come organizzazione no-profit, ma ora è una cosiddetta società di pubblica utilità, il che significa che ha il duplice obiettivo di realizzare un profitto e raggiungere il bene sociale. “La speranza”, dice Green, “è di vendere alla fine crediti di carbonio per qualsiasi gas serra rimosso con l’olivina”.

Altre startup stanno lavorando per incrementare l’alcalinità oceanica, attraverso approcci che includono processi elettrochimici. Tra queste Ebb Carbon, Planetary Technologies e Seachange, che hanno tutti pre-venduto tonnellate di rimozione del carbonio che si aspettano di ottenere ad aziende come Shopify e Stripe.

Nel frattempo, il panel delle National Academies ha chiesto la creazione di un programma di ricerca statunitense da 125 milioni di dollari per studiare se si potranno sviluppare modi per aumentare o accelerare questi processi, identificare gli effetti collaterali ambientali e capire come misurare e verificare in modo affidabile se si sta verificando la rimozione del carbonio.

(rp)